Maniman… centoventi anni di Grifone

[Di solito a Fútbologia evitiamo di glorificare una singola squadra. Ma la celebrazione della fondazione del più antico club d’Italia necessita di essere onorata. Lo fa per noi il direttore editoriale di China Files Simone Pieranni, esperto di questioni dell’Estremo Oriente, genovese e appassionato del Grifone. Manco a dirlo. NdR]

Genoa CFC 1983

Il 7 settembre 1893 (data di nascita di Mao Zedong) è la data di fondazione del Grifone, la società più antica d’Italia, quella che ha insegnato il calcio al paese, quando alcuni inglesi un po’ chic e classisti crearono il Genoa Cricket and Football Club.

C’è tutta la spocchia della Superba, in questa celebrazione, che al solito non si lega ai destini mirabolanti di una compagine, quella attuale, che sembra andare dritta come un fuso verso la cadetteria, già alla seconda giornata. A Genova si dice che «siamo del gatto», senza alcuna possibilità di scampo. Quando celebrammo i cent’anni, dice qualcuno, con ancora il Capitano Signorini in campo, se non sbaglio siamo retrocessi. Maniman

Nel corso della vita di ogni genoano il Genoa ha segnato tappe che affondano nella memoria custodita nel modo più geloso, quella da sfoggiare solo con i compagni di trasferta, di fughe sotto le pietre, di gol insperati, di acquazzoni mentre Maurizio Iorio ci faceva sognare ad Amsterdam. (Maurizio Iorio facci un gol, è per la Nord che te lo chiede, Maurizio Iorio facci un gol).

Quell’anno siamo usciti in semifinale e da lì è iniziata una lenta discesa, come altre volte nella nostra storia: un tubo temporale nel quale è toccato sorbirci Massimo Mauro come presidente (chi altro ha mai potuto provare una simile situazione?) e un presidente fricchettone che sulle maglie ha voluto mettere il suo soprannome, Nube che corre (che poi Nube che corre era anche il protagonista di una serie tv dell’epoca, La signora del West, per dire dei riferimenti culturali…). Con Nube che corre sulla maglia però, ricordo un derby siglato da Francioso, idolo totale: punizia sotto la Nord nel sette. Un derby da serie B, ma orrendo as usual.

foto maglia GENOA CFC Nube che corre

Nella storia del Genoa ci sono stati grandi protagonisti riconosciuti, Gigi Meroni ad esempio, altri meno noti (Kazu Miura o Marciano Vink autori di gol solo nei derby: la soddisfazione che dei cessi calcistici l’abbiano messa dentro contro «quelli là» è impagabile). Poi ognuno naturalmente ha i suoi miti: quando mi capitò di dover firmare con un pseudonimo su un quotidiano nazionale, utilizzai come primo nickname, Roberto Onorati. Celebre numero 11 del Genoa di Bagnoli, spesso criticato dalla Nord, per me era il simbolo del calcio: lentezza e tecnica, ciondolante e micidiale negli assist e talvolta anche goleador di reti clamorose (ne ricordo una fantastica contro l’Atalanta in un recupero del lunedì). Bagnoli disse che se anziché Onorati, si fosse chiamato Onorosky, sarebbe stato acquistato da una grande squadra.

Bagnoli, Onorati, ricordano la fase suprema del Genoa post seconda guerra mondiale. Skhuravy, ariete ceco di quel Genoa, disse che se il Presidente Spinelli avesse comprato un paio di giocatori quell’anno avremmo vinto lo scudetto. Invece «Sciarpa Gialla» tenne fede alla sua fama di «braccino» e lo scudo se lo presero i multicolors e noi arrivammo solo quarti. Il nostro destino: soffrire e patirci, ma sentirsi i padroni della città. Maniman…

Figurina di Giulio Abbadie

Figu di Giulio Cesare “El Pardo” Abbadie

Un secondo nickname che ho utilizzato è stato Giulio Abbadie. E qui siamo nella storia del Genoa, nella storia del calcio e nel momento che sancisce il legame genoano sudamericano, anni 60: con l’Argentina, i xeneixes della Boca, certo, ma con l’Uruguay e il Penarol in particolare. Abbadie e Aguilera (Eranio lallalala Eranio lallalala Eranio sta sulla fascia, si accentra e crossa e il Pato fa gol…vabbè eravamo giovani…), il mitico Pato, arrivato come offerta regalo insieme a Ruben Paz e Perdomo (quello del cane di Vodka Boskov…per intenderci, che però quell’anno segnò a Wembley contro l’Inghilterra con un gol su punizione da 40 metri). Perdomo era grammo (scarso ndr) ma picchiava come un fabbro e ricordo con piacere certe stecche ben date a Vialli – fighetto di Cremona e ottimo rappresentante dei ciclisti – in un derby di allora.

foto di Virgilio Felice Levratto

Virgilio Felice Levratto

Infine quando mi capitò di dover scrivere sempre con pseudonimo su un quotidiano ben noto utilizzai Levratto, lo «sfondareti». Il prossimo obiettivo è firmarmi come Marco Nappi, benché non l’abbia mai amato come calciatore, ma mi piace il nome. Poi naturalmente ci sono due uomini che più di altri rappresentano il Genoa di questo squarcio di secolo post seconda guerra mondiale. E non servono parole: Gianluca Signorini e Franco Scoglio.

foto di Franco Scoglio

120 anni di storia sono tanti e questo tipo di commemorazione punta all’unione, al vogliamoci bene, al popolo genoano, al siamo tutti nella stessa barca (le basse intese calcistiche). Secondo me no, non è così, non è questo il senso della celebrazione. Non si celebra tutto il Genoa, c’è una parte di Genoa che non mi piace, non mi è mai piaciuto più e vorrei finalmente creare una distanza.

C’è una parola che spiega bene alcune caratteristiche dei genovesi (sto dando per scontato che Genoa e genovese sia la stessa cosa), è una parola in dialetto che pare in effetti sia intraducibile in italiano e che avrete letto qua e là in questo pezzo. È maniman. Significa qualcosa come «non sia mai che». Per molti rappresenta la genovesità del genovese: mugugnone, sospettoso, un po’ sempre attento a non farsi male e preservare quanto si ha. È quanto odiamo noi che siamo stati nella Nord, fieri di sostenere il Genoa come simbolo di Genova del ’60, quella di quei ragazzi con la maglie a righe, quelle giuste però, che spuntati a De Ferrari fecero il bordello che portò alla caduta del governo Tambroni.

Fossa Grifoni ai funerali di Don Gallo, genoano

Fossa Grifoni ai funerali di Don Gallo, genoano

Si dice che il Genoa sia la squadra del popolo, dei camalli, degli operai e dell’aristocrazia (ben impersonata da colui che si fece popolo, ovvero De André). E in questi 120 anni non andrebbero celebrate entrambe queste composizioni, bensì andrebbe ricordato per una volta, che da un lato ci sono i genoani e dall’altro ci sono i maniman. Non è vero che il Genoa ci accomuna: noi siamo il Genoa, voi siete spettatori.

I maniman sono quelli che oggi difendono un Presidente impresentabile, un personaggio che ben rappresenta il paese, intento ai suoi affari privati e senza alcun interesse nei confronti del peso della storia di quella cazzo di maglietta rosso e blu. Non siamo maniman, siamo il Genoa, la storia del calcio. E anche senza un Presidente, in Eccellenza o chissà dove, conta solo questo: il Genoa Cricket and Football Club.

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Simone Pieranni è direttore editoriale e corrispondente dalla Cina per China Files e lo puoi trovare su Twitter.
Qui tutti gli articoli di Simone Pieranni su Fútbologia.

5 thoughts on “Maniman… centoventi anni di Grifone

  1. Lozioalbe

    Persone strane, bizzarre, in grado di esaltarci per due passaggi due di fila e in grado di cadere nella piu’ profonda depressione per un qualsiasi intoppo. Noi che quart’ultimi se vinciamo guardiamo a quanti punti e’ la quarta, noi che il bicchiere e’ sempre mezzo vuoto, noi che pero’ esiste solo il Genoa e non c’e’ niente di piu’ bello che il Genoa. Il Genoa e’ come un figlio, deve essere il piu’ bello il piu’ intelligente il piu’ affascinante, quello che ha piu’ successi, deve essere Gastone, ma in realta’ e’ come noi, Paperino, umile, sfigato, un po’ goffo, simpatico, allegro, ma ai nostri occhi e’ il piu’ bello bravo e intelligente di tutti.
    Noi che saremo la rovina del Genoa, e da un certo punto di vista e’ vero, ma e’ anche vero che nessuno e’ amato visceralmente come il Genoa, al di la di tutto e di tutti, al di la delle delusioni, al di la della sofferenza, al di la della classifica e della serie, al di la dei kilometri da percorrere e al di la delle critiche dei giornalisti degli arbitri dei presidenti degli allenatori e dei giocatori.
    Noi Genoani che porteremo sempre la figurina di Boselli nel portafogli ma che porteremo per sempre negli occhi Stellini che mette la palla sul dischetto a Salerno, e quella palla si sa pesava come una palla medica, ed e’ quella tra le due quella piu’ importante di palla, perche’ senza quelli la la citta’ e’ piu’ pulita, ma senza Genoa non esisteremmo noi, e sinche’ noi ci saremo ci sara’ il Genoa.
    Noi Genoani che festeggiamo la retrocessione allo stadio in 20 mila per mano a cantare ma se ghe pensu tutti per mano in lacrime, fieri, a testa alta, perche’ siamo retrocessi in C, ma me ne battu u belin ( e non MENGHIA ), noi Genoani che non andiamo in Europa per tirarcela ma per portare il Genoa oltre ogni frontiera, cosicche’ tutti possano ammirare il nostro amore senza limiti. E se si perde, belin se ci incazziamo, ma alla fine, me ne battu u belin, daghe Zena.
    Noi Genoani che per 4 giorni siamo stati primi in classifica e invece che essere esaltati, godevamo in silenzio, ed eravamo i primi ad ironizzare con cori e canzoncine inneggianti al primato ma cantati con il ghigno autoironico di chi si sente un po’ a disagio a essere li, perche’ si che e’ bello, ma siamo Genovesi, non ci piace che gli altri parlino del Genoa, perche’ solo noi possiamo, gli altri non potrebbero capire.
    Noi Genoani che mugugnamo, e’ il nostro modo di essere, lo e’ da generazioni e nessuno potra’ mai levarcelo, noi il Genoa lo critichiamo, siamo severissimi col Genoa, ma solo noi possiamo farlo, perche’ siamo noi ad amarlo come un figlio ed un figlio e’ il sangue, e’ la pelle, fa parte di te. Noi.. Noi Genoani

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  2. Xavier

    Belin, che pezzo, verrebbe da dire…
    Bravo e soprattutto finalmente qualcuno che ha il coraggio di fare la distinzione tra i genoani e maniman. Anche domenica al bar dove ho visto il derby tutti ad applaudire il presidente che sorrideva pensando a tutte le plusvalenze in arrivo.
    Il Genoa è una cosa particolare, ha un Dio tutto suo… (F.Scoglio)

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  3. AnniLuce

    Sarò prosaico ma è giusto ricordare che anche la partecipazione al campionato di Eccellenza costa quattrini e trovare il mecenate di sani principi che ce li metta non è così facile, il putridume in cui sguazza il calcio dilettantistico è lì a dimostrarlo. Lamentarsi di un presidente certamente discutibile è legittimo senza dover però necessariamente considerare genoani “sbagliati” quelli a cui stare 7 anni di seguito in A non dispiace affatto. Sarebbe bene in ogni caso che i genoani “giusti” prendessero le distanze dai genoani “giusti-squadristi” quando cercano di “proporre” le loro idee a schiaffoni .

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