Eurovisioni – Defensivism: a love story

18 giugno 2002. Daejeon, Corea del Sud.
Lo sciamano albino raccoglie da terra la sua boccetta di vetro per liberare gli spiriti che un tempo vi ha imprigionato. Il liquido trasparente si sparge intorno ad alcuni suoi uomini, senza neppure sfiorarli. In un mondo al negativo finirebbe deriso su maxi-schermi a latitudini esotiche per quella sua ridicola e pittoresca superstizione: la macchiettistica rappresentazione di un primitivo irrazionale, timorato degli dei. Ma in quegli istanti passa quasi inosservato, diluito nei dintorni dell’evento.
L’enorme formicaio scarlatto e brulicante dentro cui si consuma la sua tragedia ha il proprio centro altrove, sull’erba rovente dove i suoi si scoprono decimati, nel numero e nel morale, prima di venire giustiziati sul campo di battaglia. Vittime sacrificali cui non si danno regole, oltre a quella che ne determina la fine. La sua paura è diventata la loro, glielo rinfacciano tutti. Quegli spiriti sono demoni di un’atavica insicurezza, la negazione liquida del coraggio di potersi dimostrare migliori. In altre parole: acqua sporca.
Nessuno che si chieda se davvero possa esistere una predisposizione all’ingiustizia. Se non si tratti piuttosto del vile tentativo, da parte di chi, lontano, assiste al patibolo, di tranquillizzarsi sull’intangibilità delle proprie certezze. Lui, in quegli istanti, sta trovando il tempo per chiederselo. Anche se il suo tempo, e il loro, sta per scadere.

10 giorni prima. Kashima, Giappone.

Un monitor a bordo campo trasmette il replay di una rete. Il pallone vola lento verso l’incrocio dei pali, attirando lo sguardo inerme del portiere, prima di depositarsi alle sue spalle. Giovanni Trapattoni, gli occhi fissi sul monitor, si sofferma per qualche istante sull’immagine di quella palla sospesa. Sta girando alla rovescia, come se una forza invisibile si stesse divertendo a spingerla dove lei non vorrebbe mai andare. Insieme alla volontà di quella palla viene rovesciato il risultato: ora gli Azzurri stanno perdendo la seconda partita del girone mondiale.
Milan Rapajic ha appena siglato la rete con cui la Croazia rispedisce l’Italia nell’incubo di doversi giocare tutto sul bagnasciuga dell’ultima fatidica spiaggia. “Se passeremo il turno, ci ritroveremo con tutta quella sabbia negli occhi. – riflette il mister – Dio propone e l’uomo dispone”. Tutto va alla rovescia. Il suo mondo sta girando alla rovescia. Gli spiriti gli sono contro. Quel pensiero idiota, quasi casuale, non lo abbandonerà mai più.

Sabato, durante la gara con i croati, le telecamere hanno infatti frugato nella privacy del Trap, immortalandolo con le mani in tasca e, addirittura, intento ad aspergersi con l’acqua benedetta di una piccola ampolla di vetro, presumibilmente un omaggio di sua sorella, suor Romilde, 70 anni, del convento milanese delle suore di Santa Maria Bambina. Inutile, peraltro, far notare al c.t., cattolico fervente, come stavolta gli aiuti dall’alto abbiano dato una spinta soprattutto ai nostri avversari: «Io sono credente e, guarda caso, appena ho toccato quel liquido, Totti ha colpito il palo».
(Alberto Costa, Trapattoni tra i diavoli e l’acqua santa, Corriere della Sera 10/06/2002)

Ancora 18 giugno, due anni più tardi. Oporto, Portogallo.

Lo stesso angolo di una nuova, identica porta. Il pensiero torna a colpirlo con la violenza di un brutto ricordo, mentre torna a sedersi sulla panchina in compagnia dei suoi spiriti, oramai divenuti logori e inservibili fantasmi. Questa volta non ha bisogno di nessun monitor per ricostruire l’illusoria casualità che ha permesso a quel pallone di depositarsi nel fondo della rete e delle sue preoccupazioni. Gli basta riconoscere il volto del giallo demone che sta ringhiandogli contro: le sembianze di un giocatore non possono certo ingannare lo sciamano. Ancora una volta la seconda partita, un vantaggio sfumato. Ancora una volta tutto sta girando al contrario, come quel pallone sospeso da due anni sopra la sua testa.
Il destino si compirà nella tremenda solitudine di una spiaggia vuota, dopo soli tre giorni, nella vana attesa di un nemico che starà già vincendo altrove.
Se la miglior battaglia è quella vinta senza combattere, allora la peggiore è quella che si vince pochi istanti prima di perdere la guerra.

Era un gioco, è diventato una questione aritmetica. È la metamorfosi dell’ Europeo azzurro, dopo il colpo di tacco di Ibrahimovic, «una giocata che non gli riuscirà mai più, nemmeno se dovesse restare in campo 25 anni» (Gattuso dixit), ma che ha messo l’Italia nella sgradevole situazione di dover dipendere dagli altri, sempre che riesca a battere la Bulgaria (forse con largo punteggio). La strada che porta alla sfida di Guimaraes (martedì) è lastricata di ragionamenti, elucubrazioni, ricordi, analisi, storielle e storiacce. E da una domanda: è possibile che Svezia e Danimarca evitino la tentazione del pareggio (dal 2-2 in su) e accettino di farsi del male in onore del fair play?
(Alberto Costa, Sospetti e grandi manovre contro la combinata nordica, Corsera, 20/06/2004)

Addio Europei, come previsto. Svezia e Danimarca confezionano un bel 2-2 alla faccia di chi crede ancora alle favole e a Babbo Natale, al fair-play delle genti nordiche, alla loro immarcescibile lealtà, al loro senso etico tanto più sviluppato del nostro, cattivi e ladri. Gli serviva quel risultato per essere promosse ed eliminarci, perché avrebbero dovuto farsi del male fra loro? I loro tifosi lo chiedevano a gran voce, se l’erano dipinto sui volti, le maglie e le bandiere. Volevano gustarsi la gioia di far fuori l’Italia, il cui calcio è così pieno di soldi e di spocchia e da decenni gli porta via i giocatori più bravi. Che gusto a beffarla. Gli uomini sono eguali ovunque, non ci sono santi né a Nord né a Sud. (Giorgio Tosatti, Italia, vittoria inutile: Europei addio, Corsera 23/06/2004)

Otto anni dopo.
Avrebbe dovuto intuirlo che tutto si sarebbe compiuto e concluso in quella stessa data: 18 giugno. La catena di una cabala interminabile che si dovrà finalmente spezzare e che lo vedrà, per la prima volta, all’estremo specularmente opposto a quello occupato un tempo in prima persona, a difendere ora nient’altro che se stesso. L’incrollabile convinzione di saper ancora fare il proprio mestiere. Per ripartire si era scelto una squadra priva di ambiziose presunzioni, geneticamente trincerata a difesa del proprio diritto ad esistere sul campo. Minuto dopo minuto, contrasto dopo contrasto, partita dopo partita. Epilogo e sintesi di una vita passata ad erigere ostacoli di fronte ai propri nemici. Un popolo che canta mentre naufraga nella peggiore delle tempeste, e che festeggia il suo spirito più grande lo stesso giorno del suo compleanno. Un altro segno, un’altra follia da seguire.

Questa volta nessun sogno, nessuna speranza da coltivare. Nessuno stupido calcolo, per lui. Soltanto quella che sarà forse la sua ultima panchina alla guida di una nazionale, e un’intera storia da difendere: la sua. Lo hanno chiamato difensivista, quasi fosse un insulto, allenatore incapace di dare il giusto vigore a una squadra infarcita di campioni, rinunciatario demotivatore di uomini. Lo hanno definito mister anti-calcio, vecchio rincoglionito, arroccato nelle proprie antistoriche convinzioni, gli hanno rinfacciato la mancanza di coraggio e fantasia. Oggi, che non ha più nulla da difendere, potrà finalmente pensare soltanto ad attaccare. Sarà lui a prendersi gioco dei calcoli, degli insulti e degli spiriti. Per riprendersi tutto quanto loro gli hanno levato.

(*) Gli incontri cui fa riferimento il testo sono i seguenti:
18/06/2002 Ottavi di finale Mondiali – Corea del Sud vs Italia 2 – 1 (dts)
08/06/2002 Primo Turno (2° giornata) Mondiali – Croazia vs Italia 2 – 1
18/06/2004 Primo Turno (2° giornata) Europei – Italia vs Svezia 1 – 1
22/06/2004 Primo Turno (3° giornata) Europei – Italia vs Bulgaria 2 – 1
22/06/2004 Primo Turno (3° giornata) Europei – Svezia vs Danimarca 2 – 2
OGGI Primo Turno (3° giornata) Europei – Italia vs Irlanda ? – ?

(**) L’immagine di apertura è tratta da Repubblica.it. L’immagine finale è tratta dal sito Cronache bianconere.

2 thoughts on “Eurovisioni – Defensivism: a love story

  1. Matt Pumpkin Post author

    Non stento a crederlo. Era diventato il classico editorialista che basta a se stesso, autorevole senza autorevolezza. Spesso insopportabile.
    E se ne è pure andato lasciandoci la peggior immagine di un giornalista (vedi i risvolti del caso Moggi).

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