L’autografo nel portafogli

[Riceviamo e pubblichiamo un articolo – con intervista – a un ex della Roma di Zeman 1.0]

di Emanuele Giulianelli


Anche se sono un appassionato del calcio in tutte le sue forme ed espressioni, anche io ho una squadra del cuore. Anzi ho una vera e propria passione.

E la mia passione si chiama AS Roma.

Per anni sono andato in giro con un autografo di un calciatore nel portafogli. Per molti anni. Forse c’è ancora, ed ha resistito ad almeno tre cambi di portafogli.

Logicamente l’autografo è di un giocatore della Roma.

Totti?
No, troppo facile, anche se lo adoro.

De Rossi?
No, il calciatore in questione non gioca più con la Roma.

Samuel?
No, quello di cui parlo ha smesso di giocare.

Montella?
No, non è italiano.

Ah, ho capito! Batistuta?
No! Anche se ha giocato in giallorosso in quegli anni.

Ma non ha vinto lo scudetto. Anzi, ha trascorso un anno in prestito, durante la sua permanenza con la Roma, proprio nella stagione del terzo tricolore.

Ok, lo dico. Non ci arriveresti mai. Si tratta di Ivan Tomic.
…Chi??? (Il “Chi” va immaginato lunghissimo, con la “i” che stride in una smorfia di stupore negativo) Tomic??? Quello che si è mangiato il gol a porta vuota con il Milan? Quello lento peggio di Helguera? Eh? Quello che è arrivato alla Roma perché Stankovic l’aveva preso la Lazio?
Sì, proprio lui, rispondo.

Era il 1998, ultimo anno di Liceo Scientifico. Presidente della Roma era Franco Sensi. Già a febbraio impazzava il calciomercato, la Roma aveva confermato Zeman sulla panchina e cercava giocatori adatti per il suo 4-3-3. In particolare serviva un centrocampista dai piedi buoni, un intermedio che sapesse rilanciare l’azione, costruire gioco e magari segnava qualche gol.

L’obiettivo individuato era il non ancora ventenne Dejan Stankovic della Stella Rossa di Belgrado. Nonostante sul giovane serbo siano puntati gli occhi di mezza Europa, la Roma sembrava nettamente la squadra favorita all’acquisto. Zeman, come scriveva Repubblica, sognava un centrocampo a tre con Di Francesco, Di Biagio e, appunto, il serbo.

Poi lo comprò la Lazio, per 24 miliardi di Lire. La Lazio. Proprio la Lazio. La Lazio di Cragnotti, ricca da far schifo. Lo smacco fu terribile. La contromossa fu di dovere.

Ad Aprile, la Roma acquistò un altro centrocampista, un altro slavo, un altro serbo, capitano dell’altra squadra di Belgrado, Ivan Tomic, pagato 18 miliardi con un contratto di 5 anni.

La città si divise tra scettici ed entusiasti. C’era chi credeva che Tomic fosse una frettolosa risposta al colpo di Cragnotti, chi fremeva nell’attesa di veder giocare in maglia giallorossa un calciatore che già a 21 anni era diventato capitano del Partizan di Belgrado.

Poi iniziò il campionato. Io mi ero ormai iscritto all’università e Tomic non giocò quasi mai. Il centrocampo titolare della Roma era composto da Tommasi, Di Biagio e Di Francesco: per il serbo c’era posto solo in panchina. Non so perché ma la mia fiducia in Tomic era tanta: ero tra gli entusiasti al momento dell’acquisto, lo volevo titolare, lo schieravo sempre nelle formazioni che appuntavo sui fogli a quadretti mentre seguivo (seguivo?) le lezioni in Ingegneria. E nelle mie formazioni ci stava proprio bene, quel nome Tomic a reggere le sorti della mia Roma. Tomic divenne presto il mio mito.

Venne una mattinata libera da impegni universitari ed un giro a Trigoria, al centro sportivo in cui si allenava la Roma, con l’amico Giovanni a rimediare autografi dai nostri beniamini. Ricordo come fosse adesso: esce una grossa auto, un fuoristrada o qualcosa di simile: alla guida c’è Eusebio Di Francesco. Si ferma e subito attorno al suo finestrino si accalca una massa di persone per chiedergli l’autografo. Sul sedile del passeggero, accanto a Eusebio, siede un biondo con i capelli rasati e gli occhi azzurri, dall’espressione triste: Ivan Tomic.

Io, l’unico fra tutti, sono lì per lui. Così vado a bussare al suo finestrino chiuso. Lui lo apre stupito e si accende in un sorriso quando gli chiedo l’autografo. Quello nel portafogli.

Ivan Tomic - AS Roma 1999 - 16 (il numero di DDR oggi)

Ivan Tomic – AS Roma 1999 – 16 (il numero di DDR oggi)

I numeri

Tomic giocò nella Roma nel 1998-99 con Zeman allenatore, collezionando 9 presenze in campionato. L’anno successivo, con Capello in panchina, giocò solo una partita.

L’anno dello scudetto della Roma, Ivan venne dato in prestito in Spagna all’Alavés. Lì si tolse parecchie soddisfazioni arrivando in finale di Coppa Uefa, persa solamente ai supplementari, dopo avere eliminato l’Inter con un suo gol.

Tornò dal prestito e giocò per altri due anni con la maglia giallorossa, collezionando altre tre presenze totali in Serie A più alcune in Champions League.

Tomic è ricordato da molti tifosi giallorossi e giornalisti come un bidone o qualcosa del genere. Io l’ho sempre stimato, mi è sempre piaciuto il suo modo di stare in campo, la sua tecnica, la sua visione di gioco e il suo essere sempre corretto e mai fuori dalle righe quando veniva lasciato in panchina o addirittura in tribuna.

Lasciò la Roma nel 2002/03 per tornare all’Alavés a stagione in corso. Poi Rayo Vallecano e altri tre anni a Belgrado, al Partizan. A trentuno anni smise di giocare, dopo aver vinto 3 campionati della ex Jugoslavia, uno della Serbia Montenegro e due Coppe di Jugoslavia, più una finale di Coppa Uefa disputata. Bottino non male per uno bollato come scarso.

Ha intrapreso poi la carriera di direttore sportivo nel Partizan Belgrado.

L’intervista

Dopo anni ho avuto l’occasione di parlargli e di farmi spiegare Tomic da Tomic. Cavoli, ci voleva che mi mettessi a scrivere un libro di calcio per avere l’occasione di sentire al telefono uno de giocatori che più ho stimato!

Driiiin (il telefono, anche a Belgrado, fa lo stesso suono. Soprattutto su una pagina scritta…)

E (Emanuele, NdR): Ciao Ivan, sono Emanuele Giulianelli
I (Ivan, NdR): Ah ciao, come va?

(risparmio i convenevoli… comunque Ivan era già al corrente della mia chiamata e del motivo per il quale lo contattavo. Ci ha messo in contatto un procuratore serbo, Milos Andijelkovic, che non finirò mai di ringraziare!)

E: Come hai iniziato la tua carriera?
I: Ho iniziato a giocare a otto anni a Radnicki fino a 17 anni e mezzo, poi sono arrivato alla prima squadra del Partizan. I miei obiettivi principali erano diventare capitano del Partizan, giocare in nazionale e vincere il derby contro la Stella Rossa. Già da giovane li ho realizzati.

E: Parliamo della Roma. Come arrivi in giallorosso? Quali altre squadre ti seguivano?
I: Avevo offerte importanti dal Siviglia, dall’Olympique Marsiglia e da altre grandi squadre. Poi accettammo la Roma.
Roma non è una piazza facile, non ero preparato a quello che mi aspettava. Mi sento un po’ in colpa con la società e i tifosi: sono stato pagato tanto, ma ho dato poco.
A ventidue anni non sei preparato per un’esperienza del genere e il calcio serbo non era di livello. In quel momento non ero pronto per il calcio italiano.
Ma l’esperienza alla è stata bellissima e torno spesso a Roma!

E: Parlami del rapporto con Zeman e con Capello.
I: Con Zeman il rapporto è stato bellissimo. Addirittura quando anni dopo è arrivato alla Stella Rossa ha chiamato me che ero ds al Partizan per chiedere consigli. Con lui giocavo centrocampista esterno destro o davanti alla difesa.
La partita più bella che ho giocato in quella Roma è stata senza dubbio il derby con la Lazio nel quale abbiamo rimontato dal 1-3 al 3-3. Invece un ricordo brutto è la partita con il Milan, quel palo che è stato un quasi gol.
Con Capello ci sono stati alti e bassi. Abbiamo avuto un po’ di discussioni ma ce ne siamo andati da amici. Lui mi rivolle alla Roma dopo il prestito, anche se l’Alavés mi aveva proposto un contratto di quattro anni.

E: L’esperienza all’Alavés e le soddisfazioni di quel periodo.
I: L’esperienza all’Alavés è stata positiva e interessante, ho capito subito cosa volevano da me forte dell’esperienza italiana e quindi stavo molto meglio. Ricordo in particolare le partite in Coppa Uefa contro l’Inter e il Kaiserslautern. Lì giocavamo il 4-2-3-1 e io ero uno dei due mediani; davanti la punta era Javi Moreno, ex Milan. A Natale eravamo secondi nella Liga, poi la cavalcata in Coppa Uefa ci ha tolto molte energie.
La partita più interessante è stata la finale di Uefa contro il Liverpool. Dopo 15’ il risultato era già sul 2-0 per il Liverpool, il nostro allenatore al 25’ mette dentro una punta e arriviamo sul 3-1. A quel punto inserisce un altro attaccante e al 75’ agguantiamo il 3-3.
Esce Javi Moreno e prendiamo il 4-3. Raggiungiamo il 4-4 e si arriva ai supplementari, nei quali il Liverpool segna al 120’ da azione di fallo laterale, con noi in due uomini in meno, su autorete del nostro Delfi Geli.

E: Quali compagni ricordi della Roma?
I: Di Francesco, Candela e Montella. Con Totti ricordo le partite a carte e a biliardo.

E: E con la Nazionale?
I: Ho giocato in nazionale nei periodi al Partizan e all’Alavés. Quando ho giocato con la Roma non mi chiamavano, giustamente!
In particolare mi viene in mente la partita con la Russia terminata 1-1 con gol di Mijatovic.

E. E siamo alla fine della carriera. Come arrivi a decidere di smettere così giovane, a trentuno anni?
I: L’ultimo anno al Partizan raggiungiamo gli ottavi di finale in Coppa Uefa e vinciamo lo scudetto senza perdere una partita! Ma il tempo passava, vedevo un sacco di giovani intorno a me e a 31 anni non volevo giocare al posto loro. Avevo pochi stimoli, perché ormai avevo fatto la mia carriera fuori, in Europa. Sinceramente, ricominciare da capo non mi andava. Casomai, avrei voluto giocare solo i derby con la Stella Rossa, ma non era possibile.

Epilogo

Così Ivan lasciò il calcio giocato.

Recentemente mi ha colpito molto leggere un’intervista a De Rossi nella quale ha dichiarato che la sua fortuna è stata giocare nello stesso anno con tre persone eccezionali, Guardiola, Tommasi e Tomic. Sì, proprio lui.

Stavo per lasciare Ivan, ma non potevo attaccare la cornetta senza parlare di…

E: Ivan, volevo dirti che io avevo il tuo autografo sempre con me nel portafogli!
I: Allora hai scelto il giocatore sbagliato.

Risata di Ivan.
Ti apprezzo ancora di più.
Grazie.

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Puoi trovare Emanuele Giulianelli su Twitter o i suoi articoli sul sito La bottega del calciofilo.

5 thoughts on “L’autografo nel portafogli

  1. Pingback: Io e quell’autografo… « la bottega del calciofilo

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  3. Christian Princeps

    Anche a me piaceva parecchio, non si diventa capitani del Partizan a 21 anni per caso . In Serbia era considerato un giocatore forte quasi quanto Stankovic. Però ricordo che a penalizzarlo non furono le prestazioni, ma le regole che imponevano di poter schierare solo un certo numero di stranieri in campo (o 2 o 3 non ricordo), e vi era gente come Aldair e Alenitchev che erano titolari assoluti . Comunque uno dei giovani più interessanti bruciati dalla Roma, insieme a Paolo Baldieri (altro mio personale grande rimpianto).

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