Author Archives: Redazione Futbologia

Fútbologia: l’introduzione di Paolo Sollier

[questa breve lettera di Paolo Sollier ha introdotto Fútbologia su CarmillaOnLine, la storica zine di letteratura, cultura e immaginario di opposizione fondata e diretta da Valerio Evangelisti]

Fútbologia

di Paolo Sollier

immagine di pallone in acquaAnni fa, alcuni scienziati, dopo accurati studi, erano arrivati a una conclusione definitiva: qualsiasi sostanza sia immersa nell’acqua, anche per poco, lascia una traccia che rimarrà per sempre, indelebile impronta molecolare a testimoniare un passaggio, magari qualche secolo fa. Chissà se è davvero così, ma certo la memoria dell’acqua è perfetta per parlare di calcio. Continue reading

Asfalto storico. Brasile-Italia quattrauno

1970 Brasile - Italia 4-1 - Il terzo gol di Jairzinho

di Matteo Gatto

Quattrazzero, quando si fa sul serio, l’Italia non perde mai. Magari se ne va malissimo, senza farti sognare per niente, senza passare i gironi, o si scioglie ai rigori, o s’involve davanti a una Corea a piacere. Ma quattrazzero non s’era mai visto. Bisogna ammetterlo: ha fatto molto male.

Infatti, in queste settimane, incapace di rialzare la testa e guardare avanti a un futuro dominato da iberici e sassoni, mi sono voltato indietro e ho affrontato il lutto in modo insolito: osservando il lutto di una generazione precedente. Un’altra batosta, l’Altra Batosta. Città del Messico, 1970, stadio Atzeca, Brasile-Italia quattrauno. Non so ancora bene perché, ma me la sono vista tutta, dagli inni all’invasione di campo. Ha riaperto un mondo e rivalutato una prestazione: avevamo giocato bene. Così mi è parso.

“Qui è quasi mezzogiorno. È una strana mattina grigia e uggiosa che esce da una nottata di pioggia e temporale”. E già dall’introduzione meteoropatica di Nando Martellini che si intuisce l’imminente pesantezza di questa giornata. Continue reading

Contratto a progetto (il traghettatore)

[Riceviamo e pubblichiamo]

di Antonio Spera

Nabokov scriveva “Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta”. Allo stesso modo e con la stessa danza orale, tra lingua e denti, molti Presidenti di squadre di calcio dicono la parola “Tra-ghet-ta“. Non è un nome proprio di persona e non è un vezzeggiativo. E’ un verbo. Un imperativo per la precisione. Di sensuale c’è molto poco, di malizia adolescenziale ancor meno. Ma la seduzione che certi Padroni del vapore pedatorio subiscono è la stessa. Traghetta il traghettatore. Il calcio non ha mai avuto dimestichezza con la questione di genere. E quindi traghettaci, uomo. Mai un mezzo di trasporto, nemmeno dei più usati, è diventato così celebre. Dalla semantica alla semiotica. Il tutto con un unico scopo: accompagnare il presente in attesa di stagioni migliori.

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Il niño in periferia

[Riceviamo e pubblichiamo da Salvatore Migliaccio. In occasione del cinquantacinquesimo compleanno di Diego questo racconto è stato rinnovato con una introduzione breve del poeta Gianni Montieri]

Introduzione
di Gianni Montieri

La magia e, consentitemi, i miracoli non dovrebbero mai avvenire nei luoghi in cui la gente se li aspetta, per questo ho sempre diffidato dello scioglimento del sangue di San Gennaro. Intendiamoci, se San Gennaro per una volta il sangue l’avesse sciolto a Giugliano, in un rione popolare, oppure in una delle buche che mangiano il nostro asfalto, avrei potuto anche credergli. A Maradona credevamo sempre, la magia viaggiava con lui, il miracolo non aveva bisogno sempre del San Paolo. Maradona, lo prendevano, lo mettevano in macchina e ogni tanto lo portavano vicino alle nostre case, venne pure a Giugliano una volta, fece un giro di campo, e già quello ci illuminò. Il fatto che lui arrivasse era sinonimo di felicità, eravamo ragazzini, era il tempo dei sogni, Diego rappresentava il sogno reale. Altre volte guidava lui e arrivava in posti dove la gente si doveva adattare, come quella volta a Monteruscello, quella fu la volta che il bradisismo divenne un’altra cosa.

Foto di Maradona e sticker Bagnoli King

Bagnoli King – Foto di Jekyll283 – https://www.flickr.com/photos/jekyll283/4967241290

di Salvatore Migliaccio

Monteruscello periferia post-bradisismica di Pozzuoli, anno 1988. Enormi scatoloni, messi in fila, senza fiocchi e luccichii, dentro cui uomini, donne e bambini vivono arrangiandosi. L’unica bellezza concessa alle periferie è lo spazio aperto, dove puoi giocare allo sport che vuoi. Non c’è la ristrettezza del centro città, il vicolo non ha residenza, non corri il rischio che qualcuno ti buchi il pallone perché il tuo tiro ha mandato in frantumi il vetro della vecchierella scassacazz, la palla difficilmente si infilerà e resterà bloccata sotto l’auto parcheggiata in divieto di sosta. Quando si avvicina la sera e la scuola è ormai finita, l’aria delle periferie è un coro di voci. Mamme che dai balconi chiamano i figli “Antoooonio saaaali che è prontaaa la cenaaa”, e Antonio Rummenigge che non sente, impegnato in uno dei suoi sontuosi salti verso l’alto nel tentativo di colpire di testa il cross di Raimondo.

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Senegal Campione Mundial 2012

di Tiziano Colombi

«L’appartenere a un mondo multiculturale esige un forte e maturo senso di identità». (Ryszard Kapuscinski – L’altro)

I leoni della teranga sconfiggono la Nazionale nigeriana 6 a 4 dopo i calci di rigore.
Sono, per la seconda volta, campioni del Balon Mundial, il torneo delle comunità migranti di Torino.
Nell’albo la nazionale più vincente è quella della Costa D’Avorio, con tre successi. Uno per il Perù e uno per la formazione denominata Khorankanè completano la storia delle sei edizioni del torneo.
Dio è con noi!
Dio è con noi! – urla il tifoso senegalese sotto di me sugli spalti dello stadio Primo Nebbiolo.
Il Senegal ha segnato il quinto decisivo rigore, tutti dritti in porta, nessun errore, complice la malinconica figura di Lucky James. Il portiere della Nigeria, con nome da pistolero, se n’è stato tutto il tempo sulla linea di porta rassegnato al peggio, come aspettasse una pallottola di Clint Eastwood. Continue reading

Calcio e media

[di Enrico Marini, giornalista freelance e PhD student alla Universidad Carlos III de Madrid.]

Calcio e globalizzazione

Più dell’economia di mercato o della democrazia – come afferma il prof. Pascale Boniface – il calcio è l’unico fenomeno globale che non conosce confini. Mentre il FMI è costituito da 188 stati membri e l’ONU da 193, la FIFA supera tutti con 209. Globalizzazione che è perfino linguistica, la passione per il calcio ha coniato un linguaggio talmente diffuso presso tutti gli strati della società da essere usato, con sempre maggiore frequenza, in altri ambiti: la ‘performance’ oggi è quella della nazionale di Spagna che rifilandoci quattro gol vince il suo terzo titolo internazionale consecutivo, ma è anche il risultato economico di un’impresa, o dello stesso paese Spagna. Inoltre, soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale, i politici di mezza Europa fanno sempre più spesso riferimento alla metafora di squadra, con l’intenzione di trasmettere valori di unità e spirito di sacrificio.

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Zambrotta, il bel gesto e il terrore del crollo (calcio e identità nazionale)

[Di Fabio Camilletti, assistant professor al dipartimento di Italian Studies all’università di Warwick.]

Quando Mandžukić, il 14 giugno scorso, segnò il gol del pareggio contro l’Italia (e il paragone sembrò farsi più concreto nel momento in cui, quella sera stessa, la Spagna asfaltò l’Irlanda per 4 a 0), il pensiero di molti si rivolse al 18 giugno di otto anni prima, quando un tacco di Ibrahimović – a cinque minuti allo scadere – aveva fissato il risultato sul pari, di fatto eliminando l’Italia dall’Europeo. A Oporto, nel 2004, l’Italia aveva giocato un buon primo tempo, andando in vantaggio per uno a zero. Col secondo tempo la squadra si era chiusa più o meno in trincea, e al 70’, forse per gestire meglio il risultato, Trapattoni aveva fatto uscire Cassano, l’autore della rete. Questa – a detta della maggior parte dei commentatori – era stata la causa principale della débacle (quella sera, con tono da profeta biblico, Aldo Biscardi commentò che il tecnico doveva aver ‘perso il lume del giusto’, spegnendo ‘la luce in campo’). Quel che più inquietava, tuttavia, era l’idea – chiara, e sottilmente perturbante – che quel gol dovesse arrivare, necessità dettata da qualche tara atavica e ineliminabile.

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La solitudine del viola

[Lo scrittore di romanzi noir Luca Rinarelli ci ha regalato questo racconto viola.]

Torino, 2 marzo 2008.
La sveglia sta suonando. Non so da quanto. Riesco a socchiudere le palpebre di quel poco che consente alla luce di entrare, senza far male.
L’una del pomeriggio, dopo sei ore di sonno. Notte brava, resa possibile dal turno pomeridiano. Il lavoro. Di domenica. Fanculo.
La mia band ha goduto di una serata di successo, come la mia chitarra elettrica. Stiamo ingranando alla grande, ma con la musica non si mangia. Non ancora, mi piace pensare.
Un dolore pulsante alle tempie rallenta la risalita verso la posizione seduta. Devo darmi una mossa, fra un’ora entro in fabbrica. E non potrò vederla. Continue reading

L’ultimo tackle. Storia di un partigiano-calciatore

[Riceviamo e pubblichiamo – di Domenico Mungo]

Qui ebbe i natali
BRUNO NERI
comandante partigiano
caduto in combattimento
a Gamogna il 10 luglio 1944
dopo aver primeggiato come atleta
nelle sportive competizioni
rivelò nell’azione clandestina prima
nella guerra guerreggiata poi
magnifiche virtù di combattente e di guida
esempio e monito alle generazioni future
(Iscrizione sulla lapide posta presso la casa faentina di Bruno Neri)

Oggi davanti all’Eremo di San Barnaba c’è un agriturismo intitolato ad un profumato fiore boschivo, il cui nome omettiamo per desiderio dei nuovi proprietari. Sono giovani imprenditori, figli della borghesia gaudente ed edonista dell’operosa e produttiva Emilia – Romagna. Giovani di Faenza. Vanno “lassù” solo al venerdì sera, per vedere come vanno gli affari e trascorrere il week-end in compagnia dei clienti, quasi sempre amici e conoscenti, a cui danno in gestione per intere settimane la cascina. Continue reading

Inni contro e silenzi: Spagna-Italia nel Casco Viejo di Bilbao

 [di Francesco Spé, il nostro inviato in terra basca.]
Mancano pochi istanti all’atteso fischio d’inizio. All’improvviso le immagini dei giocatori della Spagna disposti in fila in mezzo al campo diventano mute. L’istrionico barista, reo dell’accaduto, si avvicina convinto allo stereo dietro il bancone. Matteo prova a trovare una spiegazione: «ci fa ascoltare la partita col commento della radio, vedrai».

L’ipotesi mi convince: i telecronisti di Tele 5 (Gruppo Mediaset) non sono un granché (basura, secondo Carlos Boyero de El Pais), e pure io facevo lo stesso spegnendo Pizzul per ascoltare il Mondiale del 2002 su Radio Rai 2 con i Gialappi (che all’epoca facevano ancora ridere) e boicottando l’impresentabile Marco Civoli a favore di Riccardo Cucchi (Radio Rai 1) durante il Mondiale 2006.

Ma ci bastano pochi secondi per scoprire che le intenzioni del barista sono ben altre. Niente radio, bensì un traccia su cd: Eusko Abendaren Ereserkia, ovvero “l’inno della patria basca”! Continue reading

Incredibilmente bianchi: la storia dell’Albino United Team

[Riceviamo e pubblichiamo – di Paolo Bottiroli]

Ci sono superstizioni dure a morire. Il gatto nero che attraversa la strada, il passare sotto una scala, i gufi che portano cattiva sorte. In alcune zone dell’Africa (in particolare in Tanzania, Kenya e Uganda), ve ne sono di molto pericolose sulle persone albine: conservare un pezzo del loro colpo aiuterebbe ad allontanare malocchio e disgrazie; la loro carne, usata nelle reti, sarebbe perfetta per avere una pesca abbondante; un loro osso faciliterebbe la ricerca di metalli preziosi; e i genitali, miscelati in particolari pozioni, esalterebbero le prestazioni sessuali. Almeno così credono stregoni e sciamani di alcuni di questi villaggi. Ragioni per cui in queste zone si è scatenata una vera e propria caccia all’albino, tant’è vero che la ong Under the Same Sun ha calcolato che dal 2007 ad oggi per questi motivi almeno sessanta albini sono stati uccisi nella sola Tanzania.


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Vocabolario Fútbologico

[Intervista a Luca aka Wu Ming 3 a cura di Tiziano Colombi, già pubblicata sull’edizione online de L’indice dei libri]

Dal Super Tele a piazza Tahrir. Con Wu Ming 3

Estate calcistica. Il tenutario della rubrica scende dal bus e si piazza sul divano a seguire le partite. Poi gli viene una pensata.
Esiste un’idea di sport alternativa allo spettacolo?
Il calcio, oggi un sottoprodotto commerciale devastato dagli scandali, è stato, ed è, anche altro. Qualcosa di più di un business milionario.
Storie, sudore, desiderio, letteratura, lotta, ribellione.
Proviamo a scoprirlo con l’aiuto di Luca Di Meo (aka Wu Ming 3), penna e cuore del progetto Fùtbologia, festival di tre giorni che si terrà a Bologna a Ottobre. Continue reading

Il Subbuteo e i bei vecchi tempi mai esistiti

[Riceviamo e pubblichiamo – di Filippo Marano]

Per quelli che sono nati sul finire degli anni ’80 i bei vecchi tempi del football non sono mai esistiti. O meglio, hanno i contorni della leggenda, sono una mitologia a posteriori che non dà alcuna garanzia di essere mai esistita.

I primi ricordi calcistici di costoro sono probabilmente legati a una delle più cocenti e dolorose sconfitte della nazionale italiana: la finale dei mondiali statunitensi del ’94 persa ai rigori contro il Brasile. Gli avversari che ci batterono in quella partita rocambolesca (un episodio su tutti: Gianluca Pagliuca bacia il palo che lo ha appena graziato) rimarranno per sempre marchiati a fuoco nella memoria di un’intera generazione: in particolare, quella coppia d’attacco minuscola – solo per corporatura fisica– formata da Romario e Bebeto. Due nomi che fanno da spartiacque tra i miti verde-oro degli anni Sessanta e i ben più concreti successori di fine millennio, i primi veri calciatori robot della storia.

Roberto Baggio - Mondiali 1994 Continue reading

Dal nostro Colloinviato in terra basca

[Dall’inviato ufficiale in terra basca di Fútbologia, Francesco “ve l’avevo detto” Spè.]

¡A la puta calle Xabi! Eres un paquete! Vamos Portugal! urla un buffo e irrequieto ragazzo basco, Voll Damm in mano e porro in bocca, non appena si accorge che il portiere portoghese Rui Patricio ha parato il rigore di Xabier Olano Alonso, nato nella basca Tolosa, cresciuto nella basca Real Sociedad, e da tre anni, dopo un intenso lustro passato a Liverpool, fulcro del centrocampo del castigliano Real Madrid.
Mi trovo a Gernika (si, proprio quella) in una taverna semi-deserta dove campeggiano bandiere dell’Athletic Bilbao in ogni angolo. Il solitamente impeccabile Xabi Alonso, dopo aver steso la Francia con una doppietta, ha appena inaugurato con un errore la serie di tiri dagli 11 metri tra Spagna e Portogallo, dalla quale uscirà la prima finalista dell’Europeo.

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Tutta colpa di Robben di Nicola Tanno

Tutta colpa di Robben[Riceviamo e pubblichiamo – di Alessandro Villari, l’avvocato del lavoro ufficiale di Fubtologia.]

La sera dell’11 luglio 2010 ero davanti al maxischermo di Radio Aut a Pavia, con un manipolo di amici più o meno appassionati di calcio. Birra ghiacciata in una mano, portatile sulle ginocchia, Spagna-Olanda, finale della Coppa del Mondo. Partita con poche occasioni da gol: in avvio Stekelenburg compie un grande intervento su Sergio Ramos lanciato da calcio di punizione di Xavi, poco meno di un’ora dopo Robben, messo da solo davanti a Casillas grazie a un lancio da Pallone d’Oro di Sneijder, spreca clamorosamente. Continue reading