Romanzo ambientato nel 1974, Azzurro Tenebra ha visto la luce nel 1977. Arpino ha avuto bisogno di qualche anno per riannodare i fili degli eventi di quella sciagurata estate tedesca. L’Italia si era presentata spavalda in Germania, dopo il secondo posto al Mondiale del 1970, per tornare mestamente a casa dopo appena tre partite.
Arpino non ha scritto un semplice romanzo sulle disavventure della squadra azzurra, ha intrecciato alle tre partite giocate tutte le storie che in quell’estate tedesca ha vissuto e raccontato come inviato. L’unico modo, forse, per regalare ai lettori un grande romanzo sul calcio era lasciare sullo sfondo quello giocato, lasciare che scandisse il tempo e semplicemente contornasse la narrazione.
Ripreso oggi, il romanzo risente certamente dei suoi oltre trent’anni, ma riesce a farsi leggere non appena ci si sintonizza sullo stile dell’autore.
Arp, cronista e romanziere di mezza età, racconta ai lettori quello che succede nel girone dell’Italia, dettando telefonicamente i pezzi a fine serata. Intorno a lui, i colleghi giornalisti. Di alcuni si conosce il soprannome (uno su tutti, il Grangiuàn), gli altri sono impietosamente divisi in Jene e Belle Gioie. Con loro Arp si muove attraverso strade e città tedesche, divide postazioni durante le partite e pasti in trattorie improponibili. Parla di calcio, e della vita.
In una delle parti più belle del romanzo, Arp si ritrova a promettere un pezzo a due immigrati che curano un giornale in lingua italiana per gli emigrati della zona. Saranno loro i più delusi dalla disfatta azzurra, i lavoratori lontani che contavano sul calcio per trovare un seppur minimo e temporaneo riscatto.
I calciatori compaiono quasi di sfuggita e quasi esclusivamente nelle polemiche, quasi esclusivamente come racconto delle loro gesta, quasi sempre riprovevoli: Giorgione, Baffo, il Golden, il Bomber, riconoscibilissimi anche oggi. Emerge dallo sfondo Giacinto, il Capitano, che con Arp stringerà, durante il ritiro, un patto che si compirà nell’ultimo, bellissimo capitolo del libro.
Il personaggio che più convince, dal punto di vista calcistico, è il Vecio. Un vero filosofo del pallone, e destinato a prendere in mano la squadra dopo l’eliminazione dal mondiale. E a portarla, ma è decisamente un’altra storia, fino all’insperato trionfo del 1982. Memorabili le parti in cui Arp e il Vecio discutono dei massimi sistemi, sempre partendo dal pallone e al pallone ritornando dopo sentenze, giochi di parole, risate.
L’amicizia è, insieme alla solitudine, uno dei temi che emergono con forza dal romanzo. L’incontro di solitudini diverse, temporanee o definitive che siano, volute o meno, che intorno al pallone si alleviano e diventano meno penose “perché”, dirà il Vecio a un certo punto “noi del football siamo tanti e siamo soli”.
A far da collante, come sempre, le storie e la loro narrazione.
In conclusione, è utile riportare un brano che compare nelle prime pagine del romanzo: “La spedizione azzurra ai “mondiali” di calcio aveva affittato quella residenza imbottendola di giocatori, ruote di formaggio grana, unguenti e acque minerali patrie, orgogli e terrori … astuzie di dirigenti, congiure di centravanti, alibi di campioni al tramonto, distintivi di accompagnatori, cataste di cartoline ufficiali con ventidue e più firme a stampa, … energetici in pillole e per endovena, … menischi pericolanti, isterie e berrettini multicolori, taciute diarree e illusioni muscolari, vaselline ideologiche ed omertà coi giornalisti amici, polemiche a fil di denti e onestà solitarie. E tutto un arcobaleno di diplomatici abbracci, frasi fatte, slogan, luoghi comuni, evviva, distinguo, alibi, euforie”.
Come non pensare istintivamente alle varie “Casa Italia” attrezzate dalle nostre federazioni in giro per il mondo durante i principali eventi sportivi? Sembra di leggere l’anteprima di quel che sarebbe potuto accadere in Polonia/Ucraina, e che è invece accaduto in Sudafrica. Durante il mondiale Sudafricano bastarono pochi giorni per smascherare gli alibi dei campioni al tramonto che difesero, male, il titolo conquistato quattro anni prima.
Quello che si spera non manchi mai è qualcuno che sappia trasformare in narrazione le storie che ruotano intorno al pallone, e dia a tutta questa passione le pagine che merita.
Azzurro Tenebra
di Giovanni Arpino
Editore: Einaudi, 1977
Riedito da: Spoon River, 2007