La solitudine del viola

[Lo scrittore di romanzi noir Luca Rinarelli ci ha regalato questo racconto viola.]

Torino, 2 marzo 2008.
La sveglia sta suonando. Non so da quanto. Riesco a socchiudere le palpebre di quel poco che consente alla luce di entrare, senza far male.
L’una del pomeriggio, dopo sei ore di sonno. Notte brava, resa possibile dal turno pomeridiano. Il lavoro. Di domenica. Fanculo.
La mia band ha goduto di una serata di successo, come la mia chitarra elettrica. Stiamo ingranando alla grande, ma con la musica non si mangia. Non ancora, mi piace pensare.
Un dolore pulsante alle tempie rallenta la risalita verso la posizione seduta. Devo darmi una mossa, fra un’ora entro in fabbrica. E non potrò vederla.
In strada mi schiaffeggia un caldo strano, per essere a Torino ai primi di marzo. Il quartiere risplende di una luce insolita.
Il litro di caffè ingurgitato a casa comincia a fare il suo dovere.
Alle 14 sono dove devo essere. Nonostante abbia in testa La Partita, non certo Francesca. Che dovrò vedere stasera, o sarà la fine. Francesca. Da qualche tempo, tra me e lei non gira.
“Sei pronto?”
La voce del capoturno mi sveglia e mi riporta alla realtà, fatta di un capannone grigio della periferia nord, ricoperto da un soffitto ancora più triste. Carpenteria metallica, componenti di lamiera stampata per telai da camion.
Che stronzo, il capo. Già pregusta. Sono vent’anni, che non vinciamo in casa loro. Mi piazza una pacca sulla spalla, come a dire che non arriveremo mai da nessuna parte. È probabile che abbia ragione.
Mi impongo di stare calmo. È solo una partita, e io ho solo un contratto a tempo determinato.
Guanti, cuffie e armamentario di sicurezza. Qualche risata con gli sventurati compagni di questo pomeriggio. Tutti come me: quasi single, quasi assunti. Ma oggi, per loro non ci sono. Due ragazzi mi sorridono. Sono del Toro e sanno. Mi mandano, con le loro espressioni facciali, una sorta di solidarietà della sfiga.
I soliti movimenti, la manualità di sempre. Segui, spingi, lascia. Fai partire la macchina. Acqua di raffreddamento.
Alle 14,45 accendo l’i-POD. Gli auricolari, nascosti sotto le cuffie di protezione, si sentono da dio. Aumenta l’ansia.
Stazione memorizzata. Radio RAI.

Gentili ascoltatori, un caro saluto da Alfredo Provenzali e dallo staff di “Tutto il calcio minuto per minuto”…

Mi faccio coraggio. Chissà perché ci tengo tanto. Smetto di chiedermelo, subito.

… la linea va a Riccardo Cucchi a Torino, per Juventus – Fiorentina…
Grazie, Provenzali. Bel pomeriggio caldo e soleggiato, qui all’Olimpico. In questo clima estivo, si affrontano…
… vado a leggere le formazioni: la Juventus scende in campo con…

Do un’occhiata attorno: tutti chini su quel che devono fare. Il mio nervosismo sale. Succede sempre e solo quando giochiamo contro di loro. Adesso la radio è collegata con un altro campo. Un’altra partita. Fissare il soffitto d’impalcature metalliche non mi aiuta a far passare il tempo.

Ora la linea a Torino.
Grazie, Provenzali. La partita è vibrante e dobbiamo dire che la Fiorentina è partita bene. Gioco ordinato, ripartenze veloci. Al dodicesimo il risultato è fermo sullo 0-0…

Per due secondi mi viene in mente Francesca. La caccio.
Non vinciamo in casa della Juve dal 1988. Baggio e Borgonovo i marcatori. La B2, come la chiamavano allora i tifosi, pieni di speranze in qualcosa che non si sarebbe mai realizzato.
Sbuffo, schiaccio il pugno destro sul pianale della pressa. Manco dovessi prendere la rincorsa per il salto in alto.

Scusa! Qui è l’Olimpico di Torino che deve intervenire! Viola in vantaggio: perfetto assist smarcante di Jorgensen che manda Gobbi al tiro. Geometria perfetta e difesa bianconera che resta a guardare. Al diciottesimo minuto, Juventus 0 – Fiorentina 1…

Sento gonfiare l’area attorno agli occhi. Come se dovessi esplodere. Vorrei saltare, urlare.
Trascorro dieci minuti in trance. Il vicino di linea ogni tanto mi osserva. Qualcosa non gli quadra, è chiaro. Devo avere l’espressione di un kamikaze. Quando si annoda in fronte quella fascia bianca col bollino rosso e gli ideogrammi neri.
Sembra che io sia l’unico a sapere cosa stia accadendo. Si tratta di un miracolo momentaneo, ovvio. Come nel campionato 1994-95, nell’assurdo catino del Delle Alpi. Avanti di due gol a zero, siamo riusciti a farci raggiungere e superare nel secondo tempo. Ottenendo un triplice disastro: perdere la partita, lanciare la Juve di Lippi verso lo scudetto e far esplodere la carriera del giovane Alessandro Del Piero. Sulla panchina della Viola sedeva Claudio Ranieri, che oggi sta dall’altra parte.

Sissoko! Il pareggio bianconero! Stupenda rovesciata del maliano della Juventus, dopo una respinta corta del portiere della Fiorentina Frey. Al ventottesimo, Juventus 1 – Fiorentina 1…

Ecco, appunto. Porca troia. Quando si nasce perdenti, c’è poco da fare.
La circolazione alle gambe prende a singhiozzare. Mi sento male. Non riesco a proseguire col lavoro. Vorrei fermare la macchina e andare al cesso. Chiudermi dentro. Sparire. È un mio diritto, perché adesso sono inabile. Invalido.
Ma devo rimanere. Mi limito ad attendere il naturale svolgimento degli eventi.
Neppure ascolto la radio. Un ronzio insulso mi sciacqua le orecchie.
Mi sveglio alla fine del primo tempo.

I viola se la stanno giocando, senza paura. Partita gagliarda.

Vorrei la mia cazzo di pausa, adesso. Respiro a fondo. Riesco a percepire il gonfiore dei polmoni.
Ce – la – possiamo – fare.
Caldo alle dita, che stanno soffocando nei guanti.

A Torino la seconda frazione è iniziata da cinque minuti. Formazioni invariate. Le andiamo a rileggere…

Sbatto il piede sinistro contro il pavimento. Due volte, con forza. Come se dovessi schiacciare uno scarafaggio d’acciaio.
Non posso udire il suono della mia voce, ma mi pare di essere intonato. Lo intuisco dalle vibrazioni del pomo d’Adamo, mentre sto tentando di abbozzare le prime note dell’Inno Viola di Narciso Parigi.
Gli altri penseranno di avere un’idiota, al loro fianco.

Intervengo ancora da Torino! Camoranesi ribalta il risultato all’undicesimo della ripresa. Bianconeri in vantaggio!

Calo di pressione. O di zuccheri. O entrambe le cose.
Eccolo, il naturale svolgersi degli eventi.
Devo sedermi.
Mi invade un senso di ingiustizia potente. Del tipo che la rivoluzione stava per vincere, ma non meglio specificate truppe governative l’hanno soffocata nel sangue con immensa crudeltà.
Porca puttana, ma perché mi ostino a tifare per questa squadra inutile! Ovvio. Hai voluto fare l’originale, quello che non segue la maggioranza. Eccoti servito, coglione. Te lo meriti.
Vuoi vincere? Scegli qualcun altro.

… il tecnico viola Prandelli opera due sostituzioni: sono entrati il senegalese Papa Waigo e l’agentino Osvaldo, al posto di…

Oddio! Ma cosa fa?! È impazzito! Chi diavolo sono, ‘sti due? Stiamo perdendo 2-1, come spesso è capitato. E lui va addirittura a cercare la figuraccia!
Gli altri operai non staccano più gli occhi da me. Avrò imprecato qualcosa di assurdo. La mia follia dev’essere uno spettacolo raro e coinvolgente.

La linea a Riccardo Cucchi. Torino?
Sì, siamo al ventottesimo del secondo tempo con la Juventus che conduce per 2-1 sulla Fiorentina, in virtù dei gol segnati da Gobbi e Sissoko nel primo tempo e da Camoranesi nella ripresa. I viola, nonostante il colpo subito, continuano a macinare gioco e infatti sono di nuovo al limite dell’area. Attenzione! Passaggio filtrante per Papa Waigo sulla destra… rete! Pareggio! Ha pareggiato il senegalese Papa Waigo per la Fiorentina! Il punteggio ora è tornato in equilibrio sul 2-2. Al minuto ventinove della seconda frazione…

La circolazione sanguigna riparte. I nervi. Sento gli odori per la prima volta, oggi. I polpastrelli percepiscono ciò che toccano, attraverso lo spesso tessuto protettivo.
Vedo la fine. Dobbiamo resistere venti minuti scarsi, cazzo!
Comincio a chiedermi perché io ci tenga tanto. Che senso abbia un simile patimento. Perché questa squadra.
Conosco già le risposte. Si tratta di una sorta di rituale interiore.
Nessun parente fiorentino o toscano. La memoria mi proietta sul retro delle retine vecchie immagini di sfottò all’istituto tecnico. Quello scemo, quello strano che tifa i viola.
Che poi, tutto iniziò un pomeriggio del 1982. Avevo sette anni. Non capivo niente di pallone. L’anno dei Mondiali in Spagna.
Prima di arrivarci, due squadre si contesero il campionato italiano. Era uno dei pochi tornei che poteva vincere, quella compagine vestita di viola, con quella strana “F” rossa a forma di fiore-alabarda sul petto. Ricordava il simbolo di un robot giapponese dei cartoni animati o la tuta di Ralph Supermaxieroe.
Era destino che dovesse giocarselo con quelli, lo scudetto. Quelli abituati a vincere sempre, quelli della FIAT. Quelli vestiti come un attraversamento pedonale. Quelli per cui parteggiava la maggioranza dei miei coetanei. Quelli dello zoccolo duro della Nazionale che di lì a poco avrebbe vinto il Mondiale.
Quelli che vinsero il torneo per un punto, quarantadue a quarantuno, con un rigore ridicolo regalato a Catanzaro, mentre gli altri, i viola, si fermavano sul pareggio a Cagliari. Un gol annullato a Graziani per fuorigioco inesistente.
Ecco, quel giorno scelsi male. Sarà che amavo i robot giapponesi e Ralph Supermaxieroe. Sarà stata la faccia di Antognoni in lacrime, vista in tv.
E poi quel colore, quel fiore rosso.

Osvaldooooo!!! Incredibile! Osvaldo al novantatreesimo ha portato in vantaggio la Fiorentina. E probabilmente le ha regalato la vittoria all’ultimo secondo! 2-3! Errore della difesa bianconera che lascia rimbalzare la palla al limite dell’area. Osvaldo la serve sulla destra a Papa Waigo, che gliela ritorna con un preciso cross sottoporta. Colpo di testa in tuffo e gol!

Tutti mi fissano, capoturno compreso. Rido e piango con gli stessi occhi e gli stessi liquidi.
Qualcuno capisce e mi manda a quel paese con un gesto bonario. I due ragazzi del Toro in fondo alla linea se la ridono.
Il capo si avvicina. Allunga le mani verso le mie spalle. Faccia truce. Quanto mi ha rotto i coglioni, da quando lo conosco?
Gli occhi mi si alzano verso il soffitto grigio. Torno coi bulbi oculari su di lui. Gli sbatto copri orecchie e guantoni contro il torace.
“Che cazzo fai? Sei impazzito?”
Rido. Perfettamente cosciente.
“Vaffanculo, Luigi. Tu, questo lavoro e il contratto che non sanno mai se rinnovarmi, ogni sei mesi da due anni. E vaffanculo anche alla tua Juve. 3-2 per noi, stavolta.”
Rido come un pazzo. Mollo tutto. Non saluto nessuno. Nello spogliatoio accendo il cellulare, mentre tolgo per l’ultima volta la tuta.
Cinque chiamate senza risposta. Un SMS. Francesca.

Allora proprio non te ne frega niente di me?

Non so cosa rispondere.
Ma so che sono il miglior chitarrista rock di tutto il Piemonte.
E so qual è la squadra per cui tifo.
Indosso la magliettina viola e corro al mio scooter.
Un clacson solitario terrà sveglia la città, questa notte.

[Luca Rinarelli è nato nel 1975 a Torino.
Pubblica con Robin Edizioni il suo primo romanzo: In perfetto orario (2009). Pubblica con l’editore Perrone Lab il racconto “Karim” nell’antologia Nero Piemonte e Valle d’Aosta (2010). Il suo secondo romanzo, La gabbia dei matti, è uscito a febbraio 2011, edito da Agenzia X.
È uno degli autori della biografia Dalla parte degli ultimi, Edizioni Gruppo Abele Appassionato di Storia, specie del Novecento. E di Fiorentina.
Luca su Facebook.]

3 thoughts on “La solitudine del viola

  1. Tacos

    Bel racconto. Ringrazio sempre il destino per aver voluto che anche io mi innamorassi di una squadra “non convenzionale”, per avermi risparmiato di dover vivere la vittoria come un dovere e ogni sconfitta come un dramma, per avermi insegnato che ogni partita è una lotta, che nessun avversario è invincibile.
    Certo che se il protagonista del racconto avesse trovato prima il coraggio di andarsene, quella partita se la sarebbe vissuta dal vivo… magari con Francesca 🙂

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