Arthur Friedenreich – Il sogno perduto di El Tigre

Nel mondo non ci sono che due razze, diceva mia nonna:
quella di chi ha e quella di chi non ha.
(Miguel de Cervantes – Don Chisciotte)

Immaginate per un momento di aprire un’ostrica e di trovarci dentro una perla.
Sono quasi certo che ve la figurerete bianca. Potreste anche pensarla color crema, o rosa. Forse grigia; più difficilmente sarà di colore viola. Ma sono abbastanza sicuro che nessuno di voi immaginerà di trovarci una perla nera. Sarebbe un evento decisamente improbabile anche nella realtà: le ostriche in grado di generare perle di quel colore sono talmente delicate da morire in numero di molto superiore alle altre. Per questo il loro valore è inestimabile. Per ogni perla nera che avrà la fortuna di vedere la luce, a migliaia moriranno prima di poterlo fare, sigillate per sempre nel ventre dell’ostrica che sognava di donarle al mondo.

Nel Brasile di inizio Novecento le cose non andavano poi tanto diversamente, se eri costretto a crescere dentro all’ostrica sbagliata. La differenza è che la tua sfortuna veniva decisa solamente dopo che la gente aveva riconosciuto il tuo colore, che tutti a quel tempo chiamavano razza. La profezia auto-avverante stabiliva allora la tua sudditanza congenita, che solo un miracolo avrebbe potuto riscattare, costringendoti prigioniero di un guscio lercio e infelice. Uscire con le tue sole forze ti sarebbe parsa la più titanica delle imprese. La tua inferiorità veniva dimostrata attraverso il tuo condizionamento all’inferiorità, mentre l’ostrica sociale rimaneva ben sigillata sulle tue speranze di poter risplendere alla luce di un giorno migliore. Allora anche il tuo valore si sarebbe potuto dire inestimabile, ma solo perché nessuno avrebbe mai avuto modo di conoscerlo.

Scegliere di giocare a calcio non ti garantiva certo prospettive più felici. Nel Brasile di quegli anni, ultima nazione del continente americano ad abolire la schiavitù, se il potere rimaneva saldo tra le bianche mani dei conquistatori europei, il pallone rotolava quasi esclusivamente tra i loro piedi. Importato dai coloni inglesi, e diffusosi inizialmente tra le classi agiate, il futebol era l’ennesimo terreno dove l’esclusione e il disprezzo per neri e mulatti, discendenti di nativi e schiavi africani, si potevano coltivare. Ma prima di talento e agonismo, quei pallidi pionieri del calcio non dimenticavano di mettere in mostra l’aristocratica eleganza della loro stomachevole fortuna, esibita negli abiti e nei modi prima di ogni incontro. Per questo tutti gli altri dovevano stare alla larga da quei palcoscenici erbosi: loro non avevano alcun diritto alla fortuna, nessun appezzamento di verde speranza da poter coltivare.

Fino al giorno in cui tu, Arthur Friedenreich, non hai deciso di provare con la crema di riso.

La brillantina per lisciarti i capelli da sola, evidentemente, non bastava.
Gli occhi verdi di tuo padre non ti rendevano abbastanza simile a loro. La tua pelle da mulatto, bastardo incrocio tra quella di un ricco commerciante tedesco e una lavandaia figlia di schiavi, faceva di te una scimmia troppo imperfetta perché ti fosse permesso ballare calcio. Ma bastava una mano di quella crema per trasformare il tuo volto in uno dei loro, e darti finalmente la possibilità di farglielo capire che sì, tu eri davvero diverso. Perché il tuo calcio era diverso.

Non avevano mai visto nessuno danzarlo a quel modo, piroettando tra i loro sgraziati tronchi senza scorza prima di lanciarsi verso la porta, col pallone che pareva seguirti invece di essere costretto a precederti. Sembrava che fosse lui a sceglierti per farsi deporre in rete come da nessun altro, tante volte quante nessuno avrebbe mai avuto la sfacciataggine di raccontare.
Lo avevi chiesto al tuo amico Mario, di tenere il conto di tutte quelle reti, perché tu eri troppo impegnato a correre. In campo per marcarle, e fuori, perché nessuno potesse vedere nel sogno di quale fragile ostrica saresti dovuto rimanere rinchiuso. Ma chi se l’immaginava che il tempo avrebbe finito di contare gli anni di Mario prima che lui trovasse un modo per farsi stare nella memoria quel numero tanto immenso?

Un giorno, che non sapresti distinguere dagli altri, il peso di quelle reti riuscì a superare quello del tuo colore. Accettarono la tua diversità perché era grazie a lei se loro potevano immaginarsi migliori. Sapevi far risplendere con la tua luce una nazione i cui sogni sportivi cominciavano allora a rotolare sui campi di tutto il mondo, e avrebbero fatto in seguito come per nessun’altra. Gli occhi dei francesi t’incoronarono “Roi du Football”, quelli degli uruguaiani ti temettero come El Tigre, tanta era in campo la tua ferocia nel divorarne le smisurate ambizioni. A quelli dei maestri inglesi, presuntuosi inventori del calcio, riuscisti a spiegare meglio di qualsiasi teoria che non sarebbe servito attaccare in tanti per segnarne in gran numero, di reti: bastava lasciare abbastanza spazio all’attaccante migliore.
L’onore che concedesti alla divisa brasiliana di farsi battezzare dal tuo immenso talento venne sfregiato dall’infame ingratitudine che ti impedì di continuare a dare lustro a quella maglia. Ma lo ricambiarono tutti quelli che gridavano ancora forte il tuo nome, stagione dopo stagione, ogni volta che ti dimostrasti il più forte. E furono tante che nessuno avrebbe potuto dubitare del fatto che lo saresti rimasto per sempre.

Ma tu, primo calciatore brasiliano la cui fama seppe sognarsi globale prima ancora che il calcio comprendesse appieno di esserlo, non saresti stato ricordato a lungo. Sepolto tra le macerie di un’utopia sociale ancora lontana da venire, lasciato marcire in povertà quanto le tue rare fotografie chiuse in archivi dimenticati, pagasti caro il prezzo del ventre che ti diede la vita. Ti fu impedito di brillare quanto avresti potuto, ballando calcio come solo tu sapavi fare, dentro ai limiti di un campo e nell’eredità senza confini che ci avresti saputo lasciare.
Si ricordarono di te solo quando lo sbiadito ricordo di quella luce servì per misurarne un’altra, altrettanto grande, altrettanto magnifica. Era venuto finalmente il tempo in cui una Perla Nera poteva risplendere liberamente alla luce di un giorno migliore.
Ma tu fosti l’alba di quel giorno.

Arthur Friedenreich nacque il primo luglio del 1892 a San Paolo del Brasile.
Mulatto di padre tedesco e madre figlia di schiavi, fu inizialmente costretto a truccarsi da bianco per poter giocare a calcio in squadre di club, aggirando la segregazione razziale che permeava la società brasiliana dell’epoca. Il suo talento non tardò a manifestarsi, e fu tale da permettergli di diventare il primo giocatore non bianco ad esordire nel calcio professionistico del paese.
Militò nel campionato paulista per tutti e ventisei gli anni di carriera, passando per i club maggiori, tra cui Paulistano e Flamengo. Per nove stagioni, tra il 1912 e il 1929, vinse il titolo di capocannoniere, arrivando in una a segnare ben 33 reti. Scese in campo il 27 luglio del 1914 con la nazionale brasiliana, in quella che fu la prima partita ufficiale dei verde-oro. Nel 1919 partecipò e risultò decisivo nell’antenata della Coppa America, vinta dal Brasile in finale sull’Uruguay, proprio grazie a una sua rete.
Secondo alcuni, la sua straordinaria propensione al gol permise alla nazionale brasiliana di adottare, con 35 anni di anticipo, quello che sarebbe stato reso celebre dall’Inghilterra come un modulo rivoluzionario, che prevedeva una linea di attacco meno folta a favore dell’impiego delle ali.
Celebrato in Europa e in Sudamerica per il suo talento, venne estromesso dalla nazionale per motivi razziali, su indicazione del presidente brasiliano Epitácio Pessoa, durante la fase finale della Coppa America nel 1922.
Per gli stessi motivi il Brasile si dimenticò in fretta di lui dopo il ritiro, avvenuto nel 1935 all’età di quarantatré anni, per ricordarsene solamente quando il dibattito sul numero delle sue reti suscitò l’interesse dei giornalisti brasiliani.
Morì il 6 settembre del 1969.

Un suo amico e compagno di squadra, Mario de Andrade, venne incaricato da Friedenreich stesso di tenere il conto delle sue reti, agli inizi della carriera. Ma con la sua morte, avvenuta a metà degli anni Sessanta, i dati raccolti si rivelarono ancora più incerti di quanto già fossero. Secondo alcuni la sua media realizzativa fu di una rete a partita. Secondo altri segnò più reti di Pelé.

When you’re strange / Faces come out of the rain
When you’re strange / No one remembers your name
(Jim Morrison – People are strange)

(*)  L’immagine di apertura è tratta da Globoesporte.com, la seconda dal video “Especial sobre o jogador Friedenreich” [YouTube], quella finale dal sito Arte Tricolor.

Link utili:

Friedenreich – Soccer Politics / The Politics of Football

Arthur Friedenreich: the Original “Black” Pearl – bleacherreport.com

All’alba del calcio: Arthur Friendenreich – guerinsportivo.it

Arthur Friedenreich – wikipedia.it

Friedenreich (1909 – 1935) – Futebol80.com

4 thoughts on “Arthur Friedenreich – Il sogno perduto di El Tigre

  1. LUCIANO SARTIRANA

    Salve!
    Questo articolo contiene tonnellate di errori e di imprecisioni.
    1) Friedenreich non ha mai avuto particolari difficoltà a giocare nell’elitario calcio brasiliano di inizio ‘900, perché suo padre era un ricco commerciante tedesco;
    2) Friedenreich non è mai stato estromesso dalla Seleçao per motivi razziali, soprattutto nel 1922: in quell’anno ha partecipato alla Coppa América – vinta dal Brasile – ma si è infortunato nella prima partita, contro il Cile;
    3) Friedenreich non si è MAI dipinto la pelle di bianco per giocare. Questa circostanza riguarda il calciatore nero Carlos Alberto, della Fluminense, che adotta questo espediente il 13 maggio 1914.
    4) Friedenreich è sempre stato ricordato in Brasile come uno dei tre più grandi (gli altri sono Leonidas e Pelé), non è vero che ci si è ricordati di lui solo per il 1.000 gol di Pelé;
    5) Friedenreich ha segnato 554 gol su 529 partite, lo si sa da anni, nessun dato incerto;
    6) il gioco inglese sulle ali non aveva niente di rivoluzionario, giocavano così dal 1860.
    Forse bisognerebbe essere più informati prima di scrivere…
    Saludos!

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    1. Matt Pumpkin Post author

      Ciao Luciano,

      le informazioni su Friedenreich che ho utilizzato per scrivere il pezzo sono state ricavate dai siti indicati nei link, cercando un minimo di controlli incrociati, soprattutto considerata l’epoca in cui ha giocato, non così ricca di dati statistici.

      Per quanto riguarda l’aspetto razziale, al di là delle vicende strettamente biografiche, ho preferito far risaltare il clima generale della realtà sociale di allora, di cui anche Friedenreich deve aver, per forza di cose, risentito. Crema di riso o meno, l’utlizzo della brillantina per capelli – fatto credo documentato – ne dà testimonianza.

      L’episodio dell’esclusione dalla finale del 1922, legato al volere di Epitácio Pessoa l’ho trovato documentato non solo sul sito del Guerin Sportivo, che riporto. Così come ho preferito usare la formula dubitativa “secondo alcuni” nel riportare i dati sulla sua importanza tattica e sul numero di reti (se non erro dato chiarito dopo anni di ricerche giornalistiche). Un mito si alimenta anche di “credenze”, oltre che avere il pregio di alimentarle. E io le riporto, fossero anche immagini virali diffuse dalla rete. El Trinche Carlovich ne è esempio lampante.

      Resta il fatto che una biografia precisa è altra cosa da una mitografia, e richiede altro lavoro e impegno, e me ne rendo conto. Tanto che ho preferito intervallare i dati statistici perlopiù condivisi (in corsivo) alle impressioni diffuse (in testo normale), nella parte finale. Per separare la mia rielaborazione “mitografica” dai fatti più o meno consolidati.

      Ti ringrazio comunque per le precisazioni offerte, sempre preziose.

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  2. LUCIANO SARTIRANA

    Ciao, Matt!
    Prendo atto delle tue pur ottime intenzioni mitografiche… il clima sociale era quello, anche se Friedenreich non è secondo me il termometro migliore per rilevarlo.
    Io sto ultimando un libro sulla storia del calcio brasiliano, e ho trovato metodologicamente decisivo smetterla di cercare notizie su siti non brasiliani. In portoghese – e con suffisso .br – si trovano cose molto più precise; per esempio, la disputa sui gol di Fried laggiù è morta e sepolta da parecchi anni; o il fatto che l’ukase di Pessoa colpì i primi neri che si affacciavano nella Seleçao, ma non appunto Friedenreich, che faceva “ovviamente” parte della spedizione.
    A rileggerti, comunque!

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  3. Gino Lambrusca

    Luciano invece di fare il saccente ti invito a leggere Galeano che forse ne sa’ un pochino più di te sulla storia del calcio sud americano e su tal Arthur Friedenreich….

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