I sessant’anni di Zico… e un po’ di Udinese (parte 1)

[Riceviamo e pubblichiamo. Domani 3 marzo 2013 il Galinho ne compie 60. In due puntate, di cui questa prima sul periodo Udinese, il ricordo di Alesssandro Gori che qualche anno fa lo ha intervistato]

foto di Zico

di Alessandro Gori

Il 3 marzo ricorre il compleanno di diversi personaggi del mondo del calcio. Per esempio, Zibì Boniek ne compie 57, 48 per Dragan Piksi Stojković, uno dei miei grandi idoli e capitano della Crvena Zvezda, di cui un giorno sicuramente riparleremo su questo blog. Un amico dalla straordinaria memoria calcistica direbbe che è anche quello di Loris Pradella, lungo centravanti di Sacile, apparso anche nell’Udinese dei primi anni Ottanta, che ne fa 53.

Questa domenica però sarà una data speciale, perché ricorre il sessantesimo compleanno di Arthur Antunes Coimbra detto Zico, nato alle 7 di mattina del 3 marzo 1953 nella casa di rua Lucinda Barbosa numero 7, nel quartiere di Quintino Bocaiuva, a Rio de Janeiro.

Dieci anni fa, nel marzo 2003, mi trovavo in Giappone con una borsa di studio per giornalisti. Il Galinho – così era chiamato fin da ragazzino, quando zampettava sui campi da calcio magrissimo come un galletto – da pochi mesi era diventato selezionatore della nazionale nipponica con l’obiettivo di qualificarsi per il Mondiale tedesco del 2006, come poi accadde. Nei locali della Federcalcio si respirava un’aria nuova, tutti dicevano che Gico-san, come lo chiamavano laggiù, aveva portato un nuovo modo di lavorare.

Zico viveva in Brasile e arrivava a Tokyo solo in concomitanza delle partite. Per ottenere un’intervista avevo per tempo contattato la federazione giapponese che mi aveva tuttavia risposto picche. Solo dopo circa un mese di insistenze riuscii a convincerli, facendo anche leva sulle mie esperienze personali che riguardavano quei pochi, straordinari mesi a cavallo tra il 1983 e il 1984. Quegli indelebili ricordi toccano ancora le corde emotive di molti tifosi friulani, come mai nessuno sarebbe riuscito a fare in seguito, nonostante i terzi e quarti posti ed altri esaltanti momenti vissuti negli ultimi anni.

Zico a Udine

Leggendo certe storie su Zico sul mio sito un amico aveva efficacemente riassunto queste sensazioni con «un nodo allo stomaco e vibrazioni alla faccia che diventano brividi». Fortissime emozioni, ma anche rimpianti per come la favola sarebbe dovuta continuare, e che invece terminò nel peggiore dei modi.

Il primo giugno di trent’anni fa, il Friuli e l’intera Italia calcistica furono scossi da una notizia bomba. Arthur Antunes Coimbra detto Zico, uno dei tre migliori giocatori al mondo dell’epoca, stava per essere acquistato dall’Udinese, una provinciale del calcio praticamente sconosciuta fuori dai confini patrii. Ricordo nitidamente quella mattina. Avevo 12 anni e frequentavo le medie, mi apprestavo ad uscire per andare a scuola quando la radio accesa in bagno gracchiava le notizie del giornale radio regionale. Già nei titoli il triestino Giorgio Cesare, che allora conduceva il GR, comunicò la notizia, ma pronunciò talmente male il nome di Zico che in casa ci domandammo chi mai l’Udinese stesse comprando, forse un brasiliano sconosciuto! Ben presto invece lo scoprimmo e nessuno di noi poteva crederci.

La torcida del Flamengo (secondo alcuni la tifoseria più grande del mondo, composta da circa 30 milioni di persone) scese in piazza a protestare e solo dopo varie vicissitudini durate diversi giorni Zico firmò. Fu un colpo da maestro di Franco Dal Cin: con un artificio finanziario che anticipava il futuro (lo sfruttamento dell’immagine del calciatore) il consigliere delegato del club friulano riuscì ad aggiudicarselo per una cifra irrisoria per il livello del campione, 6 miliardi di lire di cui però solo 3,6 pagati dall’Udinese. Il resto veniva versato appunto da una società esterna, la Grouping Limited, che avrebbe usato l’immagine di Zico.

Giovane Zico al Flamenco

L’Udinese di quegli anni

In Friuli i tifosi sognavano. Solo cinque anni prima la loro squadra era ancora in Serie C, dov’era rimasta per ben quattordici primavere. Aveva recuperato la massima serie dopo diciassette lunghissime stagioni grazie al doppio salto sotto la guida del saggio udinese Massimo Giacomini, che purtroppo venne scippato dal Milan subito dopo (come poi accadde con Zaccheroni nel 1998).

Al suo primo anno di A nel 1979/80 l’Udinese si piazzò quindicesima (ovvero penultima visto che a quell’epoca, che ora sembra antidiluviana, la Serie A aveva solo 16 squadre, un lusso rispetto ad ora), ma lo scandalo del Totonero retrocesse d’ufficio Milan e Lazio. Nella stagione successiva i friulani si salvarono grazie alla famosa rete di Manuel Gerolin negli ultimi minuti dell’ultima giornata contro il Napoli (2-1 in rimonta allo Stadio Friuli).

Volgeva al termine l’esperienza come presidente di Teofilo Sanson. Era stato proprio l’industriale veneto del gelato innamorato di ciclismo (nella sua squadra correva anche Francesco Moser) e rugby (la Sanson Rovigo fu Campione d’Italia nel 1976 e 1979) a volere il suo corregionale Dal Cin a Udine. Insieme avevano architettato un’altra pensata, sempre da precursori in anticipo sui tempi: nell’ottobre 1978, all’inizio del campionato di Serie B. sui pantaloncini delle zebrette apparve a sorpresa il nome dell’azienda di gelati del patron, probabilmente il primo esempio di sponsorizzazione ante litteram. All’epoca infatti questa pratica non era prevista, anche perché la federazione vietava le scritte sulla maglia: Sanson cercò di aggirare la norma, ma l’Udinese venne multata lo stesso. Intanto il seme era stato lanciato e solo tre anni dopo gli sponsor fecero ufficialmente la loro apparizione.

Proprio alla fine del maggio 1981 Sanson vendette l’Udinese alla Zanussi, colosso degli elettrodomestici con sede a Pordenone (e che di lì a poco sarebbe stata ceduta alla svedese Electrolux). Presidente del club divenne l’amministratore delegato della società pordenonese, Lamberto Mazza, un romano che mai si era occupato di calcio prima di allora.

Nel frattempo, dopo l’esonero di Giagnoni a metà della stagione appena conclusa sulla panchina friulana, era arrivato un altro veneto, di San Donà di Piave, Enzo Ferrari: venne dirottato dalla panchina della squadra Primavera, che proprio in quel 1981 sarebbe diventata Campione d’Italia e dalla quale attinse a piene mani. Entrarono così nel giro della prima squadra diversi giocatori cresciuti in casa, tra i quali c’erano molti friulani (ormai da decenni quasi non se ne vedono in Serie A, men che meno all’Udinese): oltre al citato Gerolin, nato a Mestre, un campione in erba come Paolo Miano, genio delle valli del Natisone, o Gigi De Agostini, di Tricesimo, che ebbe una carriera di primissimo piano, o anche Giorgio Papais di Zoppola e Gianfranco Cinello di Fagagna. L’unico straniero era il libero brasiliano Orlando Pereira e a fare da chioccia era già arrivato Franco Causio, considerato finito alla Juventus ma che trovò nuova linfa per la sua carriera. Venne addirittura chiamato da Bearzot al Mundial 1982 e, dopo una successiva parentesi all’Inter, terminò di giocare nella Triestina a 39 anni.

Confermato Ferrari, nel 1982/83 l’Udinese si piazzò addirittura sesta. La squadra era stata completata anche dai nuovi investimenti della Zanussi: a Udine giunsero dal Cagliari Pietro Paolo Virdis e il ventenne gioiellino del Catanzaro Massimo Mauro, l’unico a giocare con Zico, Platini e Maradona, il difensore brasiliano Edinho e Ivica Šurjak, fuoriclasse spalatino scuola Hajduk, proveniente dal Paris Saint Germain che, a causa del tetto di due stranieri (!) per squadra, poi venne pur giustamente sacrificato per far posto a Zico. Peccato non averlo visto per più tempo da noi.

La stagione 1983/84

In quello storico mercoledì 15 giugno 1983 Zico faceva la sua prima visita in Friuli per conoscere questa nuova realtà, così diversa da quella brasiliana. Ovviamente in tutto il Friuli l’entusiasmo era alle stelle. Feci così tanta pressione su mia madre che quel giorno non ebbe altra scelta che portare me e mio cugino all’aeroporto regionale di Ronchi dei Legionari con la sua 126 rossa per dare, anche noi e personalmente, il benvenuto a Zico. Seguimmo poi la carovana fino all’albergo “Là di Moret”, dove avrebbe trascorso i primi giorni friulani insieme alla moglie Sandra.

La storia è nota. Il 22 giugno scendeva già in campo per sei minuti contro il suo Flamengo per un ideale scambio di maglie. Ma il 2 luglio scoppiò un’altra bomba: con un diktat il Presidente Federale Federico Sordillo pose inaspettatamente un veto al tesseramento di Zico e di Toninho Cerezo da parte di Udinese e Roma. Da una parte si accusava la Zanussi di spendere troppo per un giocatore mentre rischiava di mettere in cassa integrazione diversi operai. Al contempo in regione si speculava che forse al Palazzo non stava bene che una provinciale si rafforzasse tanto. La gente scese nuovamente in piazza in massa, stavolta per protestare civilmente, e si vide anche il famoso cartello che recitava «O Zico, o Austria».

Manifestazione per Zico contro il veto della Federcalcio

Manifestazione per Zico contro il veto della Federcalcio

Al termine di un lungo tira e molla il 23 luglio la Giunta del CONI espresse un parere favorevole per entrambi i casi. Il Galinho ritornò trionfalmente in Friuli per iniziare gli allenamenti e giocare le prime amichevoli. Prima un 3-1 all’Hajduk, poi un quadrangolare estivo in cui l’Udin sconfisse addirittura il fortissimo Real Madrid (2-1), all’epoca sponsorizzato proprio dalla Zanussi, e il Vasco da Gama (3-0) con reti assortite del brasiliano. In ogni esibizione gli incassi erano favolosi: Zico cominciava a rendere anche economicamente, alla faccia di chi aveva criticato l’operazione.

I tifosi friulani si stropicciavano gli occhi vedendolo saltellare in bianconero (all’epoca composto da un’unica striscia verticale nera in stile Ajax) e dispensare sapienza calcistica in ogni sua movenza. Le attese per quella stagione erano altissime: l’Udinese aveva tutte le carte in regola, a parte l’esperienza, per migliorare la sua posizione. Il campionato iniziò sotto i migliori auspici l’11 settembre con un sonante 0-5 in casa del Genoa grazie alla doppietta di Virdis, una rete di Mauro e due gol del Galinho. Nel primo con una finta fece letteralmente girare su se stesso il difensore Claudio Testoni, mentre l’ultimo, proprio al novantesimo, fu una punizione che si insaccò nel “sette” di un immobile Martina e che provocò uno scrosciante applauso dei tifosi genoani. A Catania, già nel girone di ritorno, accadde di peggio: sullo 0-1 quando Zico si apprestava a calciare una punizione dal limite si ritrovò buona parte dello stadio avversario che scandiva il suo nome, e anche in quell’occasione fece centro. Inaudito.

In effetti se anche Platini e Maradona erano bravissimi nei calci piazzati, Zico portava questa specialità al suo livello più alto. Quando c’era un fallo al limite ormai si sapeva che si trattava di un mezzo rigore e l’attesa si faceva spasmodica: il Galo segnava proprio da tutte le posizioni e in tutte le maniere.

Anche allora come adesso dalle curve dello Stadio Friuli non si vedeva molto, ma l’impianto dei Rizzi era sempre pieno come un uovo, circa 45mila spettatori (contro l’immagine desolante di oggi… speriamo che il nuovo stadio arrivi presto). Merito anche dei 26.611 abbonati, un record da queste parti. Ovviamente anch’io ero tra loro, insieme a mio padre, ma conosco un signore di Firenze di origine friulana che quell’anno era abbonato e veniva in treno dalla Toscana a Udine ogni due settimane solo per vedere l’Udinese. Allora tutti gli incontri si disputavano alla stessa ora di pomeriggio, lui arrivava il sabato e si trovava con i parenti, poi la domenica andava al “Friuli” con suo cugino e rientrava a casa dopo la partita.

Nella fredda domenica del 6 novembre si disputò una di quelle partite rimaste nella storia. Contro la Roma Campione d’Italia guidata da Falcão e Cerezo (ma anche con Bruno Conti, Di Bartolomei, Pruzzo e l’altro Barone Liedholm in panchina), il “Friuli” era il centro del mondo con dirette della Rede Globo e di altre televisioni brasiliane che seguivano i loro fuoriclasse emigrati. All’85’ il botto: conservo la sensazione delle strutture di cemento che tremavano sotto l’entusiasmo dei tifosi. Lancio di circa 40 metri di Causio che si trovava quasi sulla linea di metà campo verso Zico, che si era inserito nel vuoto, tiro incrociato del Galinho e Tancredi veniva battuto senza scampo.

Ovviamente tutta la squadra si precipitò sotto la Curva Nord a festeggiare. Proprio allora, a seguito delle reiterate proteste dei giallorossi per riprendere il gioco, venne instaurato il divieto di uscire dal rettangolo verde per festeggiare una rete. Non che l’attraversamento della pista dell’“Olimpico” per raggiungere la Sud avesse mai richiesto meno tempo.

Purtroppo nel girone di ritorno il destino era in agguato. Quell’inverno fu uno dei più rigidi che si ricordino e ciò non aiutava i delicati muscoli del brasiliano abituati al caldo tropicale. Dopo l’entusiasmo e le imprese iniziali, a marzo Zico si procurò uno stiramento nel gelo di Brescia, in una maledetta amichevole a seguito della quale dovette abbandonare a lungo la squadra in un momento fondamentale della stagione. Il progetto si stava sfaldando, soprattutto a causa di Lamberto Mazza, come accennato un personaggio digiuno di calcio e a cui non stava assolutamente a cuore il destino del nostro amato club.

Ricordo come se fosse (l’altro) ieri anche il 13 maggio 1984. Si disputava l’ultima giornata di quel campionato. L’Udinese si trovava in sesta posizione con 31 punti ed era ancora in corsa (teorica in verità) per la UEFA, mentre il Milan di Luther Blisset era ottavo, un punto sotto ai bianconeri. Da poco era stato inaugurato il Cosmo, un megaschermo a colori che il “Friuli” era tra i pochi stadi al mondo a possedere. Quel giorno, poco prima dell’ingresso in campo delle squadre, sul Cosmo apparve Mazza che disse qualcosa del tipo: «se volete tenere Zico dovete tirare fuori i soldi». Mazza non intendeva cioè investire nell’Udinese, ma chiedeva ai tifosi di finanziare la squadra scucendo il capitale dalle proprie tasche! Fu la prima doccia fredda e la seconda sarebbe arrivata di lì a poco, con la sconfitta per 1-2 contro i rossoneri.

Tutti sappiamo come andò poi. Nonostante le 19 reti di Zico (una in meno di Platini), l’Udinese arrivò nona. In rotta con Mazza, Dal Cin aveva già preso la strada dell’Inter, e Júnior, che era stato già opzionato, nella stagione successiva andò a Torino. Mazza ottenne l’Udinese come buonuscita dalla Zanussi e non volle investire capitali che non possedeva.

La stagione successiva furono venduti alcuni pezzi pregiati e il bravo allenatore Enzo Ferrari andò al Real Zaragoza, rimpiazzato dall’onesto ma ormai anziano e poco incisivo Vinicio. Zico si infortunò già alla seconda di campionato in occasione di un 5-0 rifilato alla Lazio, e ci furono ricadute in varie occasioni durante il torneo. Ormai si lottava per non retrocedere e l’Udinese terminò undicesima.

Nella penultima giornata, il 12 maggio 1984, il “Friuli” assistette alla sfida tra Zico e Maradona, al primo campionato a Napoli. A una manciata di minuti dalla fine Diego pareggiò con una mano e nel dopopartita il brasiliano criticò duramente l’arbitro Pirandola di Lecce, beccandosi ben sei giornate di squalifica.

Accusato anche di costituzione di capitali all’estero, Zico venne addirittura condannato a otto mesi di reclusione e a un miliardo 630 milioni di multa, anche se a distanza di anni fu completamente scagionato. Intanto era già ritornato in Brasile al suo Flamengo e fu la fine di quella favola.

Nel luglio 1985 l’Udinese venne rilevata dal sanguigno friulano Gianpaolo Pozzo che, dopo un primo periodo altalenante, riportò in alto la società ed è ancora in sella dopo quasi 27 anni.

Oltre ai ricordi che tutti conserviamo, in diverse osterie di Udine e di tutto il Friuli si vedono ancora foto di Zico di quell’epoca esaltante e intensa, ma troppo corta. Ogni tanto si andava a vedere gli allenamenti al vecchio Stadio Moretti, insieme a una moltitudine di tifosi di tutte le età, famiglie, alunni di scuola in visita, e Zico si fermava sempre pazientemente a salutare e firmare autografi. Nonostante fosse un campione famoso il brasiliano conquistò tutti con la sua semplicità: un solido rapporto che si è rinnovato in ognuna delle poche visite in regione, ma che dura tuttora a distanza di trent’anni.

Ripensandoci, aveva proprio ragione quel mio amico, ti prende un nodo allo stomaco e dei brividi ti corrono lungo la schiena.

[continua con l’intervista nella parte 2]

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Alessandro Gori (Udine, 1970), giornalista freelance e da sempre appassionato di calcio, è malato di Balkani, Caucaso, America Latina, Catalunya ed Euskal Herria, e più in generale dei territori complicati e problematici. Sta preparando un libro di storie su “Un Altro Calcio”.
È laureato in Lingua e Letteratura Portoghese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi (in portoghese) su Musica Popolare e società in Brasile durante la dittatura: Chico Buarque e Caetano Veloso.

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