Yearly Archives: 2012

ZZ III

[Riproponiamo il racconto di Christiano “Christo” Presutti pubblicato su CarmillaOnLine per il lancio di Futbologia. Il disegno del celarbitro, ispirato al racconto, è di Andrea Alberti]

Disegno del celarbitro di Andrea AlbertiRicorreva il terzo anniversario della fine della guerra. Tre anni esatti dalla firma del trattato di pace mondiale di Berna. In ogni città erano celebrazioni e sommosse, messe cantate e masse suonate.
Sempre in quel giorno si concludeva la prima edizione del campionato continentale di Lega Grande Europa.
Era il giorno numero 171, correva l’anno 62 Dopo Breivik.

Una partita da giocare, tre squadre in testa alla classifica con gli stessi punti: Sa Zoventude Nuova Cagliari, Das Kapital Duisburg e Aesernia Calcio.

A Podgorica, fuori dallo stadio, si contavano otto morti. Dentro lo stadio, sotto i riflettori, l’Aesernia Calcio incontrava i Montenegro Killers, la squadra locale in lotta per la retrocessione. Da sempre, da tutti, considerati avversari mortali in casa.

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Pompa i bassi, Bruno! – di Baru

Trovare fumetti europei che parlano di calcio è una cosa rarissima. Il francese Hervè Barulèa aka Baru è uno dei pochi coraggiosi che per ben due volte ha tentato di scalfire il (paradossale) monopolio Made in Japan nel campo.

Una delle due volte è quella di Pompa i bassi, Bruno. Calcio e noir perfettamente legati dal disegno dai tratti essenziali e proprio per questo ancora più d’impatto e dai colori, acquerelli vivaci. E poi la fusione tra il ritmo concitato e il tono leggero, di un’ironia quasi naif: per chi non conosce Baru, possiamo riassumere l’alchimia narrativa facendo un parallelo con Pennac. Immaginate i Malaussène non come una famiglia ma come una squadra di calcio, con tanto di dirigenti ex criminali in pensione. Ed immaginatevi il tutto disegnato.

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La diagonale del rombo
(China Soccer Files – 5)

La fuga è veloce, cioè mi metto le scarpe e sono già in strada: libere tutti.

Keita al Dalian, Drogba allo Shanghai, Kanoute al Beijing, Aiyegbeni al Guangzhou FC (i rivali del Guangzhou di Lippi: proprio questa domenica sconfitti nel derby, con un gol all’ultimo minuto, come nei migliori derby… specie se a segnare è uno “che non lo sapeva”).

Il campionato cinese si riempie di stelle straniere e ora, forse, qualche cinese penserà: si comincia a ragionare. Italiani nessuno, e questo è un segnale.

Un amico procuratore mi spiegava alcune cose a proposito. Intanto che la crisi economica si trasfigura anche nel calciomercato cinese. Vista la pochezza generale del torneo, le squadre desiderose di avere stranieri (che fanno esotico e come diremmo a Genova un po’ di sciato) ma che non possono permettersi di spendere tanto quanto i grandi club nazionali, virano su calciatori provenienti da campionati di nazioni in grave difficoltà economica. Ad esempio: i greci hanno parecchio mercato in Cina.

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Asfalto storico. Brasile-Italia quattrauno

1970 Brasile - Italia 4-1 - Il terzo gol di Jairzinho

di Matteo Gatto

Quattrazzero, quando si fa sul serio, l’Italia non perde mai. Magari se ne va malissimo, senza farti sognare per niente, senza passare i gironi, o si scioglie ai rigori, o s’involve davanti a una Corea a piacere. Ma quattrazzero non s’era mai visto. Bisogna ammetterlo: ha fatto molto male.

Infatti, in queste settimane, incapace di rialzare la testa e guardare avanti a un futuro dominato da iberici e sassoni, mi sono voltato indietro e ho affrontato il lutto in modo insolito: osservando il lutto di una generazione precedente. Un’altra batosta, l’Altra Batosta. Città del Messico, 1970, stadio Atzeca, Brasile-Italia quattrauno. Non so ancora bene perché, ma me la sono vista tutta, dagli inni all’invasione di campo. Ha riaperto un mondo e rivalutato una prestazione: avevamo giocato bene. Così mi è parso.

“Qui è quasi mezzogiorno. È una strana mattina grigia e uggiosa che esce da una nottata di pioggia e temporale”. E già dall’introduzione meteoropatica di Nando Martellini che si intuisce l’imminente pesantezza di questa giornata. Continue reading

Contratto a progetto (il traghettatore)

[Riceviamo e pubblichiamo]

di Antonio Spera

Nabokov scriveva “Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta”. Allo stesso modo e con la stessa danza orale, tra lingua e denti, molti Presidenti di squadre di calcio dicono la parola “Tra-ghet-ta“. Non è un nome proprio di persona e non è un vezzeggiativo. E’ un verbo. Un imperativo per la precisione. Di sensuale c’è molto poco, di malizia adolescenziale ancor meno. Ma la seduzione che certi Padroni del vapore pedatorio subiscono è la stessa. Traghetta il traghettatore. Il calcio non ha mai avuto dimestichezza con la questione di genere. E quindi traghettaci, uomo. Mai un mezzo di trasporto, nemmeno dei più usati, è diventato così celebre. Dalla semantica alla semiotica. Il tutto con un unico scopo: accompagnare il presente in attesa di stagioni migliori.

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Il niño in periferia

[Riceviamo e pubblichiamo da Salvatore Migliaccio. In occasione del cinquantacinquesimo compleanno di Diego questo racconto è stato rinnovato con una introduzione breve del poeta Gianni Montieri]

Introduzione
di Gianni Montieri

La magia e, consentitemi, i miracoli non dovrebbero mai avvenire nei luoghi in cui la gente se li aspetta, per questo ho sempre diffidato dello scioglimento del sangue di San Gennaro. Intendiamoci, se San Gennaro per una volta il sangue l’avesse sciolto a Giugliano, in un rione popolare, oppure in una delle buche che mangiano il nostro asfalto, avrei potuto anche credergli. A Maradona credevamo sempre, la magia viaggiava con lui, il miracolo non aveva bisogno sempre del San Paolo. Maradona, lo prendevano, lo mettevano in macchina e ogni tanto lo portavano vicino alle nostre case, venne pure a Giugliano una volta, fece un giro di campo, e già quello ci illuminò. Il fatto che lui arrivasse era sinonimo di felicità, eravamo ragazzini, era il tempo dei sogni, Diego rappresentava il sogno reale. Altre volte guidava lui e arrivava in posti dove la gente si doveva adattare, come quella volta a Monteruscello, quella fu la volta che il bradisismo divenne un’altra cosa.

Foto di Maradona e sticker Bagnoli King

Bagnoli King – Foto di Jekyll283 – https://www.flickr.com/photos/jekyll283/4967241290

di Salvatore Migliaccio

Monteruscello periferia post-bradisismica di Pozzuoli, anno 1988. Enormi scatoloni, messi in fila, senza fiocchi e luccichii, dentro cui uomini, donne e bambini vivono arrangiandosi. L’unica bellezza concessa alle periferie è lo spazio aperto, dove puoi giocare allo sport che vuoi. Non c’è la ristrettezza del centro città, il vicolo non ha residenza, non corri il rischio che qualcuno ti buchi il pallone perché il tuo tiro ha mandato in frantumi il vetro della vecchierella scassacazz, la palla difficilmente si infilerà e resterà bloccata sotto l’auto parcheggiata in divieto di sosta. Quando si avvicina la sera e la scuola è ormai finita, l’aria delle periferie è un coro di voci. Mamme che dai balconi chiamano i figli “Antoooonio saaaali che è prontaaa la cenaaa”, e Antonio Rummenigge che non sente, impegnato in uno dei suoi sontuosi salti verso l’alto nel tentativo di colpire di testa il cross di Raimondo.

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Il ritorno dei vecchi leoni (tra Baggio e Budweiser)

Il giovane talento che coglie al volo un’insperata occasione e stupisce tutti è la nostra seconda storia di sport preferita. La prima è il ritorno del vecchio leone. Questa volta non c’entra il paese dalla demografia sbagliata e gerontocratico. Si tratta di regole narrative: il giovane talento fa il botto, dimostra il proprio valore e diventa una star; ci può essere un ostacolo iniziale (l’allenatore che non gli vuol dar fiducia, lo spogliatoio di senatori che lo teme e tiene nell’ombra, l’ansia di voler dimostrare tutto subito) ma, una volta superata questa prova, il ragazzo diventa campione e via liscio.

Il ritorno del vecchio leone è storia diversa: hai un grande giocatore, ormai sempre più spesso definito “al tramonto”, sul punto di rinunciare, arrendersi al declino inarrestabile; sino a quando un cambiamento, interno e\o esterno, ridona fiducia al campione, che, nonostante l’età e il calo fisico, torna per giocarsi tutto sulla “classe”, sul talento immutato della gioventù, che ora deve però brillare da solo, senza più l’energia dei vent’anni.
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Senegal Campione Mundial 2012

di Tiziano Colombi

«L’appartenere a un mondo multiculturale esige un forte e maturo senso di identità». (Ryszard Kapuscinski – L’altro)

I leoni della teranga sconfiggono la Nazionale nigeriana 6 a 4 dopo i calci di rigore.
Sono, per la seconda volta, campioni del Balon Mundial, il torneo delle comunità migranti di Torino.
Nell’albo la nazionale più vincente è quella della Costa D’Avorio, con tre successi. Uno per il Perù e uno per la formazione denominata Khorankanè completano la storia delle sei edizioni del torneo.
Dio è con noi!
Dio è con noi! – urla il tifoso senegalese sotto di me sugli spalti dello stadio Primo Nebbiolo.
Il Senegal ha segnato il quinto decisivo rigore, tutti dritti in porta, nessun errore, complice la malinconica figura di Lucky James. Il portiere della Nigeria, con nome da pistolero, se n’è stato tutto il tempo sulla linea di porta rassegnato al peggio, come aspettasse una pallottola di Clint Eastwood. Continue reading

Polvere bianconera di stelle

La prima stella è per farti ammalare e morire / Morire d’amore
E la seconda è per lasciarti andare / E per farti tornare
In questa notte selvatica e acquatica / La terza stella è scomparsa
E riapparsa / Per farti stancare
(Francesco De Gregori – Tre stelle )

Uno tra gli spettacoli umani più avvilenti è quello offerto da chi si dice convinto del proprio valore e si dimostra però insicuro e insofferente quando non trova a confermarlo, in ogni occasione, un plaudente coro plebiscitario. A colpire è la totale incapacità di cogliere l’incongruenza; il ragionamento di fondo, del tutto incomprensibile, risulta infatti questo: mi dico certo di quanto valgo, ma solo a patto che me lo confermiate tutti. Come se un atto di fede personale, prova di coraggio, orgoglio e fiera solitudine, debba sempre valere meno di una confortevole pacca sulla spalla e un rassicurante “sì, hai proprio ragione tu: sei il migliore”. Cioè la più umiliante negazione della fiducia in se stessi.
Per questo da juventino, orgoglioso dei colori per cui tifo (1), ogni volta che vedo Andrea Agnelli in televisione mi avvilisco irrimediabilmente.

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Calcio e media

[di Enrico Marini, giornalista freelance e PhD student alla Universidad Carlos III de Madrid.]

Calcio e globalizzazione

Più dell’economia di mercato o della democrazia – come afferma il prof. Pascale Boniface – il calcio è l’unico fenomeno globale che non conosce confini. Mentre il FMI è costituito da 188 stati membri e l’ONU da 193, la FIFA supera tutti con 209. Globalizzazione che è perfino linguistica, la passione per il calcio ha coniato un linguaggio talmente diffuso presso tutti gli strati della società da essere usato, con sempre maggiore frequenza, in altri ambiti: la ‘performance’ oggi è quella della nazionale di Spagna che rifilandoci quattro gol vince il suo terzo titolo internazionale consecutivo, ma è anche il risultato economico di un’impresa, o dello stesso paese Spagna. Inoltre, soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale, i politici di mezza Europa fanno sempre più spesso riferimento alla metafora di squadra, con l’intenzione di trasmettere valori di unità e spirito di sacrificio.

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Zambrotta, il bel gesto e il terrore del crollo (calcio e identità nazionale)

[Di Fabio Camilletti, assistant professor al dipartimento di Italian Studies all’università di Warwick.]

Quando Mandžukić, il 14 giugno scorso, segnò il gol del pareggio contro l’Italia (e il paragone sembrò farsi più concreto nel momento in cui, quella sera stessa, la Spagna asfaltò l’Irlanda per 4 a 0), il pensiero di molti si rivolse al 18 giugno di otto anni prima, quando un tacco di Ibrahimović – a cinque minuti allo scadere – aveva fissato il risultato sul pari, di fatto eliminando l’Italia dall’Europeo. A Oporto, nel 2004, l’Italia aveva giocato un buon primo tempo, andando in vantaggio per uno a zero. Col secondo tempo la squadra si era chiusa più o meno in trincea, e al 70’, forse per gestire meglio il risultato, Trapattoni aveva fatto uscire Cassano, l’autore della rete. Questa – a detta della maggior parte dei commentatori – era stata la causa principale della débacle (quella sera, con tono da profeta biblico, Aldo Biscardi commentò che il tecnico doveva aver ‘perso il lume del giusto’, spegnendo ‘la luce in campo’). Quel che più inquietava, tuttavia, era l’idea – chiara, e sottilmente perturbante – che quel gol dovesse arrivare, necessità dettata da qualche tara atavica e ineliminabile.

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La solitudine del viola

[Lo scrittore di romanzi noir Luca Rinarelli ci ha regalato questo racconto viola.]

Torino, 2 marzo 2008.
La sveglia sta suonando. Non so da quanto. Riesco a socchiudere le palpebre di quel poco che consente alla luce di entrare, senza far male.
L’una del pomeriggio, dopo sei ore di sonno. Notte brava, resa possibile dal turno pomeridiano. Il lavoro. Di domenica. Fanculo.
La mia band ha goduto di una serata di successo, come la mia chitarra elettrica. Stiamo ingranando alla grande, ma con la musica non si mangia. Non ancora, mi piace pensare.
Un dolore pulsante alle tempie rallenta la risalita verso la posizione seduta. Devo darmi una mossa, fra un’ora entro in fabbrica. E non potrò vederla. Continue reading

L’ultimo tackle. Storia di un partigiano-calciatore

[Riceviamo e pubblichiamo – di Domenico Mungo]

Qui ebbe i natali
BRUNO NERI
comandante partigiano
caduto in combattimento
a Gamogna il 10 luglio 1944
dopo aver primeggiato come atleta
nelle sportive competizioni
rivelò nell’azione clandestina prima
nella guerra guerreggiata poi
magnifiche virtù di combattente e di guida
esempio e monito alle generazioni future
(Iscrizione sulla lapide posta presso la casa faentina di Bruno Neri)

Oggi davanti all’Eremo di San Barnaba c’è un agriturismo intitolato ad un profumato fiore boschivo, il cui nome omettiamo per desiderio dei nuovi proprietari. Sono giovani imprenditori, figli della borghesia gaudente ed edonista dell’operosa e produttiva Emilia – Romagna. Giovani di Faenza. Vanno “lassù” solo al venerdì sera, per vedere come vanno gli affari e trascorrere il week-end in compagnia dei clienti, quasi sempre amici e conoscenti, a cui danno in gestione per intere settimane la cascina. Continue reading

Gēmen, un fratello (China Soccer Files – 4)

Nota giornalistica: il 12 agosto a Pechino si giocherà Napoli-Juventus. Che significa che i cinesi danno 5 milioni di euro: 2 alle squadre, 1 alla Lega. E pagano tutto: viaggio, alloggio, ecc.

Anelka in China

I cinesi, tra le altre cose (bussola, carta, ombrello e, tenetevi forte, la pizza!), ritengono anche di avere inventato il calcio. Non fate quella faccia, perché anche sul sito della Fifa c’è scritto che il primo segnale di qualcosa di vagamente simile al calcio è stato avvistato in Cina (andate a controllare, il link non ve lo do perché odio Blatter e non voglio regalargli accessi). Continue reading

L’ultimo sogno di Obdulio

Siediti come un sultano tra le lune di Saturno e prendi l’uomo solo, molto in astratto: ti sembrerà un prodigio, una grandezza e un dolore.
(Hermann Melville – Moby Dick)

Sarebbe bello che i sogni non si avverassero mai.
Si continuerebbe a sognare all’infinito.
(Obdulio Varela)

Io non sono uno di loro. Non ho mai ucciso nessuno, in fondo.

Ma lo so bene cosa rimane addosso a un assassino, incollandosi alla sua coscienza arroventata di rimorso. Non è il senso di colpa che accompagna l’immane gesto, non l’irreale colore del sangue fatto sgorgare, e neppure la strenua resistenza di chi si è aggrappato alla vita, straordinariamente vigile per quanto il delitto abbia potuto coglierlo di sorpresa. A tormentare il sonno di un assassino non sarà l’osceno pallore che riveste un corpo spogliato di ogni residuo calore, per quanto possano popolarsi i suoi incubi di quella mostruosa visione, per mille e mille notti ancora. Non varranno i tormenti di quei fantasmi un solo grammo di quanto davvero ne trafiggerà incessantemente la memoria, lacerando le invisibili piaghe dell’anima. Chiedetelo, a uno cui sia capitata la disgrazia di ammazzare un suo simile assistendone l’inquieto morire, cosa di tanto tremendo rimane a memoria della più infausta delle umane tragedie. Chiedetegli quale ricordo ancora vivido ne segni irrimediabilmente l’esistenza.

Quel silenzio” – vi sentirete rispondere.

Ma come posso conoscerle tutte queste cose, io che non ho mai ucciso nessuno?
Cosa può saperne un vecchio calciatore uruguayano, di quel silenzio?

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