[Riceviamo e pubblichiamo. Poche settimane fa il Benfica ha perso la sua ottava finale internazionale. Per molti questo poco invidiabile record si deve alle parole di un uomo che della squadra delle aquile rappresenta il passato glorioso e il presente maledetto. È la storia di quell’uomo che raccontiamo oggi]
di Carlo Maria Miele
Una notte lungo i canali
È il primo maggio del 1962, quasi mezzanotte. La primavera è arrivata da un pezzo ma ad Amsterdam fa ancora freddo, come può capitare in Olanda in una notte di maggio. C’è un uomo che passeggia tra le vie che costeggiano i canali, con il berretto calato sugli occhi, ripiegato sui suoi pensieri. Si tratta di Béla Guttman, l’allenatore del grande Benfica, uno che ha girato il mondo (letteralmente) portando a tutti il verbo del calcio danubiano. Uno che a 63 anni compiuti ha conosciuto la vittoria e la sconfitta, che ha visto i propri risparmi spazzati via dalla Grande Depressione del ’29, che – in quanto ebreo – ha perso un fratello in un campo di concentramento e che si è salvato a sua volta solo fuggendo in Svizzera. Uno che, a quel tempo, ha già trovato modo di giocare e di allenare in Ungheria, Austria, Stati Uniti, Brasile, Olanda, Cipro, Romania, Italia e Portogallo. E che ancora allenerà in Svizzera, Uruguay e Grecia.