Il “cugino” carnico di Iniesta

[Riceviamo e pubblichiamo]

di Alessandro Gori

Questa sera si conoscerà il vincitore del Pallone d’Oro FIFA 2012 con tre candidati in lizza, Lionel Messi, Cristiano Ronaldo e Andrés Iniesta. Dopo lo storico record di 91 reti segnate nell’anno solare, il favorito è sicuramente l’argentino, ma il portoghese eterno secondo quest’anno ha conquistato l’agognata Liga e il manchego ha lasciato il segno nella vittoria dell’Europeo della Spagna di Vicente Del Bosque.

Don Andrés, come viene chiamato a Barcellona, ha un tifoso speciale in Carnia: suo cugino Ezio De Prato da Chialina di Ovaro. L’ho incontrato qualche tempo fa per farmi raccontare la sua storia.

Emigrazione

La parentela arriva da lontano, da molto prima che Andrés nascesse. All’inizio degli anni Sessanta, Ezio come molti friulani andò a cercare fortuna in Francia. «Partii a 17 anni», mi racconta nella sua casa nella bassa friulana. «Feci tutta la trafila: iniziai come manovale, quindi muratore; dopo il tirocinio divenni assistente e poi capocantiere. Nel 1977 entrai in un’importante impresa di costruzioni presente nel mondo intero, soprattutto in Asia e Medio Oriente. Con loro ho lavorato per trent’anni. Fin da subito mi spedirono in Arabia Saudita, e poi in Iraq, paesi in cui sarei tornato più volte, quindi Marocco, Montecarlo e Cuba».

«Conobbi la mia prima moglie proprio a Parigi. Avevo 20 anni, e spesso andavo a ballare con amici spagnoli: furono loro a presentarmela, nel metrò. Ci sposammo giovani, nacque subito una bambina e poi due gemelle: a 24 anni avevamo già tre figli. Poi arrivò anche il maschio. Ora le ragazze vivono tra Arles e Nîmes, dove ho quattro nipoti».

Fuentealbilla

La parentela è presto svelata: «Mia moglie è la cugina del papà di Andrés. Sono originari di Fuentealbilla, un paesino di duemila abitanti in Castilla La Mancha, non lontano da Albacete, a 130 km da Valencia e a 300 da Madrid». Di Andrés Iniesta nella loro famiglia ce ne sono molti: «Tutti si chiamano come il nonno, che era appunto fratello del papà della mia ex moglie».

«A Fuentealbilla possedevamo anche una casa: non ci abbiamo mai abitato, ma ci andavamo in vacanza ogni estate, qualche volta anche due volte all’anno. Allora ebbi l’occasione di conoscere tutta la famiglia Iniesta e di apprezzarne le qualità: sono persone di umili origini e molto lavoratori. I parenti di mia moglie coltivavano i terreni in affitto, il papà José Antonio era muratore. Il cognome dalla parte della mamma è invece Luján e possedevano un bar nel paese».

Andresito nacque l’11 maggio del 1984. «Lo conosco fin da quando era piccolo. Allora per lui esisteva solo il pallone, non l’ho mai visto fare altro se non giocare a calcio: a cento metri dal bar c’è la scuola con i campetti e lui era sempre lì».

Dopo un provino, Andrés entrò a far parte delle giovanili dell’Albacete, che all’inizio degli anni Novanta aveva disputato cinque campionati di fila in Prima Divisione, ma che di solito vivacchia tra Seconda e Terza.

«Ho sempre ammirato la passione per il calcio di José Antonio che due-tre volte alla settimana portava il figlio a fare allenamento fino ad Albacete. Un giorno, durante un torneo in cui la squadra giocò contro il Barça, i dirigenti catalani notarono Andrés e fecero alla famiglia una proposta per portarlo in Catalogna. Credo che il Barça selezionò tre dei 350 bambini che giocavano lì».

Non si trattò di una scelta facile. «I suoi non erano convinti di lasciarlo andare così lontano, a 500 km di distanza. A insistere fu il nonno materno, quello del bar: quando portarono per la prima volta il piccolo Andrés a Barcellona, la delegazione era capitanata proprio dal nonno. La prima notte il papà non riusciva a dormire: voleva svegliare tutti, prendere bambino e moglie e ritornare a casa. Fu suo suocero l’indomani mattina a convincerlo: Andrés rimase e iniziò la sua avventura con il Barça».

All’inizio il bambino era solo e risiedeva alla Masia, il convitto delle giovanili del Barça che si trova di fronte al “Camp Nou”, una tipica casa maso antica della campagna catalana. Dopo un paio d’anni papà, mamma e sorella affittarono un appartamento proprio nei pressi dello stadio e si trasferirono tutti a Barcellona: allora Andrés passava la giornata tra scuola e allenamenti, ma poteva finalmente tornare a dormire a casa. Quando divenne professionista la famiglia prese casa a Sant Feliu del Llobregat, alla periferia sud della città catalana.

Racconti di pianti, eccezione perché era piccolo.

Un aneddoto importante: «Nel 1999 per il Centenario del FC Barcelona, l’allora 15enne Iniesta venne scelto per rappresentare il club insieme a Guardiola in una visita dal Papa, forse perché era il miglior cadetto del vivaio. Allora Pep gli disse: “Sono sicuro che prenderai il mio posto nel centrocampo del Barça”. Fino a pochi anni fa, l’unica foto che Andrés teneva appesa nella sua camera era proprio quella con Guardiola, nessun’altra».

Mentre mi racconta queste storie Ezio mi offre un ottimo Ron cubano, invecchiato 15 anni, che fa una bella accoppiata con il caffè.

Tifo

Un capitolo a parte merita il tifo a Fuentealbilla. A Castilla La Mancha sono quasi tutti per il Real Madrid e, si sa, tra castigliani e catalani non c’è molta relazione. «Penso sia stato l’unico bambino di quelle zone ad essere adottato a Barcellona, forse anche per il suo carattere: è un ragazzo semplice, timido e riservato come la mamma, dalla quale ha ereditato anche la pelle molto bianca. Anche la grande famiglia Iniesta era del Madrid, a parte uno o due parenti. Molti di essi ora tifano per il Barça grazie ad Andrés, ma non tutti; alcuni sono rimasti con le merengues, come lo zio più anziano che ha la mia età ed è uno sfegatato: ogni volta che segna il Madrid lancia un petardo che lo sentono in tutto il paese. Poi mio cognato: se quei due vanno al bar mentre trasmettono una partita del Barça puoi star sicuro che se ne vanno immediatamente. Il papà ovviamente ha cambiato fede».

L’esordio

Nell’ottobre 2002 Louis Van Gaal fece esordire Iniesta in prima squadra in una partita di Champions contro il Brugge. Ma il carattere dell’olandese, sicuramente l’allenatore più odiato degli ultimi anni a Barcellona, faceva soffrire il giovane manchego. «Spesso mi trovavo in macchina con suo papà verso lo stadio e Andrés chiamava per annunciarci che non era tra i titolari o i convocati».

Con Rijkaard andò meglio, anche se spesso Iniesta giocava solo spezzoni di partite. Andrés non è entrato direttamente tra i grandi come Messi o altri, il suo inserimento è stato invece molto più graduale. Nel 2004/05 entrò a far parte della prima squadra con regolarità, anche se veniva utilizzato soprattutto a partita iniziata per scardinare le difese avversarie. Nella stagione successiva un infortunio al ginocchio lasciò il centrocampo del Barça per sei mesi senza Xavi, e Andrés approfittò dell’occasione entrando in pianta stabile tra i titolari.

In Champions contro l’Udinese

All’inizio del 2005/06 l’Udinese riuscì per la prima (e unica) volta a conquistare la Champions e nella fase a gironi venne sorteggiata proprio contro i catalani. «Quell’anno vidi tutte le partite europee in casa. Al “Camp Nou” sul 2-1 l’Udinese sembrava potesse ottenere un pareggio; poi alla fine perse invece 4-1, ma giocò bene. Per me fu un motivo d’orgoglio: allo stadio tutti si domandavano chi fossi, visto che applaudivo entrambe le squadre».

Al ritorno fu l’apoteosi. «Ci sentimmo al telefono, Andrés mi promise alcuni biglietti per la partita, ma all’hotel ebbi qualche problema perché non lasciavano scendere i giocatori. Alla fine ci incontrammo poco prima che la squadra partisse verso lo stadio. Quando uscii dall’albergo con la maglia del Barça ma parlando in carnico una giornalista del TG regionale mi mise il microfono davanti chiedendomi: “Come mai un friulano con la maglia del Barcelona?” Così raccontai brevemente la mia storia».

Bastava un punto per qualificarci agli ottavi di Champions ma purtroppo, come ricordiamo tutti, quello che doveva essere l’appuntamento più importante della storia ultracentenaria dell’Udinese si trasformò nel peggiore incubo. Il Barça, già qualificato come primo del gruppo, venne a Udine a disputare un semplice allenamento, con una squadra largamente rimaneggiata e addirittura senza Rijkaard in panchina, rimasto a casa per problemi fisici. Contro un avversario che non chiedeva niente, l’Udinese invece sembrava fosse invece scesa in campo per puntare fin dal primo minuto su un assurdo 0-0; per questo purtroppo ci ricorderemo per sempre di Serse Cosmi, esonerato non molto tempo dopo. Finì 0-2 per i catalani, con reti di Ezquerro e proprio di Iniesta.

«Finimmo dietro al pullman del Barça diretto all’aeroporto di Ronchi e dalla macchina chiamai Andrés per ringraziarlo ironicamente per la partita e il gol. Lui mi rispose: “primo (cugino, in spagnolo), cosa volevi che facessi, ero da solo davanti alla porta vuota, mica potevo tirare fuori…” Non volevano segnare, non gli interessava vincere la partita, in qualche modo volevano aiutare l’Udinese». Non ci riuscirono.

La finale di Parigi

«Vidi la semifinale di ritorno contro il Milan al “Camp Nou” e, a sorpresa, riuscimmo ad andare anche alla finale di Parigi nel maggio 2006.

Il papà di Andrés ha la fobia dell’aereo, assiste solo alle partite in casa o quelle che si disputano non lontano da Barcelona. «Per la finale avevano organizzato due pullman; in uno c’era tutta la famiglia, nonno compreso. Li aspettavo al primo autogrill dopo Arles, da dove passa l’autostrada per la capitale. Avevo anche esposto la bandiera del Barça: passavano i catalani e suonavano i clacson. Passammo due bellissime giornate a Parigi, l’ambiente sotto la Tour Eiffel era fantastico».

Il Barça vinse 2-1 contro l’Arsenal di Thierry Henry, con reti di Campbell, Eto’o e Belletti. Iniesta disputò il secondo tempo della partita, entrando in sostituzione dell’infortunato Edmílson: capitan Puyol poté così alzare la seconda Coppa Campioni / Champions della storia del Barça.

Dopo due anni agrodolci con la pericolosa parabola discendente di Rijkaard, nel 2008/09 Pep Guardiola prese in mano la squadra conducendola già al primo anno alla conquista di tutti e sei i titoli disputati, un’impresa mai vista. Grande protagonista fu nuovamente Iniesta, soprattutto per la rete all’ultimo respiro della semifinale contro il Chelsea a “Stamford Bridge” che valse la qualificazione all’agognata finale. Quel tiro all’incrocio al 93’ quando tutto sembrava ormai perduto venne battezzato Iniestazo.

Il trionfo mondiale

Nel 2010 sembrava che Iniesta potesse ricevere il massimo alloro individuale per un calciatore grazie alla sua rete nella finale di Johannesburg.

Sembra che il giorno della finale il papà di Andrés scappò dal paese per la tensione e non vide neanche la partita. «Ha voluto isolarsi, perché si stressa troppo. Dopo la finale sono riuscito a parlare con lui. “Tuo figlio è passato alla storia” gli ho detto: “La Spagna vince la sua prima Coppa del Mondo e Andrés segna l’unico gol della finale: una favola!».

Già due anni fa il vincitore fu Messi, comunque il miglior giocatore in circolazione. Vedremo stasera l’annuncio nel Gran Gala della FIFA a Zurigo.

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Alessandro Gori (Udine, 1970), giornalista freelance e da sempre appassionato di calcio, è malato di Balkani, Caucaso, America Latina, Catalunya ed Euskal Herria, e più in generale dei territori complicati e problematici. Sta preparando un libro di storie su “Un Altro Calcio”.
È laureato in Lingua e Letteratura Portoghese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi (in portoghese) su Musica Popolare e società in Brasile durante la dittatura: Chico Buarque e Caetano Veloso.

 

3 thoughts on “Il “cugino” carnico di Iniesta

  1. de prato

    grazie per comentare questa meravigliosa storia ,ma certamente sarebbe stato piu meraviglioso se il pallone d’oro fosse stato aggiudicato al nostro Andres,que lo merita sicuramente,visto que la metà dei gol di Messi sono passagi e azioni fatte da lui, ritengo que i media sportivi sempre mirano i goleador . con questo non voglio levare a Messi il suo valore,pero Andres ed altri, si meritano una volta questo titolo.
    adesso aspetto il prossimo incontro con il Milan in champions, anche io ho avuto sempre tendenze Milaniste pero Andres mi ha avvelenato oggi non posso lachiare di vedere le partite del Barça.

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  2. Giovanni

    Per me Iniesta è il giocatore più forte del mondo. Da pallone d’oro tutta la vita: se lo merita.

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