This is Anfield

[Riceviamo e pubblichiamo. Emanuele Giulianelli ci riporta, con testimonianze dirette, il racconto dell’impresa sportiva del Grifone ad Anfield nel 1992]

di Emanuele Giulianelli

Anfield. Basta la parola e la mente si tinge di rosso, rosso Liverpool.

Nella strada dalla quale prende il nome, Anfield Road appunto, sorge una delle fortezze inespugnabili per eccellenza del calcio europeo. Per ribadire questo concetto e stamparlo subito in testa ai malcapitati avversari di turno, Bill Shankly – il manager che ha fatto vincere al Liverpool tre scudetti e una Coppa Uefa, oltre a due FA Cup, due Charity Shield e una Second Division – fece scrivere lungo il muro laterale della scala che conduce i giocatori in campo «This is Anfield» (Questo è Anfield).

Benvenuti all’inferno, insomma, o giù di lì.

Stagione 1991-92. Fino a oggi ad Anfield, in campo europeo, solo tre squadre sono riuscite a vincere contro i padroni di casa.

La prima delle tre è stata il Ferencvaros, compagine ungherese, capace di imporsi per 1-0 nella allora Coppa delle Fiere, antenata della Coppa Uefa, nel 1967-68. Poi è stato il turno dei rivali del Leeds United di Don Revie che il 14 Settembre del 1971 , grazie al gol del capitano Billy Bremner, vimsero l’andata della semifinale di Coppa delle Fiere, ed elimineranno i Reds pareggiando 0-0 nel ritorno in casa due settimane dopo.

L’ultima è stata la Stella Rossa di Belgrado: il 6 Novembre 1973, in Coppa dei Campioni, la squadra jugoslava si impone per 2-1 con il gol decisivo di Slobodan Jankovic all’89′ ed elimina i Reds dalla competizione, forte anche dell’identico risultato ottenuto in casa nella partita di andata.

Da allora nessuna sconfitta europea casalinga per il Liverpool.

A marzo del 1992, la squadra inglese allenata dallo scozzese Graeme Souness, una leggenda per il suo passato da calciatore in maglia rossa, si trova ad affrontare per i quarti di finale della Coppa Uefa una squadra italiana da pochi anni tornata in Serie A: il Genoa.

Genoa LogoIl Genoa, soprannominata il Grifone, è la più antica squadra di calcio italiana. È stata fondata da un gruppo di inglesi che tradussero il toponimo della città, Genova, nella loro lingua e usarono i colori della Union Jack, il rosso e il blu, per le maglie. A un antico passato glorioso condito da nove scudetti, l’ultimo dei quali vinto nel 1923, sono seguiti decenni tra poca di Serie A, molta Serie B e qualche puntatina in C.

Nel 1989 la squadra rossoblù trionfa letteralmente nel campionato di Serie B, perdendo tre partite e incassando solo 13 reti in 38 incontri giocati: dopo cinque anni di purgatorio, il ritorno in Serie A. Quella squadra era allenata da Franco Scoglio.

La stagione seguente in A è stata di assestamento e termina con l’undicesima posizione in classifica. Quella ancora successiva, 1990-91, è stata un’annata eccellente: il Genoa si è classificato al quarto posto in campionato, alle spalle dei cugini della Sampdoria campioni d’Italia, del Milan e dell’Inter.

L’allenatore di quella squadra è Osvaldo Bagnoli, che nel 1985 aveva clamorosamente portato il Verona a vincere lo scudetto davanti alla Juventus di Platini. Bagnoli ha creato un bel gruppo, una squadra giovane e ricca di talento che gioca un calcio semplice, ma efficace. In più ci sono alcuni fuoriclasse ad arricchire lo spartito: il centravanti cecoslovacco Thomas Skhuravy, la sua spalla Pato Aguilera, uruguaiano, e il terzino brasiliano Claudio Branco.

Mario Bortolazzi, regista di quella squadra, me la racconta così:

«Le due stagioni con Bagnoli allenatore del Genoa furono sicuramente molto esaltanti. Nella prima riuscimmo a centrare un 4° posto inaspettato da tutti, perché all’inizio ci furono un po’ di difficoltà, ma la vittoria nel derby dopo tredici anni ci diede la carica per il prosieguo del campionato. La squadra era un mix di giocatori che erano già affermati e altri che dovevano farsi conoscere o confermare il loro valore con l’aggiunta di 3 stranieri che, a parer mio, ci hanno fatto fare il salto di qualità e cioè Aguilera, Branco e Skurhavy. Tra di noi c’era un buon feeling anche fuori dal campo e questo ha aiutato a fortificare la squadra: soprattutto c’era un gran rispetto nei confronti dell’allenatore, che con il suo atteggiamento sapeva trasmettere sicurezza al gruppo. Di tattica non se ne faceva tanta, giusto quel poco per avere le idee chiare di quello che si doveva fare. La rosa della squadra era di sedici giocatori più qualche giovane, di conseguenza giocavano quasi sempre gli stessi, ma gli altri ogni volta che entravano si facevano trovare pronti».

Il quarto posto rossoblù significa Europa. Significa Coppa Uefa.

Prima di arrivare allo scontro diretto, il Liverpool ha eliminato, nell’ordine, i finlandesi del Lahti, i francesi dell’Auxerre e gli austriaci del Wacker Innsbruck, mentre il Genoa si è sbarazzato degli spagnoli del Real Oviedo e delle due squadre di Bucarest, la Dinamo prima e la Steaua poi.

La partita di andata si gioca allo stadio Luigi Ferraris di Genova il 4 Marzo 1992. Città di mare, quattro marzo, Lucio Dalla ci troverebbe qualche coincidenza, ma questa è un’altra storia. Il Genoa si impone, clamorosamente, per 2-0 con i gol di Valeriano Fiorin al 40’ e la punizione bomba di Claudio Branco al 87’, la specialità della casa.

Gli inglesi sono storditi ed escono dal campo meravigliati. Di sicuro, prima del match, non si aspettavano un avversario così: determinato, aggressivo, rapido. Ma niente paura. C’è Anfield ad attenderli. Lo stesso Anfield che nel secondo turno ha permesso ai Reds di ribaltare un altro zero a due, ad opera dell’Auxerre, con un perentorio tre a zero. Oltretutto il 1992 è l’anno del centenario della loro fondazione, un motivo in più per trionfare ed arrivare in fondo alla competizione.

Non si può non vincere. Siamo il Livepool. This is Anfield.

Striscione We are Genoa

A Liverpool

18 Marzo 1992, Anfield. Sulla copertina del programma della partita in vendita allo stadio, rigorosamente rossa, campeggia la scritta “Liverpool – Centenary Year 1892 – 1992” a caratteri cubitali e la foto della Kop, la famosa curva dei tifosi di casa, una delle più calde d’Europa. Un altro modo per incutere timore, come se non bastasse il nome dell’avversario, il nome dello stadio o diciotto anni d’imbattibilità casalinga: ci sono tifosi hanno fatto in tempo a nascere e a diplomarsi senza mai vedere la propria squadra perdere in casa una partita europea. Come se non bastasse che nessuna squadra italiana ha mai vinto qui. Nessuna. È la Legge di Anfield.

A seguire quella partita per il Corriere della Sera c’è Roberto Perrone. Inquadro la serata con gli occhi di un grande giornalista.

Roberto, cosa ricordi di quel Genoa? Che tipo di calcio giocava?

“È stato il Genoa più entusiasmante che io abbia visto in tutta la mia vita. Una squadra perfettamente organizzata con un 5-3-2 in cui, come diceva Bagnoli, el terzin fassa el terzin, el median fassa el median».

Anfield Road. Che clima c’era?

«Era il vecchio Anfield non ancora rifatto per l’Europeo 1996. Puro vecchio stadio british: legni, metallo corroso, atmosfera unica. Grande pubblico, molto simile a quello del Grifo».

La serata è di quelle speciali, l’aria è quella da notte indimenticabile. Bagnoli nello spogliatoio è il generale che arringa le truppe prima della battaglia. A distanza di quasi vent’anni, il mister mi racconta come ha preparato quella partita:

«Dopo la sconfitta subita a Genova, il Liverpool doveva fare la partita. Eravamo consapevoli delle difficoltà che avremmo trovato. Nei giorni precedenti alla partita non è che abbiamo fatto chissà cosa di particolare: abbiamo cercato di prepararci a giocare come sapevamo fare. Per dare la carica alla squadra non è stato necessario dire tante parole: l’avversario era conosciuto, bastava il nome a caricare i ragazzi!»

Ore 19.10 sul meridiano zero di Greenwhich. I ragazzi di Bagnoli e quelli di Souness hanno appena superato la scalinata e i loro occhi hanno seguito la scritta “This is Anfield”. Si scende in campo.

Le formazioni

Il Liverpool presenta, con le maglie numerate dall’uno all’undici: Hooper, Jones, Burrows, Nicol, Mølby, Wright, Marsh, Saunders, Rush, Barnes, McManaman

Il Genoa schiera: Braglia, Torrente, Branco, Eranio, Collovati, Signorini, Ruotolo, Bortolazzi, Aguilera, Skuhravy, Onorati.

Padroni di casa in divisa completa rossa, il Genoa in maglia bianca e pantaloncini blu. Arbitra l’austriaco Forstinger.

La squadra rossoblù ha Simone Braglia in porta, un passato nel Milan, una sicurezza. I centrali di difesa sono Vincenzo Torrente e l’esperto Fulvio Collovati, campione del mondo nel 1982 in Spagna. Dietro di loro, nel ruolo di libero, il grande Gianluca Signorini, capitano e leader della squadra. Terzini con licenza di spingere sono Gennaro Ruotolo a destra e Claudio Branco a sinistra. A centrocampo il regista è Mario Bortolazzi, mezzala destra è il giovane cresciuto nel vivaio Stefano Eranio, mentre a sinistra c’è Roberto Onorati, unica differenza rispetto alla partita di andata in cui il titolare era Valeriano Fiorin, autore del primo gol genoano. Il duo d’attacco è la coppia delle meraviglie formata dal gigante cecoslovacco Thomas Skhuravy e dal piccolo sgusciante uruguagio Pato Aguilera, che formano una coppia perfettamente assortita: la potenza, il colpo di testa e la prestanza fisica del ceco unite alla velocità, rapidità di esecuzione e senso del gol del sudamericano.

Calcio d’inizio

La squadra di Souness parte subito aggressiva, ha il dovere assoluto di ribaltare il risultato.

«Sapevamo che ci aspettava una partita di grande sacrificio, che il Liverpool ci avrebbe schiacciato nella nostra metà campo» – ricorda Mario Bortolazzi. E così è, all’inizio. Braglia scalda subito i guantoni su un rasoterra da fuori area del gigante di colore John Barnes. Poi Ian Rush ha una buona occasione, ma spara a lato.

Non c’è respiro. La Kop canta e urla. I rossoblù non riescono a uscire fuori dai loro sedici metri.

«Ricordo che nel primo quarto d’ora venti minuti è stato molto bravo il nostro portiere, Braglia che fece due o tre parate decisive. E poi dopo, pian pianino, venimmo fuori noi» – racconta Osvaldo Bagnoli.

Figu di Pato AguileraArriva l’errore di Saunders che cicca il pallone da posizione più che comoda in piena area di rigore. Riparte il Genoa, è il minuto 27: Onorati prende palla e lancia Ruotolo sulla destra. Il biondo esterno si allarga e la mette in mezzo. Skhuravy al limite dell’area piccola spizza il pallone rimettendolo verso il centro e mandando a vuoto tutta la difesa inglese. La palla arriva ad Aguilera dalla parte opposta dell’area di rigore. Pato, tutto solo, stoppa di petto e fredda Hooper con un destro di controbalzo.

This is Anfield. Lo stadio raggela. We are Genoa, era l’enorme striscione che campeggiava al Ferraris nella partita di andata. Ora più che mai è Genoa.

La catena sulla destra formata da Ruotolo ed Eranio è ancora una volta una delle armi migliori dei rossoblù. Lo stesso Ruotolo ripensa a quella squadra e racconta:

«Quello che ci ha insegnato il mister Bagnoli è stato rispettare gli avversari. La squadra era schierata sempre con un modulo 3-5-2: aveva i giocatori adatti per quel tipo di schema. Un modulo che può sembrare difensivo, diventava offensivo grazie a me, Eranio e Onorati. Il leader della squadra era Signorini, ma Bagnoli riuscì a farci sentire, in un certo senso, tutti leader».

Zero a uno. Il Liverpool, per la regola dei gol in trasferta, ora deve segnare quattro gol per qualificarsi. Ma il Genoa non può cullarsi sugli allori, perché i Reds sono temibili e ripartono ancora più forte di prima. Al 4’ della ripresa, Ian Rush, il gallese con un passato juventino, realizza il pareggio, dopo aver avuto anche un’altra occasione proprio in apertura di secondo tempo.

Orgoglio, carattere, forza: le parole d’ordine del Liverpool che non cede. Non appartiene ai Reds mollare, non è nel loro vocabolario. Anfield ricomincia a crederci e a spingere i suoi beniamini. Attacchi da tutte le posizioni, discese sulle fasce e al centro, cross, tiri a ripetizione: niente da fare, Braglia para tutto e il Genoa resiste. I ragazzi di Bagnoli stanno giocando la partita della vita, stanno facendo la storia, e tirano fuori tutte le energie che hanno. E forse anche qualcosa in più:

«Nella sofferenza abbiamo dato tutto» – mi racconta Ruotolo al telefono – «Nonostante fossimo stanchi, in quei momenti la stanchezza non la sentivamo!»

Siamo sull’1-1 e il Liverpool attacca incessantemente. Rush è una furia. Il Genoa resiste.

Poi arriva Pato. Di nuovo.

«E quando sembrava che dovessimo capitolare, un micidiale contropiede condotto da Eranio permise a Aguillera di firmare il 2-1 e terminare la partita vittoriosi» – ricorda Mario Bortolazzi, il regista di quella squadra.

A centrocampo Skhuravy triangola con Eranio che si invola sulla destra e lascia partire un rasoterra verso il centro dove c’è Aguilera che incrocia col destro e insacca.

Roberto Perrone del Corriere della Sera non dimentica quel momento e quell’incontro: «Ho l’immagine di Aguilera che esulta e il ricordo non rarefatto di una grande prova di squadra. Loro attaccavano, all’inglese, folate e cross, il Genoa non ha mai avuto paura e risposto colpo su colpo. Questa è stata la chiave!»

I tifosi genoani sono in delirio. Anfield cade, espugnato. La prima volta per mano di una squadra italiana.

La curva del Liverpool, famosa per il coro “You’ll never walk alone”, tributa un lungo applauso ai giocatori del Genoa al termine della gara. Per chi ha giocato quella partita, sono momenti indimenticabili: i tifosi dei Reds in piedi ad applaudirli!

Quando ho chiesto a Bagnoli se si rendessero conto di ciò che avevano appena realizzato, lui mi ha risposto: «Beh, ce lo fecero capire gli altri, intendendo i giornalisti, i tifosi e gli avversari».

Ruotolo rimpiange la sua giovane età dell’epoca: «Avevo ventitré anni, magari avessimo avuto quell’esperienza che ci avrebbe fatto capire la portata di quell’impresa!».

Non importa. Ad Anfield quei ragazzi hanno fatto la storia del calcio. O almeno un pezzetto.

Un pezzetto lungo quanto il muro su cui è scritto “This is Anfield”.

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Emanuele Giulianelli scrive di calcio e cura la rubrica Stromberg non è un comodino su Tuttocalciatori.net.
Lo puoi trovare anche su twitter.

7 thoughts on “This is Anfield

  1. Pingback: This is Anfield « la bottega del calciofilo

  2. Paul Grech

    Da tifoso del Liverpool me la ricordo bene quella partita perche in quel tempo era’ una delle poche volte che potevo vedere la mia squadra in televisione. Era una delle piu scarse formazioni del Liverpool in memoria ma’ l’impresa del Genoa rimane grande. Una parte (piccola) di me era’ anche felice. Mi piaceva Bagnoli, e mi piacevano Aguilera e Skuhravy.

    Bello vedere il gesto del Liverpool di applaudire il Genoa essere menzionato. Grande emozione quella, grande gesto.

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