[Riceviamo e pubblichiamo questo post scritto dai comitati napoletani di sostegno alla Freedom Flotillia III che dal 4 al 6 ottobre farà tappa a Napoli prima di fare rotta verso la Palestina. A bordo del veliero Estelle ci sono 400 palloni per i bambini di Gaza]
“Il pallone è il tuo migliore amico”. Erano gli anni ’90, sugli schermi televisivi passavano i cartoni giapponesi e noi memorizzavamo questa massima di un giovane personaggio dei cartoon, calciatore nipponico capace delle più incredibili imprese sportive: Oliver Hutton.
Ogni pomeriggio, finita la puntata, scendevamo dai nostri palazzoni per andare a riempire piccoli spazi di asfalto che trasformavamo in campetti per dare due calci a quel nostro caro “amico”.
Qualche volta capitava che dovessimo salutarlo con troppo anticipo perché qualche “nemico” si metteva di traverso e decideva che il nostro gioco dovesse avere fine. Il “nemico” era multiforme: poteva assumere le sembianze di un filo spinato, di una spina di rovo, del portiere del palazzo o di qualche inquilino che non sopportava l’allegria che grazie a quel semplice pallone si diffondeva nell’aria. «Perché» – come canta Tony Tammaro – «al mondo – sai – non tutti sono buoni e la gente se la prende coi palloni».
Un nuovo nemico, assai potente
Ma gli ultimi anni ci restituiscono un “nemico” ben più potente di quelli che abbiamo citato. C’è addirittura uno Stato che sta facendo una guerra senza quartiere al nostro “amico”. Il suo nome è Israele ed odia così tanto il ‘pallone’ che addirittura impedisce che possa arrivare nella Striscia di Gaza, Palestina.
Può sembrare strano, ma è così. C’è un lungo elenco di merci che non possono entrare a Gaza: armi, munizioni, ma anche fertilizzanti, cemento e – in alcuni periodi – palloni. Merci “pericolose”. Anche i palloni, che siano di pezza, di plastica o di cuoio non importa.
Ma la guerra al nostro “amico” colpisce anche e soprattutto il prolungamento di quell’oggetto sferico: gli uomini e le donne che nutrono nei suoi confronti una vera e propria passione e che vorrebbero tanto calciarlo ed inseguirlo.
Inseguire un pallone significa anche inseguire un sogno. Quello che ogni bambino coltiva fin dai suoi primi calci: diventare giocatore della propria squadra del cuore. Ma in Palestina è quasi impossibile lasciarsi andare a fantasticherie del genere, la realtà chiama troppo spesso. Tanti bambini sono stati uccisi dai bombardamenti dell’aviazione israeliana proprio mentre giocavano una partitella all’aria aperta.
Praticamente poi non esistono strutture sportive. Durante l’operazione Piombo Fuso, che tra il dicembre 2008 ed il gennaio 2009 provocò circa 1400 morti tra i palestinesi, le forze armate israeliane distrussero lo stadio nazionale di Gaza. L’unico campo in erba è stato fatto saltare in aria da un missile israeliano e l’IDF ha pensato bene di distruggere anche gli edifici dell’Associazione Calcio Palestinese. Certo, tutte queste strutture si potrebbero ricostruire. Ma come si fa senza il cemento che lo stato israeliano non lascia passare? E così la costruzione del nuovo stadio di Gaza, il Beit Lahiya, è ferma al progetto.
Giovani promesse
Ma anche quando il sogno sembra realizzarsi c’è sempre la possibilità che si tramuti in incubo. Che cosa pensereste se un Insigne, un Gabbiadini, un Destro o un Verratti venissero arrestati e detenuti per tre anni, senza che si svolga mai un processo e senza che l’arresto sia mai pubblicamente motivato? “Che c’entra?” – vi domanderete.
C’entra. Perché è quello che è successo ad uno dei più promettenti calciatori palestinesi, Mahmoud Sarsak. Oggi ha 25 anni ed è di nuovo a casa. Libero no, sarebbe troppo utilizzare questa parola. Però almeno è passato da una prigione “al chiuso” a una all’aperto, Gaza, grazie a 95 giorni di sciopero della fame che hanno costretto alla resa le autorità carcerarie israeliane. Che l’hanno fatto uscire ma non gli restituiranno i tre anni trascorsi in cella. Ripetiamo la domanda: cosa pensereste? E, soprattutto, cosa fareste?
400 palloni contro l’assedio israeliano
Un piccolo aiuto ve lo possiamo dare.
Supportate la missione della Freedom Flotilla III e dell’Estelle, un veliero che, partito dalla Svezia e dopo aver toccato i porti di tanti paesi europei e in Italia quello di La Spezia, sta per giungere a Napoli. L’arrivo è previsto per oggi 4 ottobre e la nave rimarrà nella città fino al 6 ottobre, quando gonfierà di nuovo le vele con destinazione Gaza. Perché l’obiettivo della Estelle è rompere l’assedio israeliano contro la popolazione palestinese, in particolare nella Striscia di Gaza.
Sarà un bastimento carico carico di… palloni! Sì, perché oltre alle medicine, al cibo e ad altri beni di prima necessità, l’Estelle cercherà di portare a Gaza 400 palloni, donati dalla popolazione basca a quella palestinese.
Perché Israele ha paura di un pallone di calcio?
400 palloni che sono un inno alla socialità, all’allegria, alla vita. 400 palloni che, calciati dai piedi di migliaia di bambini, disegneranno traiettorie forse non alla Messi, ma di sicuro di resistenza. Oggi dare un calcio a un pallone in Palestina significa anche non arrendersi e rivendicare il diritto al riso ed alla gioia. E noi, gli “amici” del pallone, non possiamo che schierarci contro i suoi nemici.
“La vita sportiva e quella politica non possono essere separate. Noi vi chiediamo di non solidarizzare con l’esercito che opprime, arresta e uccide uomini e donne di sport in Palestina, ma invece di schierarvi con quei calciatori palestinesi dai sogni distrutti e dalle mancate opportunità a causa esclusivamente delle politiche di Apartheid attuate contro di loro dal regime israeliano”.
[Stralcio di una lettera di giocatori ed allenatori palestinesi alla dirigenza del Barcellona F.C. per chiederle di ritirare l’invito a Gilad Shalit, soldato israeliano, per il “clasico” contro il Real Madrid]
ps. potete seguire tutti gli aggiornamenti sulle iniziative napoletane a sostegno della FFIII su facebook
Napoli stamattina si è svegliata palestinese.
Napoli è pronta ad accogliere l’Estelle – un set su Flickr http://bit.ly/QJ9Wai