Il Grifone fragile

[Riceviamo e pubblichiamo. Fabrizio De André era malato di Genoa. È da poco uscito per i tipi di Limina il libro Il Grifone fragile di Tonino Cagnucci, in cui si racconta questa storia. Il nostro fratello futbologo Simone Pieranni, genoano, ci ha inviato questa recensione. Non diremo: “Oh, che bella!”, leggendola capirete perché. NdR]

Copertina il Grifone fragile

di Simone Pieranni

Ci si salva a 27.
(Fabrizio De André)

“e ‘nte ‘na beretta neigra
a teu fotu da fantinn-a
pe puèi baxâ ancún Zena
‘nscià teu bucca in naftalin-a”
(Fabrizio De André, D’ä mæ riva)

Intanto vorrei dire a Tonino Cagnucci che ho preso Il Grifone Fragile (Limina, 2013) fresco fresco, ancora non lo avevano posizionato sugli scaffali, ho preso il treno, ho iniziato a leggere il libro e ho sbagliato stazione, sono sceso due fermate dopo. Ne ho approfittato per aspettare un altro treno, prenderlo e finire comodamente il libro.

Poi.

La mia compagna è romana. Trattandosi di un articolo per i fratelli di Fútbologia specifico che è romanista. Nell’ambito di quei sentieri dei rapporti sentimentali che rimangono inesplorati o al contrario sono più volte setacciati alla ricerca di elementi di comprensione, ce n’è uno che ancora le suona strano. Il mio essere genoano, che nella mia personale – e non solo – concezione, si rassegnino i multicolors, significa anche – combacia in modo totale – con l’essere genovese. Tempo fa su Rai5 hanno mandato in onda un documentario bellissimo, Genova e il calcio, che è possibile vedere su YouTube:

Lo abbiamo guardato insieme e forse qualcosa in più ha capito. Ad esempio uno di quegli altri ricordava, con disprezzo, mentre io sentivo montare l’orgoglio rossoblu, che a Genova fino a qualche tempo fa era impensabile avere un sindaco doriano (molto meglio di oggi, che il sindaco si chiama proprio Doria, ma sono tempi grami, si sa). Più in generale emergeva quel link diretto tra le parole Genoa e “malattia” che il libro di Cagnucci mostra in pieno.

Forse perché la mia compagna ha capito qualcosa in più, ormai sa riconoscere l’aria del derby, quando ogni argomento – nelle ore che precedono il match – diventa una potenziale lotta e polemica. E mi lascia solo, ed è giusto così: è il destino del genoano e del genovese.

Non è che De Andrè fosse genoano. De Andrè era malato di Genoa, tanto da scriversi formazioni (probabili, auspicabili, da sogno) o tabelle per la salvezza sul retro degli stessi foglietti su cui erano scritte le canzoni che hanno fatto la storia, o sugli inviti per i concerti in celebri teatri. La vita vera era una pausa tra i momenti in cui ci si poteva dedicare con estrema scientificità al Genoa.

Genoano sfegatato, al limite della sanità mentale. Una genoanità che è genovesità nel momento in cui questa passione viene nascosta, difesa, tenuta per sé e condivisa, mostrata, come un fiume in piena, solo a chi ti conosce bene. Si sa che De André era genoano, si sa che durante il rapimento chiedeva i risultati del Genoa. Meno si conosce la passione viscerale che Cagnucci tira fuori dalle sue agende, dai suoi appunti e dalle frasi dei tanti che lo hanno conosciuto. Nel libro emerge quella genovesità per cui il genoano è conosciuto.

Da genovese quando senti dire, “bella Genova”, il primo pensiero è “ma che cazzo ne sai!”. O ancora “eh il tifo del Genoa che spettacolo”, cui mentalmente si risponde “ma cosa vuoi sapere!”. Genoani si nasce, anzi, a dirla con De André, “eravamo genoani ancora prima di nascere”.

Ora io in questo caso – o spesso su Twitter, ad esempio – ostento il mio essere genoano. Non è per essere riconosciuto dagli altri, ma dai propri simili. Ecco che la genoanità si mischia alla genovesità: riservati, schivi, ma caldi ed “espansivi” con i propri simili. Come De André: con il Genoa a fare da collante al mito, sarò sempre grato a questo libro di Cagnucci. Immaginare infatti Faber che fa le tabelle salvezza (tanto sempre in certe posizioni di classifica ci si trova), quanti genoani gli sono somigliati nelle scorse settimane? A tutti, tranne ai genoani “moderni”, le pecore del calcio moderno per i quali il Genoa è il risultato, il Presidente, i calciatori. Ho sempre invidiato ai triestini, benché nazi nella quasi totalità ultras, un coro: «della partita non ce ne frega un cazzo, Udine Udine vaffanculo». Nel senso, permettetemi questa mini iperbole: si soffre, pesa il risultato del campo, ma quello che conta è l’origine, la radice, l’essere genoani, vivere la genoanità, sentirsi sulle spalle il peso della storia, di quella maglia, della storia del calcio, della storia del paese, di quando – durante il fascismo – il Genoa venne chiamato Genova (i genoani odiano quando i commentatori dicono Genova invece di Genoa) e le squadracce fasciste facevano irruzione nella sede dei tifosi “compagni” genoani. Serie A o serie B – canta la Nord – u Grifun l’è sempre chi, a l’è a squaddra du me cheu forza zena russebleu! (Serie A o Serie B il Grifone è sempre qui, è la squadra del mio cuore, forza Genova rossoblu)

Ancora: quest’estate, mi pare, leggevo un articolo di Maurizio Maggiani (doriano, per quanto possa esserlo un intellettuale, ma è spezzino infatti… o di Sarzana, comunque “periferico”) sul Corriere. Raccontava che aveva appena comprato un tocco di focaccia e se lo stava mangiando fuori dalla focacceria. Ad un certo punto il gestore esce e gli fa: “ti sposti, che non vorrei che qualcuno ti vedesse e poi entra e vuole la focaccia”. Il negoziante in questione era genoano sicuro.

Proprio stamattina ho incontrato Gianluca Ferraris, giornalista di Panorama. Di cosa abbiamo parlato? (Non ci eravamo mai incontrati dal vivo) Di Genoa ovviamente.

Nel libro Il Grifone Fragile ci sono dei momenti veramente emozionanti. Zigoni ad esempio, Dio Zigo (se non sapete chi è, peste vi colga e anche fuori dai coglioni immediatamente) che parla del Genoa e scopre di essere uno dei calciatori preferiti di Faber. Lo avevo chiamato anni fa per fargli un’intervista su Calciopoli. Tempo due minuti, dopo aver saputo che ero genoano, mi ha parlato per un’ora del Genoa, della Gradinata Nord, che lui due pere ai ciclisti le aveva fatte nei derby. Tanto che a Cagnucci confessa che «Milito mi sta sulle palle», scherzando. Il Principe li ha impallinati tre volte in una partita sola. E ancora Zigo che dice: «La maglia del Genoa è una maglia da De André. Ci sono maglie e maglie nel calcio e ce ne sono tre che io accosto: Genoa, Roma e Torino, col rosso nei colori con gente sanguigna che se ne innamora». Che dire?

E poi ancora Turone, Ramon, (tranquilli era goal secondo me…) che racconta del Genoa in C, con Pippo Spagnolo mitico capo della tifoseria (c’era un periodo in cui se non arrivava lui allo stadio non cominciavano le partite), che ricorda quando Turone non voleva andare al Milan perché voleva rimanere al Genoa («Il Genoa è un marchio alla nascita, racconta Turone, un destino»). E ancora sempre Spagnolo che racconta i 42 mila allo stadio per la prima partita in C, contro l’Olbia, del Grifone («siamo andati a prenderli uno a uno in casa i tifosi»).

C’è una sfilza di episodi raccontati e riportati in cui De André anima della genoanità è da magone e viene veramente da patirci – oltre ad essere riconoscenti – al pensiero di Cagnucci che scova tutte queste chicche nelle agende di Faber. Mille episodi, frasi, racconti: per un genoano una lettura imprescindibile, su Faber e sul Genoa, su di noi.

Per gli altri, non mi interessa.

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Il grifone fragile
Fabrizio De André: storia di un tifoso del Genoa

di Tonino Cagnucci
Codice ISBN: 9788860411495
Aprile 2013
Pagine: 171

Il libro è nella nostra libreria su Anobii.
Puoi trovare informazione sul libro sul sito web ufficiale e su Twitter.

4 thoughts on “Il Grifone fragile

  1. Filippo

    Belin, che bella recensione. Potrei ordinarlo subito ma aspetto di comprare il libro a Genova, di farmi una camminata in centro e oziare tra via XX e via Garibaldi, e infine chiederlo da Bozzi. Sperando che sia esaurito, così da dover ricominciare il giro e magari arrendermi dolcemente alla Feltrinelli.
    Genova è più che mai rossoblù, specialmente se la guardi da lontano.

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  2. Gallit

    Ma a delle due pere che avete preso al “Picco” nel 2006 dai “periferici” cugini spezzini? 🙂 Comunque, sarò in controtendenza, ma tutti i vecchi, e anche meno, che a Spezia, Sarzana, compreso mio nonno, conoscevo, anche se tifavano Spezia, simpatizzavano in serie A per il Genoa, non per i “ciclisti”. Alle volte gli odi e le simpatie degli Ultras, non coincidono con “la gente comune”, come direbbe Vespa. E comunque che lo spirito di Ottavio Barbieri sia con voi.

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    1. Simone Pieranni

      me le ricordo bene, visto che c’ero – ed era serie C – e mi ricordo pure quando ci hanno impallinato all’andata del campionato seguente in B. Noi però dopo siamo saliti. Gli spezzini mi pare di no 😉 Però ammetto che quell’anno in C a Spezia c’era un bel clima e mi ricordo pure le sassate alla stazione….
      ciao!
      sp

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  3. Francesco

    Bellissimo articolo Simone, complimenti!
    Mi permetto di arricchirlo solo con il link ad un autografo:

    E’ l’autografo che mi feci fare dal Capitano, Gianluca Signorini. Perchè nelle sue lacrime, davanti alla Nord, anche se poi nel ’95 retrocedemmo, sta un pò il senso di quello che ben hai descritto nel tuo articolo. Essere genoani è un attributo dello spirito 🙂
    “Vegnivan 4 a 4, vegnivan all’attaccu, vegnivan cumme matti che squadra de ravatti. Ma l’è arrivou u grifun, cu e balle in sciu cannun e cun 4 cannunè u li ha disintegre”

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