[Intervista a Luca aka Wu Ming 3 a cura di Tiziano Colombi, già pubblicata sull’edizione online de L’indice dei libri]
Dal Super Tele a piazza Tahrir. Con Wu Ming 3
Estate calcistica. Il tenutario della rubrica scende dal bus e si piazza sul divano a seguire le partite. Poi gli viene una pensata.
Esiste un’idea di sport alternativa allo spettacolo?
Il calcio, oggi un sottoprodotto commerciale devastato dagli scandali, è stato, ed è, anche altro. Qualcosa di più di un business milionario.
Storie, sudore, desiderio, letteratura, lotta, ribellione.
Proviamo a scoprirlo con l’aiuto di Luca Di Meo (aka Wu Ming 3), penna e cuore del progetto Fùtbologia, festival di tre giorni che si terrà a Bologna a Ottobre.
La squadra è al lavoro, prepara incontri, reading, conferenze, concerti, proiezioni di film.
Si suda in redazione, tra professionisti, volontari e ospiti: Paolo Sollier, Gianni Minà, Valerio Mastandrea, Simon Kuper e John Foot, per citarne alcuni.
La preparazione atletica è dura, prevede lunghe sessioni di scrittura sul Blog e serie di scatti rapidi sui social network:
Su Facebook con notizie, foto, eventi e tutte le altre robe che si fanno lì. Su Twitter per raccontare in 140 caratteri, senza farla troppo lunga. Su Pinterest e su Anobii con tanti libri importanti, o semplicemente fondamentali, sul calcio.
Noi all’Indice ragioniamo sulla tattica.
Abbiamo chiesto a Wu Ming 3 di provare a costruire insieme una micro-enciclopedia sul calcio partendo dalle parole.
Coppie di vocaboli per spremere la linfa del pallone. Ecco cosa ne è venuto fuori.
Premessa
Quando parliamo di calcio, delle sue implicazioni e ricadute in ambito sociale, economico e culturale, non dobbiamo dimenticare di essere sempre dentro un’ambivalenza. Una costante contraddizione all’opera. Il calcio è sempre sia Potere che Cultura Popolare. Noi possiamo analizzarne, indagarne singoli aspetti, ma senza perdere di vista il fatto che ciascuno di essi confluisce e compone un vasto, complesso e contraddittorio universo.
Infine è utile sottolineare che ciascuna delle voci proposte meriterebbe trattazioni molto più articolate. Vi sono intere bibliografie dedicate a ciascuno di questi temi.
Calcio = Affari
Come ripeto sempre, e non vale solo per il pallone, i bei tempi non sono mai esistiti. Da quando esiste il calcio, nella sua versione professionistica, l’intreccio è operativo. Guardare in senso storico le analogie e le differenze tra le diverse epoche ci aiuta a comprendere l’evoluzione del fenomeno, la sua globalizzazione e ciò che essa comporta, e non a rimpiangere una presunta “golden age” pura e incontaminata che nei fatti sarebbe solo “invenzione della tradizione”, nel senso del grande storico, nonché football fan, Eric Hobsbawm.
L’economia del calcio oggi è qualcosa di smisurato. Esiste già da tempo la Soccernomics, disciplina che studia l’economia e i flussi finanziari prodotti da questo sport, e l’enorme indotto, ad altissima intensità di capitale, come pochi altri settori. All’estero è una cosa che viene presa molto sul serio. Non da noi. Se teniamo conto anche dei flussi generati dalle scommesse, sia legali che illegali, parliamo di cifre strabilianti. Con dentro intrecci di tutti i tipi, anche molto perversi, dove spesso il confine tra legale e criminale è molto labile.
Calcio = Eroi-Eretici
Tutti gli appassionati hanno i propri eroi calcistici. Ve ne è una tipologia vastissima.
Eroi ed eretici non sempre coincidono. Due esempi dal grande calcio: Pelè e Platini. Di sicuro sono tra gli eroi di questo sport, grandi calciatori. Altrettanto, in nessun modo possono essere annoverati tra gli eretici. Sono uomini del sistema, del potere e dell’economia del pallone. È ovvio che quando le due dimensioni si sovrappongono allora si entra dritti dritti nella mitologia fútbologica. Best, Meroni, Maradona, con altri, appartengono a questo club, quello che più emoziona e rapisce la fantasia dei tifosi. Zeman e Maradona. Da un punto di vista umano, caratteriale, è difficile immaginare persone più distanti. Eppure, alcuni aspetti li uniscono, e fanno breccia nel cuore di milioni di fan. Quello fondamentale: si gioca per il pubblico. Per il godimento e il piacere di quelli che vanno allo stadio a vedere la partita. Che vogliono vedere gioco, gol, azioni. Sono loro i “datori di lavoro”. Non è poco, le persone lo sentono. E li amano senza condizioni. L’altro: parlare chiaro, ad alta (Diego) o a bassa (Zdenek) voce. Per questo secondo aspetto, vengono sia amati che detestati, con pochi uguali. Grandissimi personaggi della cultura popolare contemporanea.
Calcio = Formazione
Il calcio dei ragazzini mi interessa molto. Trovo la questione cruciale, sia da un punto di vista formativo e sociale, che da quello sistemico, strutturale, del calcio contemporaneo. È un discorso complesso e importante, che meriterebbe molta attenzione. Esistono realtà di base che fanno un lavoro meraviglioso con i ragazzi, nei contesti sociali più diversi. Così come altre, molto più discutibili. Lavorare con i bambini, i giovanissimi, richiede competenze non banali, non solo tecniche. Servono qualità umane e psicologiche per niente scontate.
I primi da educare, da formare, sono i formatori. E poi i genitori, che sono spesso il vero problema. Con i ragazzini invece si va sul sicuro, sempre. Loro non tradiscono. Per quanto riguarda invece l’aspetto sistemico, faccio un solo esempio recente: la Germania. In meno di dieci anni, la federazione e lo Stato tedesco, hanno trasformato in senso strutturale le società e l’intero sistema calcistico nazionale. Investire nei vivai, nelle scuole, nei quartieri, è un dovere delle società professionistiche. Altrimenti nisba, non hai accesso ai campionati. Per ogni euro che spendi per stipendi e calciomercato, devi investirne due, tre, quattro, in impianti e strutture per i giovani delle città. Avevano una nazionale vecchia e logora, un campionato con poco appeal e prossimo alla bancarotta (come il nostro oggi e già da tempo). Adesso sono quelli più avanti di tutti, da ogni punto di vista. Con una nazionale fortissima piena di ventenni di grande avvenire.
Calcio = Tempo
Calcio e Tempo non sono legati, sono la stessa cosa. Tutto nel calcio è tempo. Secondi, minuti, due tempi, tempi supplementari. Settimane, stagioni, annate, decadi. I quattro anni di ogni mondiale. Generazioni.
E poi ritmo, tempi di gioco, tempi di inserimento. Dentro e fuori dal campo, calcio e tempo sono avvinghiati in maniera inestricabile. È molto più di un nesso filosofico.
Ho una personale, bizzarra teoria, che spero mi venga perdonata.
La magia del pallone, intendo l’oggetto, consiste proprio nel fatto che esso è una “macchina del tempo”. Vera e propria.
Ci fa tornare bambini.
Si ferma, restringe e dilata con un’elasticità sorprendente. Chiunque abbia assistito o giocato partite tirate, sa quanto sono interminabili pochi minuti finali. O viceversa.
Conosce il rapimento dell’essere lì. Non c’è nient’altro. Il tempo è fermo.
Questa è la proprietà magica del pallone.
È sogno da svegli.
Calcio = Intelligenza
Certo che esiste una specifica intelligenza calcistica. E si mostra solo sul campo.
Pensare con i piedi è la qualità dei grandi. Quando li vedi te ne accorgi subito. Hanno tempi di esecuzione diversi da tutti gli altri. Non per forza più veloci, ma istantanei. Traiettorie percorse prima degli avversari.
Calcio = Giornali
Prima cosa: in nessun paese al mondo esistono tre quotidiani sportivi. Quindi, in teoria, di spazio ce ne dovrebbe essere fin troppo. Invece il livello è davvero basso, con rare eccezioni, e non mi sembra che le prospettive siano incoraggianti. Però qualcosa da indipendenti si può fare.
In effetti abbiamo avuto una stagione in cui il giornalismo sportivo italiano ha incarnato una dignità, non dico letteraria, ma piena e senza false modestie verso il dibattito culturale del Paese.
Le dispute fútbologiche tra le brume padane governate dall’italica Eupalla di Giuan Brera e l’allora giovane leone partenopeo Antonio Ghirelli, esponente di una scuola e una generazione, vicina al PCI e irrequieta, affamata di guardare altrove e rinnovare, dal giornalismo al calcio, al cinema, teatro e letteratura. Ghirelli, Rosi, Barendson, Palumbo, Rea, Patron Griffi e tanti altri. Beh quelle diatribe sui sistemi di gioco, pro o contro il metodo, erano anche, se non soprattutto, scontri di penne vere, di culture, di visioni del mondo. E poi, per dire, Minà. Semplicemente Gianni tra gli anni ’60 e ’80, è stato il giornalista italiano più conosciuto nel mondo. Non sportivo. Era giornalismo, e di grande livello.
Oggi esiste un “new football writing”, di matrice anglosassone, molto interessante.
Uno degli intenti specifici di Fútbologia, inteso come convegno, è proprio quello di portare alcuni di questi autori, far conoscere un po’ meglio il lavoro che fanno. A partire da un approccio interdisciplinare, eclettico, molto documentato ma pure curioso di indagarne a fondo aspetti all’apparenza marginali, che però ne illuminino meglio la dimensione sistemica.
Calcio = Società
Si possono senz’altro rintracciare delle caratteristiche peculiari di ciascun calcio nazionale, almeno tra i paesi storici. Ma bisogna fare attenzione, evitare forzature e derive che portino verso il sempre oscuro “spirito delle Nazioni”. Anche perché si tratta di solenni minchiate. Se si va a fare la genealogia delle circostanze che hanno portato alla nascita di “scuole” e “sistemi” di gioco, si scopriranno meticciati e incroci di ogni tipo.
Calcio = Potere
Anche qui, in buona parte, può valere il discorso fatto per gli affari. I legami esistono da sempre. L’uso politico del calcio durante il fascismo è cosa nota, lo scudetto alla Roma oppure il ruolo della Nazionale. Nonostante questo, un intellettuale come Gramsci ne era affascinato e lo portava come esempio di cooperazione. Oppure il fenomeno del “laurismo” a Napoli, che proprio nella squadra di calcio vedeva uno dei motori principali. O ancora Berlusconi, solo per venire a tempi più recenti. Ma questo non riguarda solo l’Italia, gli intrecci tra Calcio e Potere sono molteplici ovunque. Spesso si giocano partite e interessi a dir poco inquietanti. Si pensi alle assegnazioni dei Mondiali, al ruolo di Blatter, burattinaio internazionale, e agli enormi interessi che vi sono dietro. Altrimenti perché i Mondiali del 2022 dovrebbero svolgersi in Qatar?
C’è poi anche il calcio contropotere, rappresentato da squadre che incarnano anche delle specifiche istanze e caratteristiche politico-sociali: le squadre basche, Celtic e Rangers in Scozia, le squadre di Istanbul e tante altre, che dal piano locale a dimensioni più allargate portano in scena e sono investite di identità e responsabilità che vanno ben oltre lo sport.
Fino ad arrivare ai nostri giorni e a Piazza Tahrir, dove le frange dei ragazzi che vanno allo stadio hanno avuto un ruolo determinante nella tenuta della piazza nei giorni più cruenti della Rivoluzione. Pagandone duramente il prezzo con centinaia di morti.
Calcio = Rivolta
Il discorso è delicato, e ha diverse facce. Spesso gli stadi diventano il laboratorio per le nuove tecniche di repressione e controllo poliziesco. Questo è un aspetto spesso trascurato, che andrebbe costantemente monitorato, perché poi altrettanto spesso quelle tecniche vengono estese all’intero corpo sociale. Undici anni fa, gli ultras di tutta Italia sapevano cosa sarebbe successo a Genova. I militanti no, e il risultato fu disastroso.
Al tempo stesso non si può tacere su un’identità troppo spesso autoreferenziale, che guarda poco fuori, alla società e ai bisogni degli stessi soggetti che si ritrovano in quei gruppi. Oppure gli interessi spesso torbidi che gravitano attorno ad alcune tifoserie organizzate. Interessi economici. Non posso dimenticare, nei primissimi anni ’80, alcuni famosi capi ultrà del Napoli che sfoggiavano una delle sole tre Lancia Thema appena sfornate all’epoca dalla fabbrica. Dove cazzo li prendevano i soldi?
L’incredibile episodio di Genova–Siena è l’ultimo di una catena su cui non sarà semplice fare la chiarezza che sarebbe necessaria.
In ogni caso, ciò che mi interessa molto di questa questione sta nel cercare di allargare l’orizzonte, più che mai ora, nel pieno di questa crisi epocale. Credo che il potenziale di conflitto, espresso in maniera quasi istintiva dai giovani delle curve, debba guardare all’esterno, congiungersi a istanze e bisogni più generali. Percorso difficile, pieno di insidie. Il mio sogno però è quello di portare qui proprio i ragazzi di Piazza Tahrir. Ascoltare i loro racconti, l’esperienza di trovarsi al centro di eventi difficilmente immaginabili con un ruolo da protagonisti assoluti.
Calcio = Letteratura
È fin troppo ovvio pagare il necessario tributo ai nostri numi tutelari sudamericani. Come fai a non amare Soriano, Galeano, Cortazar solo per citarne alcuni. È scontato. Ma è giusto che ciascuno abbia i propri riferimenti, e di sovente può capitare di fare incontri inattesi. Sono molto incuriosito da una recente scoperta di un nostro amico bibliotecario, Gabriele Venditti, che ha resuscitato probabilmente il primo romanzo ad ambientazione calcistica della storia, almeno italiano. È un testo del ’32, si intitola Novantesimo minuto, edito dalla Gazzetta dello Sport. L’autore è Franco Ciampitti, da Isernia. Il romanzo non l’ho letto, ma sono entusiasta di una scoperta del genere. In pieno ventennio poi, una vera chicca. Allo stesso tempo, ci piacerebbe proporre accostamenti un po’ azzardati, confronti in cui produrre strani vicinati.
Saremmo felici ad esempio di tenere allo stesso tavolo un calciatore arrivato alla letteratura come Paolo Sollier vicino a un intellettuale a tutto tondo come Nanni Balestrini, giunto dalla narrativa sperimentale al calcio, con l’opera I Furiosi. Sarebbe interessante verificarne diversità e consonanze, e soprattutto farsi raccontare come da biografie così distanti siano giunti a una simile convergenza.
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