I portieri di Francia ’98

di Marco Mongelli

Era l’estate torrida del 1998 e io, novenne, guardavo “Vieri, Vieri, tiro, sì”, infilare la temutissima Norvegia del gigante biondo ToreAndreFlo. In porta c’era Grodas, ovviamente.
Era anche l’estate in cui era appena finita la mia prima e fortunatamente ultima (l’anno dopo mi diedi al basket) esperienza in una scuola calcio. La mia ossessione per la figura del portiere cominciò lì. Sì certo, direte voi, c’era Benji Price e, inconsapevole, anche Saba. Ma c’era soprattutto il fatto che io ero disastroso coi piedi. Durante un allenamento molto sconfortante presi inaspettatamente l’iniziativa e chiesi al Mister di andare in porta. Parai due rigori e fu subito mitologia. Che una serie di cavolate in fila demistificarono immediatamente. Questo per dire che il mio approccio col calcio è sempre stato problematico, anti-poetico, ossessivo.

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Le favole non sempre son favole

[Fabrizio Gabrielli, il maestro delle Sforbiciate (Piano B, 2011), ci regala un altro colpo dei suoi. Inedito.]

Il primo grande insegnamento che m’hai dato, pà, è che non serve a niente, pigiare forte sull’acceleratore, quando hai il freno a mano tirato.
Dovevi volermi molto molto bene, o molto molto male, per tacermi che non era una grande idea, presentarsi con la stessa mise della cresima, Camicia Rosé Damascata, sottomento da orsacchiotto spelacchiato, a bordo d’un carro da mozzarellaro.
Ma tu avevi dimenticato la bènza, son cose che capitano, m’hai detto, non il giorno del mio esame di quinta, pà. E allora ci siam fatti prestare l’auto che il pizzicagnolo utilizzava per le consegne, e per quindici chilometri c’abbiam messo un’ora, che correva mica, la mozzarellamòbile, e le spighe pronte per la trebbiatura, anziché farsi massa confusa e fagocitante fuori dal finestrino, se ne rimanevano a umiliarci, con gli occhi di ghiaccio di Lars Bohinen quando l’ha buttata dentro, buttandoci fuori.
E così siamo arrivati in ritardo. E c’era puzza di bruciato, nell’abitacolo. Il freno a mano, pà. Son cose che capitano, m’hai detto.

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Simon Kuper

Simon Kuper
(Kampala, Uganda, 1969)

Giornalista e scrittore britannico, vive a Parigi. Ha vissuto a Londra, in Olanda, Stati Uniti, Svezia e Jamaica.

Scrive di sport da una prospettiva antropologica. Editorialista per il Financial Times, in Italia i suoi libri sono pubblicati da ISBN Edizioni. Continue reading

Arthur Friedenreich – Il sogno perduto di El Tigre

Nel mondo non ci sono che due razze, diceva mia nonna:
quella di chi ha e quella di chi non ha.
(Miguel de Cervantes – Don Chisciotte)

Immaginate per un momento di aprire un’ostrica e di trovarci dentro una perla.
Sono quasi certo che ve la figurerete bianca. Potreste anche pensarla color crema, o rosa. Forse grigia; più difficilmente sarà di colore viola. Ma sono abbastanza sicuro che nessuno di voi immaginerà di trovarci una perla nera. Sarebbe un evento decisamente improbabile anche nella realtà: le ostriche in grado di generare perle di quel colore sono talmente delicate da morire in numero di molto superiore alle altre. Per questo il loro valore è inestimabile. Per ogni perla nera che avrà la fortuna di vedere la luce, a migliaia moriranno prima di poterlo fare, sigillate per sempre nel ventre dell’ostrica che sognava di donarle al mondo.
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Calcio operaio: Nucleo Allenamento Giovani Calciatori

[Riceviamo e pubblichiamo dallo scrittore Alberto Prunetti, redattore di Carmilla e autore di “Amianto”.]

Campo in asfalto

Ho cominciato a dar calci al pallone per non cadere sull’asfalto di un campo da gioco operaio. Per rimanerci in piedi, anche se ero solo un bambino, in quel “campo”. Un campo senza erba o terra, un campo d’asfalto. Cadere significava rovinarsi. Io sono riuscito a cadere una sola volta e mi sono guadagnato una frattura guarita in novanta giorni tra gesso e fasciatura stretta. Aggiungo solo che il bastardo che mi ha falciato non era un avversario ma un compagno di squadra a cui non avevo passato la palla. Ancora oggi è uno dei miei migliori amici.

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L’Europeo visto da lontano
Italia-Croazia

[Sesta puntata delle cronache anticipate di Luca aka Wu Ming 3]

foto della Selezione Azzurri Piano B

L'intrepido squadrone azzurro del Piano B - Zoff, Lucarelli, Sollier, Vendrame, Fiom

Italia-Croazia

Italia sotto attacco. Della Croazia. Dell’Austria. Dei froci. Dello spread. Erano cazzi, in tutti i sensi.

Era scattato il piano d’emergenza, non si poteva più scherzare, con gli ustascia alle porte e gli ufficiali giudiziari alle Borse. Il nemico spuntava da tutte le parti, e faceva fuoco.

Un primo obiettivo era stato raggiunto: SuperMario aveva ottenuto i domiciliari su cauzione. Si parlava di un camper imbottito di euro, rubli, copechi, fucili e pistole, e qui le solite malelingue avevano fatto illazioni prive di fondamento su strane triangolazioni tra un famigerato procuratore, un celeberrimo campione svedese, un bel po’ di mafie, varie federazioni e un Presidente. Gossip. Porcherie che non meritano approfondimenti. Continue reading

I juventini e Futbologia

[Quello che segue è, almeno nelle intenzioni, un pezzo gentilmente scherzoso sia sullo juventinismo che sull’antijuventinismo. Dai commenti comprendo però che il terreno è minatissimo e lo scherzo anche gentile fatica…]

Futbologia sta ricevendo moltissime segnalazioni e proposte di collaborazione. Stupito e onorato ringrazio, a nome del blog e a titolo personale, tutti coloro che ci scrivono e mi scuso per il ritardo in alcune risposte (*).

Nelle gentili mail inviateci non manca giustamente mai un simpatico riferimento alla squadra del cuore. C’è quello che inizia di brutta con “Sempre e solo [a capo] Forza Toro!”, quello che finisce minaccioso con “Sono della Magica [a capo] se c’è bisogno di precisarlo…”, quello che a metà infila il suo “Grande Napoli!”. E così via per le altre squadre, dal Foggia all’Inter, dal Verona al Milan, dall’Atalanta alla Lazio.

Fa eccezione il juventino.

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Davide senza fionda (Verona 1986)

[Riceviamo e pubblichiamo dagli altri anni Ottanta questo ricordo-racconto orgogliosamente provinciale di abo]

La prima volta che ho messo piede in uno stadio è stato in una data imprecisata dell’86. Avevo 7 anni e non ricordo chi fosse l’avversario, tutto sommato ininfluente. Ero lì per confermare che avrei tifato per la squadra che il luogo di nascita e l’ereditarietà mi proponevano, la squadra che l’anno prima aveva vinto uno scudetto clamoroso e inaspettato, a cui io non avevo assistito, e che si stava lentamente riprendendo dalla sbornia.
I mastini, i gialloblù, l’Hellas Verona.

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Football Republic

[Riceviamo e pubblichiamo – Il carteggio continua: in risposta alla testimonianza autografa di Valerio Mastandrea, un nuovo messaggio da Wu Ming 4, nelle vesti di Mr. Oba per Futbologia]

di Wu Ming 4

Dice che è una fase. Poi passa. L’anno scorso faceva judo. Magari l’anno prossimo s’infotta con la pallavolo o con il curling. Intanto se gli chiedi la capitale della Spagna lui risponde: “Real Madrid”.

disegni su Babbo Rebablic

Babbo Rebablic

E costella la giornata (la scuola è finita) con domande tipo queste:

– Di che colore è la seconda maglia del portiere della Francia?

– Qual è la terza maglia del Barcellona?

– Come si chiama Drogba di nome?

– Possono giocare Roma contro Barcellona?

– E Barcellona contro Spagna?

– Perché i croaziani hanno le maniche a scacchi?

– Posso vestirmi con la maglia verde e i pantaloncini blu come Casillas?

Via così. Eppure tu non hai fatto niente. Tu sei sempre stato uno di quelli che guardano soltanto i mondiali. Per le bandiere, i colori, il piacere di vedere tutte quelle squadre straniere. Ecco, bandiere e colori.
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Perché

[Riceviamo e pubblichiamo – In risposta al resoconto di Wu Ming 4, Valerio Mastandrea ci ha inviato una sua testimonianza]

foto di Valerio al curling

Valerio è quello al centro (si scherza)

Pensiero ufficiale di Valerio Mastandrea
(The DM: Il Demotivatore)

Le storie dell’emozione provata alla prima ecografia si sprecano. Pochi ammettono il terrore e l’impressione che un millimetro (nemmeno quadrato) abbia un cuore e che quel cuore batta forte. Le varie ecografie lasciano il posto alla curiosità, alla sciocca ricerca di somiglianze e, a volte, alla paura. È stato quando una voce disse “è maschietto guardi qua”. E no che non guardi, non si capisce un cazzo. No che non cerchi il pisellino, no. È maschietto e vieni attraversato da una scossa violentissima. Cerchi e trovi gli occhi-madre che emozionati immaginano un altro te in miniatura, scambi con quello sguardo vero la tua emozione finta. Sforzi un po’ le ghiandole lacrimali. E le lacrime scendono. Perché hai paura. Hai soltanto paura.
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Eurovisioni – Italian History X

Comincia tutto con una monetina.

A Napoli è la sera del 5 giugno 1968. Un arbitro tedesco dal nome impronunciabile si è appena infilato nel tunnel degli spogliatoi dello stadio San Paolo. Alla sua destra il capitano sovietico, profilo minaccioso e un nome che pare fargli il verso; dall’altro lato quello italiano, sguardo fiero da eterno ragazzo sognante. Quando i tre riemergeranno da quel tunnel i settantamila tifosi assiepati sugli spalti capiranno al volo chi, tra Unione Sovietica e Italia, si giocherà a Roma il titolo di campione d’Europa contro la Yugoslavia, dopo soli tre giorni. Testa o croce. Esistere o svanire. Basta attendere soltanto qualche minuto.¹ Continue reading

Euroghepard

[Riceviamo e pubblichiamo – La redazione di Fútbologia presenta un resoconto appassionato di Wu Ming 4 nel ruolo di Mr. OBA, Official Bench Assistant]

di Wu Ming 4

È d’obbligo una moratoria sui genitori. I padri soprattutto. Un giudice di pace dovrebbe interdirli dai campetti da gioco. In alternativa, un ceffo clavamunito dovrebbe osservarli minaccioso da una collinetta e intervenire rapido e implacabile alla bisogna. Senza questo deterrente, ogni piccolo cristo in campo ha il proprio ultra-allenatore che sbraita e inveisce e insulta: un superego patriarcale che tiranneggia da dietro la rete, con la testa a forma di gigantesco cazzo. Poi dice che crescendo diventano hooligans. Mi sembra il minimo.

foto della squadra Euroghepard

L'Euroghepard pronta e incazzata, Pocho Ismailovich concentrato sul pallone

I cinni, invece, sono grandi. Tutti. Anche se oggi i “grandi”, gli ottenni, non giocano, sono già passati di serie, e improvvisamente i sei-settenni si ritrovano a dover fare la partita.

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L’Europeo visto da lontano
Polonia-Russia

[Quinta puntata delle cronache anticipate di Luca aka Wu Ming 3]

foto della Presentazione delle divise della nazionale Russa

Cerimonia di presentazione ufficiale delle nuove divise della nazionale Russa

Polonia-Russia

I valorosi compagni dell’Armata Rossa erano reduci da un rutilante successo, a spese degli storici vassalli socialisti cechi. Che poi era anche una giusta punizione verso quel viscido controrivoluzionario di Dubček. Oggi sarebbe toccata uguale sorte a un altro satellite della sfolgorante galassia sovietica. Beh, il compagno generale Jaruzelski se ne sarebbe fatto una ragione, d’altronde chi mai avrebbe potuto opporsi al fragoroso incedere, al marziale fraseggio dei suoi soldati calciatori, capaci di mantenere lo stesso ritmo anche a trenta gradi sotto zero? Il compagno Petr Lojaconosky, generale allenatore, guardava i suoi allenarsi. Orgoglioso. Pregustava già medaglie e onorificenze che il Presidente avrebbe elargito, e la dacia sul Mar Nero, e vodka e figa per tutti. Il Comunismo. Non poteva che andare così. Era scritto, scientifico.

Almeno questo credeva lui.

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Ogni maledetta domenica – Otto storie di calcio

Libro denso ma che si legge velocemente, “Ogni maledetta domenica” racconta otto storie di calcio messe insieme per la Minimum Fax da Alessandro Leogrande. L’idea del libro emerge chiara già dalla quarta di copertina: si tratta di raccogliere i “brandelli del calcio che rimane”.

Che rimane dagli sponsor onnipresenti, dalla televisione, dal farsi “sistema” dello sport di squadra più seguito dagli italiani. Continue reading