Probabilmente il primo a dimostrare di averlo capito fu Aldo Biscardi, quando dallo scranno del suo improbabile tribunale redarguiva gli ospiti affinché non parlassero “tutti insieme, ma al massimo due o tre per volta”, garantendosi proprio grazie a quel geniale anti-divieto l’esclusione di ogni equilibrio e misura dalla sua trasmissione. Il conduttore del Processo doveva saperlo bene, in fondo: chi parla di calcio giocato risulta noioso e irritante quando non ha i mezzi, tecnici e culturali, per farlo. Molto più godibile, per uno spettatore, assistere ad un teatrino rimodellato sulla classica gazzarra da bar sport, utile a suscitare meccanismi di empatia che mantengano alto lo share e basso ogni pernicioso sforzo intellettuale.
Durante gli ultimi Europei di calcio la Rai ha pensato bene di fornircene un’ulteriore (e assolutamente non richiesta) dimostrazione; per assistervi sarebbe bastato trovare il coraggio, per nulla scontato, di seguire una delle trasmissioni sportive dedicate all’evento. Densamente popolate di tetri e boriosi opinionisti, in grado di riverginare con rapidità miracolosa, e praticamente ad ogni triplice fischio finale, le proprie convinzioni tecnico-tattico-motivazionali, questi desolanti arbusti da palinsesto desertificato riuscivano nell’arduo compito di ritrarre il calcio, agli occhi di uno che se lo fosse dovuto immaginare solo attingendo a quel contesto, come lo sport più insulso del pianeta. Se proprio dobbiamo attribuir loro un merito, è piuttosto quello di averci confermato quanto già sospettavamo da tempo: di qualcuno che sappia parlare di calcio giocato, in Italia, c’è davvero un estremo bisogno.
Un problema, questo, che non riguarda solamente la Rai (dove rimangono da sottolineare i tentativi, purtroppo goffi e infruttuosi, compiuti da Adriano Bacconi per alzare il livello delle discussioni), ma che si estende alla totalità della programmazione televisiva, generalista e non, dove le analisi tattiche prima delle partite più importanti vengono esibite, quando presenti, come sgradevole complemento della gamma di informazioni provenienti dai ritiri, che va dalla mattutina distribuzione delle casacche colorate allo shopping pomeridiano dei giocatori, passando per i gol segnati in partitella. E a cercar conforto sulla carta stampata si rischierebbe una depressione, se non peggiore, almeno altrettanto profonda.
Come rileva Daniele Manusia nel suo bel blog, a commento di un’impietosa rassegna del peggior giornalismo sportivo su carta “la cultura sportiva del Paese è ridotta al livello di un tatticismo scontato più vicino al gossip che alla riflessione vera e propria”1. E, in effetti, potreste pescare da un editoriale scelto a caso, pre o post-partita dell’Italia agli Europei, per imbattervi in perle di questo genere:
L’Italia di Prandelli, come la Spagna, vuole tenere la palla, ma lo fa giocando in verticale, non sempre di lato. Cercando la profondità dieci metri prima, non solo a ridosso dell’area quando tutto contribuisce a renderla infrequentabile. È, quello italiano, un palleggio di qualità, ma nervoso, elettrico, mai uguale perché alla fine della traiettoria trova due (grandi) attaccanti, non un altro palleggiatore. È questo che ha sfinito la Spagna, la mancanza del pensiero del gol.
(Mario Sconcerti presenta la finale tra Italia e Spagna – Corriere della Sera 01/07/2012)
Attaccavamo l’area con 5 uomini anche in vantaggio di due gol. Lo stadio applaudiva le nostre giocate eleganti. Un film mai visto. Tanta bellezza ha incantato noi che guardavamo, ma prima ancora i giocatori tedeschi seduti in prima fila, sorpresi dal nostro calcio nuovo. Però nella ripresa abbiamo anche saputo difenderci come abbiamo imparato da secoli.
(Luigi Garlando racconta la vittoria sulla Germania – Gazzetta dello Sport 29/06/2012)
Opinioni da non giudicare tanto nel loro valore di verità (specie per quanto riguarda l’ottimismo di Sconcerti, che non vuole in alcun modo essere ridicolizzato, risultando per molti versi condivisibile), quanto piuttosto nel totale pressappochismo delle spiegazioni fornite a suffragare le proprie tesi. O meglio sarebbe dire: nell’assenza di spiegazioni lungo l’intero articolo. Sostenere che siamo stati bravi a difendere perché “lo abbiamo imparato da secoli”, o dimenticarsi di spiegare i motivi per cui la Spagna preferisce schierare “un altro palleggiatore”, anche a costo di “sfinirsi”, trasforma ogni ipotesi di analisi oggettiva, scientifica di una partita in un racconto immaginifico, del tutto personale. Utile forse a soddisfare ambizioni letterarie, ma incapace di trasformare il calcio nell’oggetto di un dibattito finalmente serio, lasciandoci nel terribile dubbio di dover davvero morire biscardiani.
E sarebbe inutile tentare di giustificare queste scelte con problemi di spazio editoriale: il giorno della finale con la Spagna lo stesso Corriere della Sera sceglieva di pubblicare un intero articolo sulla misteriosa cabala cui sarebbe soggetta la nazionale (“Il 6 e il 12 nel destino dell’Italia” di Armando Torno), piuttosto che dedicare quello stesso spazio ad un compendio delle scelte tattiche di Prandelli, o ad un più utile confronto con la filosofia dell’allenatore iberico Del Bosque. Per non parlare delle inutili paginate di presentazione dei presunti uomini-chiave di cui si è riempita quotidianamente la Gazzetta dello Sport: minestre riscaldate di frasi estrapolate da qualche intervista, condite con una passata di gossip estivo.
La contraddizione scaturisce poi ancora più evidente se si considera quanto peso abbiano sempre avuto, in Italia, queste rappresentazioni mentali, allegoriche. Il catenaccio, il contropiede, la ripartenza, l’anti-calcio, i sacchiani vs i trapattoniani, e via elencando, sono sempre stati concetti elevati a imprescindibili tòpoi narrativi, sintesi perfette dei conflitti ideologici capaci di lacerare il paese in molta della sua recente storia sportiva. Vere e proprie tipizzazioni, ancor oggi tanto abusate quanto poco studiate a partire dai concreti presupposti tattici che ne dovrebbero costituire le basi teoriche, e che sarebbero perlomeno da ricercare sul campo. Per gli addetti ai lavori dovrebbe rappresentare un esercizio automatico quello di parlare scientemente di calcio giocato, sulla scorta di conoscenze indispensabili per formulare analisi argomentate e circostanziate, comprendere dinamiche di gioco, e definire l’efficacia delle scelte tattiche di cui tanto si discute. Evitando così di abbandonarsi agli inservibili opinionismi che conosciamo fin troppo bene.
Ciononostante, molti giornalisti sportivi, nonché editorialisti di quotidiani autorevoli, preferiscono di gran lunga cristallizzare simili visioni sfoderandole alla bisogna, piuttosto che profondersi nel minimo sforzo necessario a dimostrare al lettore una qualche loro validità scientifica, finendo così per coinvolgerlo nel solito tedioso comizio anziché in un più auspicabile ragionamento intorno al calcio.
Ragionamento che, dato per assodato il desertico paesaggio offerto da televisione e carta stampata, siamo obbligati a ricercare in rete, nella speranza di trovare analisi ragionate all’altezza del compito richiesto, e di sentir parlare di calcio a partire dai suoi aspetti più importanti, quelli tattici in primis, estendibili al più ampio atteggiamento mentale che porta una squadra a disporsi in campo in una particolare maniera, coltivando precise propensioni. Un discorso che appare oggi, tra le altre cose, alla portata di chiunque ci si voglia cimentare, considerata la molteplicità di strumenti a disposizione di chi voglia monitorare accuratamente gli incontri giocati, ricavandone preziose informazioni statistiche. Attraverso i più diffusi sistemi di raccolta dati, praticamente ogni aspetto di una partita, dai tiri effettuati da un determinato giocatore, alle zone di campo più frequentate, fino al numero di passaggi al servizio di un singolo attaccante, può venire enumerato e analizzato in dettaglio. Molti di questi servizi, offerti attraverso internet sotto forma di vere e proprie applicazioni, sono in grado di fornire semplificazioni grafiche su praticamente qualsivoglia statistica di gioco, a chiunque voglia ricavarne utile materia di indagine.
E proprio sul web spiccano i pochi, ma più che lodevoli, tentativi di studiare il calcio uscendo dai soliti cliché, analizzando in profondità quello che è probabilmente il primo aspetto capace di renderlo tanto affascinante: la componente tattica.
Un ottimo esempio dell’importanza e delle possibilità di questo lavoro ce lo fornisce Daniele Manusia col suo blog Stili di Gioco2, su Vice.com, le cui analisi vengono sempre suffragate dai dati raccolti attraverso Stats Zone (servizio di analisi delle partite offerto dal sito FourFourTwo.com), e dove molte delle partite giocate dall’Italia ai recenti Europei hanno trovato intelligenti tentativi di spiegarne gli atteggiamenti, ragionando in parallelo sul progetto enunciato e portato avanti da Cesare Prandelli, dentro e fuori dal campo. Un interessante tentativo di dimostrare come questo sport sappia, anche nei suoi aspetti più teorici e meno facilmente fruibili dalla massa, offrire chiavi di interpretazione utili a capire la vastità di quanto lo circonda, lasciando intravedere vere e proprie scuole di pensiero, auspicate o reali.
A differenza dei suoi più noti colleghi della carta stampata, Manusia ha il grande merito di esporre ed analizzare in dettaglio molti degli aspetti tattici principali, a partire dalle caratteristiche dei giocatori convocati e dei moduli utilizzati per schierarli, senza mai lasciarsi andare a semplificazioni grossolane.
A rappresentare però un vero e proprio punto di riferimento per chi voglia farsi un’approfondita cultura calcistica attraverso lo studio di dettagliate analisi tattiche è il sito inglese Zonal Marking3, curato dal giornalista sportivo Michael Cox. Impreziosito da una mirabile quantità di informazioni, su squadre di club, nazionali, singole partite o intere stagioni calcistiche, e reso fruibile grazie alle semplici ma accurate grafiche ricavate dai dati raccolti, Zonal Marking prende in considerazione e tenta di esaurire, punto per punto, molti degli aspetti chiave che riguardano ogni singola squadra, o una specifica partita.
Dai singoli campionati nazionali, fino agli speciali dedicati alle competizioni più importanti, ZM ci offre una visione realmente globale e approfondita del lavoro teorico alla base di quanto vedremo, o abbiamo visto, accadere sul campo. Ogni teoria su formazioni, scelte tattiche, loro pregi e loro difetti, viene esposta con il rigore e la precisione necessari a renderle autorevoli e, cosa ancor più importante, capaci di dipingere la reale varietà di idee che può dispiegarsi sopra un campo da calcio, e di cui una singola partita rappresenta spesso soltanto il risultato più effimero.
E’ soltanto grazie alla dedizione e all’accuratezza di simili approcci al calcio giocato, che le scelte di un allenatore, con il suo bagaglio di convinzioni, e i conseguenti successi o fallimenti di una squadra, possono diventare finalmente intelligibili ai nostri occhi. Infinitamente più di quanto ce li rendano le innumerevoli conferenze stampa o interviste con cui ci confrontiamo periodicamente, lungo l’intera durata di una competizione, senza tuttavia veder aggiungere nulla alle nostre reali conoscenze calcistiche. Ed è soprattutto grazie a chi vuol parlare con cognizione di causa del calcio giocato, trasformandolo prima di tutto in un serio oggetto di studio, senza confonderlo con quello troppo spesso, altrove, parlato, che forse anche noi, un giorno, potremo dirci certi di non morire biscardiani.
Note:
1 http://www.vice.com/it/read/stili-di-gioco-euro-2012-rassegna-stampa
2 http://www.vice.com/it/author/daniele-manusia
3 http://zonalmarking.net/
Articolo perfetto. Condivido tutto. Il pressapochismo di chi normalmente fa cronaca calcistica, analisi calcistica, racconto calcistico è terribile.
Serve proprio un cambio di racconto.
Unica cosa: Micheal Cox è inglese ,)
Grazie per la segnalazione della svista.
Correggiamo subito: Michael Cox è a Londra.
E su twitter.
C_
Grazie Mirko anche da parte mia per il commento e per aver segnalato l’errore sul mitico Cox.
Il discorso sul calcio giocato, da saper studiare e raccontare, è immenso in effetti. Specie in Italia.
Ma il fatto che ci sia così tanto spazio può nascondere un vantaggio inestimabile, per chi abbia voglia di affrontarlo: poter diventare un modello da seguire. Manusia è sulla buona strada, secondo me, e spero che in molti ne seguano i passi, nutrendo un confronto.
Per fortuna ci siete voi…. Ma chi vi credete di essere. Ci sono tanti bravi giornalisti e commentatori. Facile sparare sulla croce-rossa e buttare tutti nel calderone, addirittura Sconcerti!! Fate gli intellettuali del pallone paragonandovi a Varriale (esercizio molto facile e inutile), scrivete questo lenzuolone pieno di boria snob e superficialità, fate un commento da bar anche voi scritto in modo prolisso e noioso, non se ne sentiva il bisogno.
Mai dubitato che di bravi giornalisti e commentatori ce ne siano tanti, in giro. Non a caso ho cercato di mettere in luce che a questi viene dato così poco spazio, tra giornali e tv.
Se poi esprimere un giudizio e auspicare che la situazione migliori, come ho cercato di fare segnalando esempi positivi, significa fare gli intellettuali e sparare sulla croce rossa evidentemente abbiamo diverse opinioni sul ruolo della critica nella società.
Prendo atto.
Questo articolo non mi piace.
Mi sembra scritto da boriosi maestrini incapaci di una prosa concisa che ci illustrano come si dovrebbe parlare di calcio. C’è il peggio di tutto: dal feticismo dei dati e dei numeri, al ridicolo tentativo di fare del calcio un’analisi “oggettiva, scientifica”, fino all’esterofilia più provincialotta.
Di solito, gente che scrive cosi del calcio dice due cose: o “che volgavità” oppure “panem et circensem”. E’ apprezzabile il tentativo di andare oltre, ma di sicuro di strada da fare ce n’è molta ancora.
Ogni commento è benvenuto. Ma chiedo anche che sia costrutivo.
Non ha alcun senso lamentarsi del lavoro qui svolto da autori che, senza percepire perlatro alcun compenso, mettono i loro due centesimi nel tentativo di elevare un discorso complessivamente mediocre.
Il blog non piace? Lo si può ignorare, oppure, con maggiore intelligenza, indicare un’altra strada, un altro modo. E va indicato: non basta dire «c’è ancora molto da fare».
Hai visto di meglio o lo hai fatto in prima persona? Benissimo, raccontaci come, dove e faccelo vedere.
C_
Figlio mio, se metti i tuoi pensieri in pubblico, non ti puoi lamentare se alla gente non piacciono.
Comunque, mi sembra che sia io che il commentatore precedente diciamo la stessa cosa, e che emergano indicazioni costruttive abbastanza ovvie. Per fare un esempio, la parola “boria” è presente in entrambe i commenti. Indicazione costruttiva: scrivere sentendosi un pochino meno stocazzo. Per farne un altro. Si critica la lunghezza del testo. Indicazione costruttiva: essere concisi. E cosi via.
Detto questo, io sono solo un lettore, mica l’editore. Presentarsi dicendo “dovete fare cosi” mi sembrerebbe un pochino arrogante. Preferisco dire ciò che non mi piace, se poi voi vorrete, ne trarrete qualche conclusione, visto che a scrivere siete voi, e non io.
Ciao
@Ciro
Stiamo sempre la’. Ovvero a zero, come le chiacchiere.
Mi auguravo un commento costruttivo, mica che te lo facessi piacere. Ma rilevo con rammarico che mancano gli auspicati esempi paradigmatici.
Qui l’autore propone modi più interessanti di parlare di calcio giocato: se preferisci le analisi brevi e facilone di cui è pieno il giornalismo sportivo mica è un problema? Unicuique suum – diceva un tale.
e poi:
http://it.wikipedia.org/wiki/Panem_et_circenses
Ma si, viva Varriale. La critica l’ho fatta, tu non la accetti, mi pare la si possa chiudere qui.
In amicizia.
PS: Prima della dotta citazione latina ci va il punto, non il punto di domanda. Centrocampo e difesa solide in primis, poi mezzepunte e colpi di tacco. 😉
Si, certo, ci volevo un punto esclamativo, ma si è capito. Non lo correggo, di modo che mi resti a memento.
Poi, almeno per me, Varriale una cosa buona ce l’ha: tifa Napoli.
C_
L’articolo pare anche a me ampolloso e noioso, con il massimo rispetto per l’autore. 9500 righe per dire quello che i lettori di questo blog immagino sappiano già (altrimenti probabilmente non sarebbero entrati in questo blog): che il livello del giornalismo sportivo italiano è molto basso e che molti appassionati sentono il bisogno di un modo diverso di raccontare il calcio e ciò che gli sta attorno. In questo mi sembra che l’articolo ricada proprio in uno dei difetti di quel giornalismo: le infinite leziosità retoriche e la ricerca esasperata di un presunto bello stile per esprimere un concetto semplice, quasi banale, povero di originalità.
Poco male, perché il blog è ricco di altri contenuti interessanti. Lascia molto perplessi però il modo in cui si risponde alle critiche. Quella di ciro mi sembrava ad esempio civile e a sua modo ricca di suggerimenti costruttivi, per chi li vuole cogliere: ad esempio quello di essere più concisi e incisivi. Si poteva (doveva?) ridurre al minimo la polemica e l’ironia contro varriale o biscardi, che poco aggiunge, e fare un po’ più di ricerca per suggerire altri siti oltre a quelli di manusia e cox, peraltro già molto noti. Invece la risposta francamente un po’ stizzita dà l’idea che i suggerimenti, magari anche indiretti, sono ben accetti solo se privi di ogni accenno di critica. Non credo sia il modo migliore per raggiungere l’obiettivo che vi siete posti, quello di creare e far crescere, col nostro aiuto, una comunità di persone capaci di parlare di calcio con stile.
Rimane l’apprezzamento per un progetto coraggioso, e il piacere di leggere buona parte degli ottimi post qui pubblicati, ma a sto giro aveva svirgolato malamente in tribuna, secondo me.
@Guido
Non sei il primo a cui il pezzo non è piaciuto. E questo ci può stare anzi ci deve stare, perché a noi tutti piace parlare di calcio. La discussione è una delle componenti della passione per il gioco.
Quello che ci piace meno (anzi, a me per niente) è costruire un dialogo quando la base di partenza va da: “boriosi maestrini”, a “ridicolo tentativo”. Mi limito al commento che citi come esempio. Altri sono stati ancora meno costruttivi.
Così come tu sei stato in grado di esprimere un parere sull’articolo senza insultare l’autore e tutto lo staff, lo stesso pretendiamo da tutti i commentatori.
Mi spiace che tu veda le nostre risposte come una svirgolata in tribuna, ma nei 90 minuti ci sta anche quella!
Grazie comunque per il commento.
ma sì infatti una svirgolata ci sta tutta, anche senza stile. buon lavoro john.
@andrea: dici “ci sono tanti bravi giornalisti e commentatori” bravo! Hai ragione! Infatti nel post si dice bene di Bacconi, Manusia e Cox che sono tutti e tre giornalisti sportivi. Magrai se leggevi il lenzuolone e non solo il titolo, prima di commentare, era meglio e ti saresti nrisparmiato la figuraccia, ma vabbeh…
@ciro: 1) esterofilia? si, all’autore piacciono i bravi giornalisti e scrittori stranieri, è un problema? è un reato? è un peccato capitale?
2) non mi pare che qui si dica a chicchessia come si deve o non si deve scrivere di calcio. Qui si dice che ci sono modi di scrivere di calcio che all’autore piacciono o non piacciono. D’altronde tu stesso dici che se esponi i tuoi pensieri pubblicamente corri il rischio che a qualcuno non piacciano, per cui se questo vale per l’autore del post perché non dovrebbe valere per Biscardi?
3) ciro caro, dal momento in cui decidi di commentare questo post non sei più un lettore ma diventi a tutti gli effetti un soggetto che contribuisce attivamente a generare il senso del post. Per dirla in gergo marketing, diventi un prosumer, ma sono certo che queste cose già le sai e la lezioncina sul commentario come spazio collaborativo me la posso risparmiare…
Devo dire che neppure a me l’articolo piace, e che sono abbastanza d’accordo con i commenti precedenti.
Per evitare di ripetere ciò che già è stato detto (boria dello scrittore, noia del lettore, la pretesa di uno studio scientifico del calcio) tenterò di dire qualcosa di più generale. Quello che trasuda da uno scritto del genere è uno schifo per la gente normale, che deve essere educata da un paio di blogger (meglio se accompagnati da vippetti di opposizione) e dalle loro referenze culturali (meglio se anglofone) ad apprezzare il calcio in maniera corretta, non come pecoroni massificati quali sono. Non puoi guardarti la DS, devi leggere Soriano. Non puoi leggere i giornali, quei primitivi parlano di cabala (quel horreur): devi andare online, guardare i numeri e capire. Quello che vale di questo scritto vale del blog in generale. Non si può parlare di calcio, si deve parlare di racconto calcistico. E’ legittimo avere dei miti calcistici: ma devono essere sconosciuti ai più (fa molto più cool), possibilmente tornarci utili per far la pubblicità a qualche causa progressista. Messi, Zidane, Cristiano Ronaldo, Totti, li lasciamo al popolo massificato. Non c’è, in sintesi, nulla di spontaneo, diretto, e che riguardi il calcio. Tutto è mediato, e nella maniera più prevedibile possibile.
Lo stesso claim: “discutere con stile di calcio”. Perchè discutere di calcio, senza stile, fa massa, fa orrore. Questo è il problema di fondo, e cioè che questo è un blog di stile, non un blog di calcio. E’ un blog che dice molto sul blogger-intellettualoide medio di sinistra, ma molto poco sul calcio. E’ un blog di introspezione collettiva, ma non parla di nulla altro se non di un certo tipo di persone.
Perdonate la lunghezza e la mancanza di critica costruttiva.. 🙂
PS: Sul fatto che alcuni siti di statistica permettano di comprendere la specificità delle idee tattiche degli allenatori sono d’accordo.
Ciao Giuseppe.
Solo una nota: guarda che non siamo marziani, anche noi siamo «gente normale», sempre che «gente normale» significhi qualcosa.
Se provassi lo schifo che dici, dovrei cominciare da me stesso e dai compagni che frequento.
La DS? Quella la guardo pure io.
I giornali? Sono pieni di vaccate, vorrai mica negarlo, ma li leggo anche io.
Però poi che bello se durante i mondiali del ’90 mi capita per le mani un articolo di Soriano, a raccontare quegli eventi in modo diverso e con una scrittura piacevole.
Come dicevo sopra, a ciascuo il suo. Che ognuno scelga le proprie culture, preferenze, e aspirazioni.
Hai mica problemi con i gusti degli altri?
E chi sarebbero i «vippetti di opposizione»?
E poi, che hai problemi pure con l’opposizione?
Una cosa è certa: qui siamo fieramente antifascisti, antirazzisti e partigiani. Se hai problemi con una di queste cose, posa i tuoi click altrove.
C_
Forse il tono del mio primo commento era eccessivo, e mi sembra di essere stato frainteso. Tento di chiarire: non ho nessun problema con chi siete, antifascisti, partigiani, etc. etc. Ho un problema col fatto che a “chi siete” venga dato talmente tanto spazio (inconsciamente, credo) che finisce per oscurare “ciò di cui parlate”, col risultato che il blog parla più di militanza che di calcio; o peggio, usa il calcio per parlare d’altro. Di calcio, c’è poco, di voi, molto. A mio umile parere troppo, questo era il senso della critica.
Un’ultima cosa: non sono d’accordo sulla linea “se non ti piace, non devi leggere”. E’ ciò che Gaber chiamava, a ragione, “la legge dilagante del fatti i cazzi tuoi”. Se uno non si confrontasse con ciò che non gli piace, che ci starebbe a fare al mondo?
Un saluto,
G
PS: la DS purtroppo la dobbiamo guardare tutti purtroppo :-). Quanto manca il Controcampo dei tempi eroici…
Giuseppe, ti ringrazio per i toni dell’ultimo commento.
Ci sono almeno due fraintendimenti, per cose che forse abbiamo comunicato male o su cui non abbiamo insistito a sufficienza.
La prima è che è proprio fondativo del nostro progetto “trattare di calcio e contemporaneamente di altro, e discutere di altro usando il calcio”.
L’ho scritto diverse volte, per esempio in un commento qui.
Credo che in queste pagine di calcio ce ne sia abbastanza. Solo che spesso è calato programmaticamente all’interno di altri discorsi.
La seconda è che non intendo affatto essere esclusivo. Non violeva essere un «non devi leggere se non ti piace», quanto piuttosto un invito alla creazione di discorso e contro eventuali trollaggi aprioristici.
Per finire, nel giornalismo più noto non mancano tanti professionisti bravi e noi non siamo – in senso assoluto – migliori di nessuno, facciamo la nostra.
Comunque grazie dello scambio.
C_
Caro Giuseppe, su quel che trasuda dal mio stile, e su quanto questo risulti sgradevole non discuto. Mi limito a prenderne atto e la cosa certo non mi fa piacere. Avrò evidentemente calcato troppo, e male, il tono irridente nei confronti di un certo modo di parlare di calcio, esplicitato fin dal titolo. Però credo che il fulcro del discorso stia altrove, e che la mia critica centrale rimanga più che legittima.
Io non so dove tu veda lo “schifo per la gente normale”, dato che il mio auspicio di veder elevato il livello del discorso *tattico* sul calcio va proprio in direzione di chi lo segue su tv e giornali esattamente come faccio io, con la speranza di capirci qualcosa di più di quel che mi riesce normalmente guardando le partite.
Il mio schifo è piuttosto per gli innumerevoli pressappochismi e luoghi comuni che si leggono e si sentono quotidianamente e che non dimostrano il minimo di rispetto per chi ascolta o legge. E’ per i Collovati, i Varriale e i Galeazzi vari che fanno a gara domenicalmente a chi spara la cazzata più grossa senza nemmeno ascoltare quel che potrebbero imparare dagli allenatori che spesso si trovano di fronte. E’ per lo spettacolo di gazzarre da bar sport che, anzichè rimanere confinate a un singolo programma televisivo (per intenderci: Il Processo lo guardavo anch’io, e lo trovavo pure divertente nel suo surrealismo) diventano il modello standard del modo in cui si parla di calcio in tv (vedi Controcampo). E’ per il conformismo di trasmissioni e giornali che preferiscono dedicare anima e corpo al calcio-mercato o al gossip su celebrati campioni piuttosto che dare un minimo spazio a un racconto differente sul calcio.
A me questa massificazione fa schifo, e mi spiace che tu non veda dietro questo schifo l’amore incondizionato per chi rischia di diventarne vittima.
E infine sì, se al centro di un progetto (qualsiasi) c’è il coraggio di cambiare una prospettiva paralizzata sulla rappresentazione di una massa imposta da dati auditel e introiti pubblicitari, e se nel farlo ci si propone di muoversi verso strade meno battute, probabilmente il rischio di passare per snob è pure giusto correrlo.
Che poi ci si riesca o meno è tutto un altro discorso, però almeno ci si può raccontare di averci provato.
ciao, m.
Tento di rispondere sia a xho che a Matt(eo?).
Ci sono stati tre commenti negativi, tutti e tre hanno detto la stessa cosa, ed in tutti e tre i casi il confronto è stato più che civile e senza degenerazioni. Già di questo ci sarebbe da essere soddisfatti.
A xho vorrei dire che prendo atto che l’usare il calcio per parlare di altro è addirittura nell’atto fondativo del blog. Senza andare troppo per le lunghe: questa a me sembra una pecca. Non succede nulla, per carità, ma , almeno per me, e per molti credo, qui casca l’asino.
A Matt vorrei dire che il senso generale dell’articolo è anche condivisibile, e lo ringrazio per aver chiarito un pochino. Però, e non per amore di polemica, anche in questi chiarimenti vedo dei problemi. Apprezzo il tuo amore per la tattica, aspetto interessante del calcio, ma che due maroni sarebbero trasmissioni televisive impostate sui database delle corse di Giaccherini! Le cazzate di Zazzaroni e Varriale si possono anche tollerare senza predicare la svolta tattica, no? In qualsiasi ambito si trova roba di bassa qualità, ma non bisogna reagire con tutto questo melodramma. Soprattutto, escludendo Zazzaroni (il peggio del peggio a mio parere), si può salvare anche il modello “rissa televisiva” del parlare di calcio: penso che pochissime trasmissioni fossero riuscite come il Controcampo dei tempi eroici (Piccinini alla conduzione, Canalis al decoltè, Mughini alla polemica, Liguori a fare da para-odio). Il discorso sulla tattica è sacrosanto e va bene, nei giusti limiti, ma non si può proporre un programma la domenica sera di due ore di tattica. Inoltre, cosa ci sarebbe di illegittimo nel parlare di calciomercato? Mi sembra un aspetto importante, no? Altro discorso con il gossip: su quello sono d’accordo, perchè li si usa il calcio per parlare di altro. Insomma, non penso arriveremo mai a metterci d’accordo su tutto, ma mi sembrava giusto esporre le divergenze.
In conclusione, tornando al generale, il vostro progetto mi affascina molto, ma temo corra il fortissimo rischio di diventare un altro prodotto culturale uguali a troppi altri, riconducibili all’ambito “militanza virtuale”. Come la rivista SoFoot in Francia, come il gruppo Kansas City su Facebook. I riferimenti, gli eroi, i toni, tutto è troppo come ce lo si aspetterebbe (mi meraviglio che non sia ancora apparsa Grecia-Germania dei Monty Python) La critica è la stessa di prima; spero di sbagliarmi, perchè il sito è bello, ed il potenziale tanto. Meno toni da militanza, più pallone!
Un saluto,
G.
Dimenticavo: un in bocca al lupo per la vostra avventura!
@Giuseppe: ma non ci sono soltanto i programmi televisivi della domenica sera! Il problema, che Matt Pumpkin ha tutte le ragioni di segnalare, è che al di fuori del modello della rissa non sembra esistere altro modo di parlare di calcio in tv, che sia la domenica sera o qualsiasi altro giorno e orario della settimana.
Soltanto su SKY qualche cosa in più e in meglio si vede a volte, e non è un caso che il satellite sottragga di anno in anno sempre più spettatori alla televisione generalista.
Quanto al tentativo di Fútbologia di portare il calcio al di fuori degli angusti confini di moviola e calciomercato sostenendo un “discorso sul calcio”, scrivi “a me sembra una pecca”, che equivale a dire “non è giusto”: mi pare presuntuoso oltre che privo di senso; è perfettamente legittimo che la cosa non ti interessi, come sembra evidente dai tuoi commenti: scrivilo pure e nessuno – dei molti che invece sono interessati al progetto – se la prenderà.
Per quanto mi riguarda, l’idea alla base di Fútbologia mi pare appassionante: forse è esagerato dire, come fa John Foot nell’introduzione alla sua storia del calcio italiano, che non si può capire la storia italiana senza comprendere la storia del suo calcio, e viceversa; ma di sicuro il fenomeno calcistico è comunque troppo compenetrato nella nostra società, è troppo importante per lasciarlo agli epigoni di Biscardi.