[Riceviamo e pubblichiamo. Siamo molto felici di presentarvi un breve, lacunoso e umorale compendio del videogioco futbolistico d’antan, in due puntate, dall’autore di “Sforbiciate”]
di Fabrizio Gabrielli
Forse, negli anni Ottanta e Novanta, eravamo tutti meno esigenti in termini di realismo. E se giuocare il calcio su uno schermo significava demandare una grossa responsabilità all’inventiva, alla fantasia, alla creatività che solo dieci anni prima si reclamava al potere, tanto meglio.
Non so voi, ma io ci son stati tempi barbini in cui mi sono esaltato per Emlyn Hughes International Soccer: ventidue blocchi cristallizzati di pixel che sgambettavano rigidi su prati ultrasintetici con la fluidità di un omino della Lego. Il pallone, un polilatero più che una sfera, rimbalzava sulle teste coi tloc sordi di SuperMario (quello originale, che non sforbiciava né bestemmiava) quando schiaccia l’avversario. Il marcatore, messo a segno un goal, correva adirato verso la parte bassa dello schermo, sventolando il braccio destro in un gesto più dell’ombrello che non di vera esultanza. Il pubblico, sulle gradinate, sembrava una manciata di patate grigie, terrose.
Da scricciolo, più che sbucciarmi le ginocchia, sono entrato in combutta con un fottìo di videogames; e in quell’era pionieristica del football on screen, oltre a incastrarmi con EHIS, ho perso diversi pomeriggi e diottrie con Gazza II o Kick Off, giochi in cui il controllo di palla sfidava ogni legge della fisica, e un tocco corto dello stopper, scivolando lento sul campo surrealisticamente ghiacciato, finiva dritto in porta, per lo scorno dell’avversario.
Ma se ce n’è stato uno in particolare, di simulatore futbologico, che è riuscito a farsi amare incondizionatamente, quello è Microprose Pro Soccer (il jingle d’avvio resta a tutt’oggi il più folk e militarmarcettistico jingle d’avvio d’un videogioco calcistico).
Microprose Soccer, giocarci, era drammatico. Sceglievi la tua squadra e iniziavi una lunga scalata verso il successo finale. Affrontavi l’Oman, il Camerun, squadre sempre più forti, l’Ungheria, il Brasile ultimo baluardo, in un susseguirsi di colonne sonore molto coatte – più adatte a un picchia duro – calcioni diagonali, passaggi veloci, reti in rovesciata (la rovesciata, in MS, si faceva da fermi: spingevi l’attaccante verso il vertice dell’area di rigore, gli facevi porgere le spalle alla porta e tiravi in diagonale, nel verso opposto: era una rovesciata poetica e naif, quella).
A volte capitava che piovesse, te ne accorgevi da come il campo si aprisse in deflagrazioni di gocce, e la palla non rimbalzasse; i giocatori scivolavano sul prato, andavano in stallo, come i gabbiani goffi quando precipitano in mare. E se non avevi risolto la partita nei tempi regolamentari, gli ultimi secondi ti scorrevano via dalle mani accompagnati da un mutamento della soundtrack in mefistofelico countdown sonoro, che riverberava l’angoscia del momento, fin quando non la buttavi dentro, e preannunciato da un riavvolgimento di nastro in bianco e nero, ti preparavi a godere del replay della sudata vittoria, con le dita incandescenti; e non c’era che da aspettare il triplice fischio, e la slappata blues con il quale l’esibizione musicale parallela al gioco si chiudeva.
MP prevedeva anche la possibilità di giocare un intero campionato INDOOR, con le squadre che allora componevano la Lega Americana di calcetto, per dire.
Per soli nostalgici, 9 minuti di scalata alla Coppa del Mondo:
Con un panorama del genere, variegato ma sempre un po’ lacunoso, con un effetto simile a quello che deve aver avuto lo yogurt Yomo con cereali integrati sulla scena degli amanti della Colazione A Yogurt E Cereali, la scesa in campo di un gioco che sapesse raccogliere un’eredità piuttosto composita conducendola a vette fino ad allora irraggiunte di giocabilità, capacità di appassionare, realisticità, vieppiù racchiudendo l’ecumene dello scibile futbologico, non poteva che fare epoca.
C’è da dire che i videogiochi sono materia tutt’affatto triviale. Hanno una loro storia da preservare, e una cultura sottesa che non studiare, mancare di approfondire, sarebbe indice di criminale superficialità. Così la pensa Henry Lowood, curatore della History of Science and Technology Collections alla Stanford University. Qualche anno fa s’è fatto promotore di un comitato deputato a stilare una lista dei 10 videogames più importanti della storia, appunto, dei videogames.
La sorpresa è stata che al fianco di Spacewar!, di Tetris, di SimCity, SuperMario Bros, Civilization, Doom, Warcraft, è riuscito a ritagliarsi uno spazio un futbolismo-a-8-bit.
SWOS
Suono di sciabola, raffica di vento, refolo d’un sospiro nostalgico.
Sensible World of Soccer, per molti, è stato il videogioco futbologico per eccellenza.
Chi non l’ha subodorata, l’aura di potenziale mito, quando abbiamo iniziato a inserire nel nostro Amiga il floppy disk tutt’affatto sgualcito di Sensible World Of Soccer?
Ciò che succede di strano è che a nessuno, oggi, verrebbe voglia di accendere la console e farsi una partita a Fifa 96. Mentr’invece, scaricare SWOS 95-96 e imbarcarsi in una Serie A piena di Fonseca e Angloma, ecco, quello invece sì.
Non credo dipenda da istinti revanscisti, né da una connaturata predisposizione hipsterica al vintage: credo dipenda più dal fatto che alla perfezione, all’alta definizione, ci si abitua sempre troppo presto, ci si fa esigenti, e se SWOS ha una caratteristica intrinseca, un plus sempiterno, è quello di non essere per niente perfetto.
Credo sia questo a permettergli di poter essere sempre di moda: il suo non aver avuto troppo tempo per essere di moda.
SWOS, all’uscita, dicevamo, racchiudeva lo scibile futbologico del tempo. Squadre indiane, giapponesi, sudafricane, algerine, la serie b olandese, il terza divisione inglese. Tutte – tutte – le nazionali del mondo.
SWOS era uno strumento didattico di raffinatissima fattura: io, le capitali del mondo le ho imparate su SWOS. Avevi l’opportunità di farti terzino, manager, direttore sportivo tutto in una volta. Più di millecinquecento squadre, trentamila giocatori (anche se Jon Hare, secondo me, barava sui nomi dei centrocampisti del SV Robin Hood del Suriname, ma a chi sarebbe importato testarne la veridicità, dopotutto?).
SWOS non aveva gabole, e non necessitava intrallazzi multitasto: era, ipso facto, la semplicità fattasi videogioco futbolistico. Nessuna veronica, niente colpi di tacco o doppi passi da ottenersi con parossistiche combinazioni di L1 e sequenze dei tasti direzionali. In SWOS potevi avanzare, retrocedere, svoltare a destra o sinistra, calciare (a effetto, anche). Niente di più.
I colpi di testa li davi solo in tuffo, i contrasti: solo in tuffo, pure quelli. E le esultanze, le potevi mica customizzare: il marcatore agitava per un po’ le braccia e il bacino, imitato timidamente da qualche altro compagno. Il pubblico garriva, il portiere battuto se ne rimaneva sdraiato, braccia allungate, fin quando non si tornava al cerchio di centrocampo.
In SWOS non c’era terna arbitrale. Non un guardalinee cui gridare improperi per un fuorigioco inesistente (in SWOS non esisteva il fuorigioco), non un arbitro da maltrattare (come in Football Champ, del quale conservo ricordi sfocati, in cui potevi lanciare gran pallonate a un semicalvo e decisamente corpulento direttore di gara). L’unico istante in cui s’appalesava la giacchetta nera era per ammonire, o espellere, un omino reo di troppa irruenza. Per tutte le altre decisioni, un fallo che fosse al limite dell’area o dentro, ci si affidava anima e cuore a un’entità superiore.
Ecco, questo era un altro grande miracolo di SWOS: farti sentire, a momenti alterni, vittima o carnefice, schiavo o personificazione di un Dio superiore, vessatorio, onnipotente.
Insert coin:
[La seconda parte di questo reportage la trovi qui]
Fabrizio Gabrielli è l’autore di Sforbiciate.
Tifa Roma, è su Twitter e per il nostro blog ha scritto anche:
Panta Rio
Le favole non sempre son favole
EHIS aveva la musica del menù più bella di sempre. E si potevano editare i nomi di squadre e giocatori. Ho distrutto non so quanti joystick sul Commodore 64 per riuscire a fare cucchiai perfetti.
SWOS distruggeva, semplicemente, la vita sociale di chiunque.
io ricordo quello della intellevision ma era il mesozoico!!
Come no? Massimo tre giocatori per parte visualizzati contemporaneamente (portiere escluso).
Meraviglia.
Ricordo una versione di Swos in tedesco (ignoro da dove mi fosse arrivata), che aveva una modalità carriera, con offerte e richieste per i tuoi giocatori.
Quante ore passate cercando di segnare i gol “alla Del Piero” dal limite dell’area, pestando come un ossesso sulle freccette per imprimere l’effetto cercato!
Grazie dell’articolo!
A me SWOS si impiallava ogni volta..ma io, imperterrito, riavviavo e ricominciavo..