Author Archives: Matt Pumpkin

Il romanzo del vecio di Gigi Garanzini

Ci sono personaggi, nel mondo del calcio come nella vita, di cui è possibile sentire la mancanza pur senza riuscire a focalizzarne con chiarezza il motivo. Spesso la sensazione, in questi rari casi, è quella di sentirci costretti, nostro malgrado, a ridurre la complessità di un’intera esistenza a poche, ridondanti immagini. Intimamente sappiamo, pur senza saperlo veramente, che tutto non può finire dentro a quell’omologante ricordo collettivo. ‘Dev’esserci molto altro’, ci ripetiamo infastiditi da come l’apparenza delle cose più belle riesca talvolta a offuscarne la profondità che le ha precedute e seguite. Una profondità che intuiamo nella misura di quel vuoto ora percepito.

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Dal calcio parlato al calcio studiato (per non morire biscardiani)

Probabilmente il primo a dimostrare di averlo capito fu Aldo Biscardi, quando dallo scranno del suo improbabile tribunale redarguiva gli ospiti affinché non parlassero “tutti insieme, ma al massimo due o tre per volta”, garantendosi proprio grazie a quel geniale anti-divieto l’esclusione di ogni equilibrio e misura dalla sua trasmissione. Il conduttore del Processo doveva saperlo bene, in fondo: chi parla di calcio giocato risulta noioso e irritante quando non ha i mezzi, tecnici e culturali, per farlo. Molto più godibile, per uno spettatore, assistere ad un teatrino rimodellato sulla classica gazzarra da bar sport, utile a suscitare meccanismi di empatia che mantengano alto lo share e basso ogni pernicioso sforzo intellettuale.

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Polvere bianconera di stelle

La prima stella è per farti ammalare e morire / Morire d’amore
E la seconda è per lasciarti andare / E per farti tornare
In questa notte selvatica e acquatica / La terza stella è scomparsa
E riapparsa / Per farti stancare
(Francesco De Gregori – Tre stelle )

Uno tra gli spettacoli umani più avvilenti è quello offerto da chi si dice convinto del proprio valore e si dimostra però insicuro e insofferente quando non trova a confermarlo, in ogni occasione, un plaudente coro plebiscitario. A colpire è la totale incapacità di cogliere l’incongruenza; il ragionamento di fondo, del tutto incomprensibile, risulta infatti questo: mi dico certo di quanto valgo, ma solo a patto che me lo confermiate tutti. Come se un atto di fede personale, prova di coraggio, orgoglio e fiera solitudine, debba sempre valere meno di una confortevole pacca sulla spalla e un rassicurante “sì, hai proprio ragione tu: sei il migliore”. Cioè la più umiliante negazione della fiducia in se stessi.
Per questo da juventino, orgoglioso dei colori per cui tifo (1), ogni volta che vedo Andrea Agnelli in televisione mi avvilisco irrimediabilmente.

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L’ultimo sogno di Obdulio

Siediti come un sultano tra le lune di Saturno e prendi l’uomo solo, molto in astratto: ti sembrerà un prodigio, una grandezza e un dolore.
(Hermann Melville – Moby Dick)

Sarebbe bello che i sogni non si avverassero mai.
Si continuerebbe a sognare all’infinito.
(Obdulio Varela)

Io non sono uno di loro. Non ho mai ucciso nessuno, in fondo.

Ma lo so bene cosa rimane addosso a un assassino, incollandosi alla sua coscienza arroventata di rimorso. Non è il senso di colpa che accompagna l’immane gesto, non l’irreale colore del sangue fatto sgorgare, e neppure la strenua resistenza di chi si è aggrappato alla vita, straordinariamente vigile per quanto il delitto abbia potuto coglierlo di sorpresa. A tormentare il sonno di un assassino non sarà l’osceno pallore che riveste un corpo spogliato di ogni residuo calore, per quanto possano popolarsi i suoi incubi di quella mostruosa visione, per mille e mille notti ancora. Non varranno i tormenti di quei fantasmi un solo grammo di quanto davvero ne trafiggerà incessantemente la memoria, lacerando le invisibili piaghe dell’anima. Chiedetelo, a uno cui sia capitata la disgrazia di ammazzare un suo simile assistendone l’inquieto morire, cosa di tanto tremendo rimane a memoria della più infausta delle umane tragedie. Chiedetegli quale ricordo ancora vivido ne segni irrimediabilmente l’esistenza.

Quel silenzio” – vi sentirete rispondere.

Ma come posso conoscerle tutte queste cose, io che non ho mai ucciso nessuno?
Cosa può saperne un vecchio calciatore uruguayano, di quel silenzio?

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Eurovisioni – La sottile linea Roja

Boston. Luglio 1994.
Il sottile rivolo di sangue appare incerto sul cratere lunare di una narice umana, prima di lanciarsi rapido lungo uno strapiombo di cute, e fendere la smorfia in cui si schiude una bocca oscena: “Hijo de puta! Hijo de puta! Hijo de puta!”.
L’immagine si allarga sul volto trasfigurato di un uomo che recita il mantra dell’odio, rivolto a chi l’ha colpito e cerca ora invano di sfuggire allo sguardo ostile della propria coscienza. Il dolore e la rabbia lo riportano con la memoria a pochi minuti prima.

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Eurovisioni – Mystic Rivera

Città del Messico. 1970.
Undici metri. Il dischetto del rigore, ricamato a una spanna dal pallone che danza leggero, ti segnala la distanza dall’invisibile diaframma che ti si para davanti, separandoti dalla gloria eterna. Il portiere è costretto nella gabbia del suo incolmabile ritardo, a inutile guardia dell’immensa porta spalancatasi di fronte ai tuoi occhi. Non puoi sbagliare. Peggio: puoi, ma non devi.
All’improvviso scopri quel monito ad abitarti i pensieri, nevrotico e ripugnante insetto che non avrai modo di far uscire dalla prigione trasparente della tua mente. Fino a quando la palla non prenderà ad allontanarsi da te. Allora tutto sarà già accaduto, anche se nessuno saprà ancora esattamente cosa. Continue reading

Eurovisioni – In sostituzione di film cecoslovacco (ma con sottotitoli in tedesco)

[Dedicato a tutti coloro che si perderanno Italia vs Inghilterra perchè costretti a vedere un film al cinema. Ricordate: Fútbologia lotta al vostro fianco perchè non si ripetano simili soprusi]

Il ricordo si ricompone lentamente per frammenti sonori. La voce dell’annunciatrice, il saluto del telecronista. La nostra marcetta ammiccante e la loro avvolgente solennità. Il fischio dell’arbitro e l’inizio arrembante, come non avresti mai immaginato di vederne in tutta la tua vita. Se loro erano i leoni, noi quella sera sembravamo tigri. Ricerchi i fotogrammi nella tua memoria, ma non li ritrovi. Bagliori sommersi dal buio di una città fantasma. Pensi alla formazione e la ricomponi a tratti, a fatica. Con l’aiuto di una frequenza disturbata. La più bella partita mai giocata tra Italia e Inghilterra tu proprio non te la ricordi. Eppure dovevi vederla. Ma al suo posto è cominciato quel film. Continue reading

Eurovisioni – Defensivism: a love story

18 giugno 2002. Daejeon, Corea del Sud.
Lo sciamano albino raccoglie da terra la sua boccetta di vetro per liberare gli spiriti che un tempo vi ha imprigionato. Il liquido trasparente si sparge intorno ad alcuni suoi uomini, senza neppure sfiorarli. In un mondo al negativo finirebbe deriso su maxi-schermi a latitudini esotiche per quella sua ridicola e pittoresca superstizione: la macchiettistica rappresentazione di un primitivo irrazionale, timorato degli dei. Ma in quegli istanti passa quasi inosservato, diluito nei dintorni dell’evento. Continue reading

Arthur Friedenreich – Il sogno perduto di El Tigre

Nel mondo non ci sono che due razze, diceva mia nonna:
quella di chi ha e quella di chi non ha.
(Miguel de Cervantes – Don Chisciotte)

Immaginate per un momento di aprire un’ostrica e di trovarci dentro una perla.
Sono quasi certo che ve la figurerete bianca. Potreste anche pensarla color crema, o rosa. Forse grigia; più difficilmente sarà di colore viola. Ma sono abbastanza sicuro che nessuno di voi immaginerà di trovarci una perla nera. Sarebbe un evento decisamente improbabile anche nella realtà: le ostriche in grado di generare perle di quel colore sono talmente delicate da morire in numero di molto superiore alle altre. Per questo il loro valore è inestimabile. Per ogni perla nera che avrà la fortuna di vedere la luce, a migliaia moriranno prima di poterlo fare, sigillate per sempre nel ventre dell’ostrica che sognava di donarle al mondo.
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Eurovisioni – Italian History X

Comincia tutto con una monetina.

A Napoli è la sera del 5 giugno 1968. Un arbitro tedesco dal nome impronunciabile si è appena infilato nel tunnel degli spogliatoi dello stadio San Paolo. Alla sua destra il capitano sovietico, profilo minaccioso e un nome che pare fargli il verso; dall’altro lato quello italiano, sguardo fiero da eterno ragazzo sognante. Quando i tre riemergeranno da quel tunnel i settantamila tifosi assiepati sugli spalti capiranno al volo chi, tra Unione Sovietica e Italia, si giocherà a Roma il titolo di campione d’Europa contro la Yugoslavia, dopo soli tre giorni. Testa o croce. Esistere o svanire. Basta attendere soltanto qualche minuto.¹ Continue reading

Gigi Riva. Ultimo hombre vertical

E’ impresa ardua raccontare un uomo, prima che un calciatore, complesso e affascinante quanto lo fu Gigi Riva. Luca Pisapia dev’esserselo detto chiaramente, prima di scrivere questo efficace romanzo/saggio biografico che spiega quel che significò l’avvento di Rombo di Tuono per il calcio italiano, coinciso con gli anni della sua rinascita internazionale. Evento che quel mondo parve, e pare tuttora, non aver compreso a fondo, ma che da solo sembra quasi poterlo redimere dai guasti che ciclicamente lo corrompono, evitandoci di sprofondare nella più totale disillusione. Continue reading

El Trinche: la leggenda di Tomàs Felipe Carlovich

Perché realizzare un’opera
quando è così bello sognarla soltanto?
(Pier Paolo Pasolini – Decameron)

 Hanno inventato molte cose su di me. Alcune sono vere, altre no. Se vi ricordate qualcosa, significa che uno è vivo. Che uno è entrato e ha giocato. Si è divertito.
Questo è un gioco e dev’esser preso come tale.
(Tomàs Felipe Carlovich)

L’uomo ritratto in questa foto non è mai esistito.
Nessun giocatore della nazionale campione del mondo nel 1978 lo ha mai definito “il più grande libero nella storia dell’Argentina”, anteponendolo al glorioso capitano albiceleste Daniel Passarella*. Nessun commissario tecnico della Selección lo ha mai descritto come “il calciatore più meraviglioso mai visto giocare”*. E, soprattutto, nessuno ha mai avuto il coraggio di elevarne il talento al di sopra di quello espresso da Diego Armando Maradona, il giocatore più idolatrato e ammirato nella storia di questo pianeta*. Esattamente come nessuno di noi potrà mai raccontare di averlo visto saltare in dribbling un’intera squadra, a Rosario, affondando con la facilità di un bisturi nell’inquieto ordine dei reparti avversari. Né mai avremo la fortuna di vederlo. Continue reading

Mitografia calcistica

mitografia [mi-to-gra-fì-a] s.f.
Descrizione e studio dei miti; raccolta di miti

E’ mai esistito un tempo del Calcio precedente al calcio?
C’è mai stato un luogo, uno spazio simbolico e, allo stesso tempo, reale, capace di eccedere la dimensione totalizzante della contemporaneità? In grado, in altre parole, di farsi muro insormontabile per la Macchina Mitologica di un impero mediatico entro i cui confini il calcio, in tutte le sue forme (compresa quella, falsificata, del mito), viene annichilito nella forma dominante del prodotto? E’ ancora possibile scovare un terreno, di azione e di pensiero, dove immaginario e reale abbiano potuto incontrarsi (ieri, oggi, e sempre) fondendosi in un corpo calcistico realmente mitico, incontaminato e assoluto? Continue reading

Fútbologia82 – Il Mundial come non l’avete mai rivisto

Era una sera d’estate del 1982.
Quaranta secondi oltre il tempo regolamentare.
Attaccava Littbarski.
La palla veniva data al centro per Müller.
La fermava Scirea.
Finiva tra i piedi di Bergomi, che la passava a Gentile.

Quel passaggio i nostri occhi lo stanno ammirando da trent’anni esatti, pur sapendo benissimo che non giungerà mai a destinazione. Claudio Gentile non toccherà mai la palla che lo Zio gli ha appena passato. Perché un piccolo arbitro brasiliano, che di nome faceva Arnaldo César Coelho, decise all’improvviso di prendersela tra le mani per sollevarla alta sopra la sua testa, consegnandola al cielo. Continue reading