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Cultura e calcio, tra Italia e Brasile

[Riceviamo e pubblichiamo. Le distanze culturali tra Italia e Brasile sono analizzate da Paolo Demuru nel libro “Essere in Gioco. Calcio e cultura tra Brasile e Italia”, Bononia University Press. Nell’introduzione al testo è raccontato come, nel corso del tempo, i luoghi comuni associati ai caratteri culturali dei due popoli siano stati individuati anche da intellettuali di riferimento]

Giacinto Facchetti e Jarzinho nella finale del 1970

Giacinto Facchetti e Jarzinho nella finale del 1970

Dall’introduzione a Essere in Gioco. Calcio e cultura tra Brasile e Italia

di Paolo Demuru

1. Brasile vs Italia

È il 21 giugno 1970. Allo stadio Azteca di Città del Messico si è appena conclusa la finale della nona edizione dei campionati del mondo di calcio. Il Brasile di Pelé e Tostão si è imposto sull’Italia di Gigi Riva con il risultato di 4 a 1. Per i giornali di mezzo mondo è l’ennesimo trionfo del futebol arte, del calcio ballato, del calcio-carnevale, allegro e irriverente, tipico del modo d’essere e di fare dei brasiliani. Perché si sa, in fondo loro sono così: la danza, il carnevale, l’allegria ce li hanno nel sangue.

Madrid, 11 luglio 1982. Stadio Santiago Bernabeu. L’Italia di Paolo Rossi conquista il suo terzo titolo mondiale battendo la Germania Ovest per 3 a 1. Ancora una volta, si dice su e giù per la penisola, è l’astuzia italica ad aver avuto la meglio sulla potenza tedesca. E a pensarci bene non poteva che andare così. Del resto, nel calcio come nella vita, se c’è una cosa che gli italiani conoscono bene è l’arte di arrangiarsi, i trucchi per cavarsela in situazioni sfavorevoli o di fronte a nemici in apparenza insormontabili.

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Dieci anni senza Manolo

[Riceviamo e pubblichiamo. Oggi ricorrono i dieci anni dalla scomparsa di Manuel Vázquez Montalbán. Alessandro Gori lo aveva intervistato nel 1997]

Manuel Vázquez Montalbán

di Alessandro Gori

Qualche giorno fa ho trovato per caso un articolo che fin dal titolo mi ha provocato un groppo in gola: «Diez años sin Manolo».

Mi era proprio sfuggito, sono trascorsi già dieci anni dal 18 ottobre del 2003, quando ci lasciava per sempre Manolo Vázquez Montalbán, colpito da un infarto durante lo scalo all’aeroporto di Bangkok rientrando dall’Australia.

Manolo era un intellettuale a tutto tondo, debordante autore di migliaia di articoli e centinaia di libri: giornalista, scrittore di successo, creatore dell’investigatore-buongustaio Pepe Carvalho, poeta e umorista, antifranchista che conobbe il carcere (come accadde a suo padre per lo stesso motivo), saggista e militante di sinistra, gourmet, ma anche innamorato di calcio e fanatico culé (tifoso del Barça).

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Maniman… centoventi anni di Grifone

[Di solito a Fútbologia evitiamo di glorificare una singola squadra. Ma la celebrazione della fondazione del più antico club d’Italia necessita di essere onorata. Lo fa per noi il direttore editoriale di China Files Simone Pieranni, esperto di questioni dell’Estremo Oriente, genovese e appassionato del Grifone. Manco a dirlo. NdR]

Genoa CFC 1983

Il 7 settembre 1893 (data di nascita di Mao Zedong) è la data di fondazione del Grifone, la società più antica d’Italia, quella che ha insegnato il calcio al paese, quando alcuni inglesi un po’ chic e classisti crearono il Genoa Cricket and Football Club.

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Lo Stilista Beat

[A grande richiesta, nel giorno del 70° anniversario del genetliaco di Luigi “Gigi” Meroni, pubblichiamo una breve mitografia di Luca Wu Ming 3 già pubblicata nel 2011 sul blog Solo di Calcio]

Murales su Meroni a Torino

Cercate le sue foto. Andate a scovare le immagini d’epoca. Guardatelo con la gallina con la quale andava a passeggio, per un breve periodo, e che lo seguiva come un cagnolino, anche al bar per l’aperitivo. Osservate gli occhiali. E i baffi, e il pizzetto. E poi senza. E la barba, e poi senza. Il taglio dei capelli. I tagli. Quella vaga somiglianza con George Harrison. E la Balilla che guidava. Soprattutto, guardate bene i vestiti. Gli accoppiamenti, i colori. Camicie, pantaloni, gilet, completi, giacche, bretelle. Li disegnava lui. Anche le scarpe, a volte. Ne progettava anche i tessuti e li faceva realizzare dal paziente e molto capace sarto torinese. È stato icona di un periodo, tratto distintivo di un’epica. Idolo per moltissimi, additato e osteggiato da tanti altri.

Senza, gli anni ‘60 in Italia forse non sarebbero nemmeno stati tali.

Di mestiere faceva il calciatore, e il suo nome era Gigi Meroni.

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Il romanzo del vecio di Gigi Garanzini

Ci sono personaggi, nel mondo del calcio come nella vita, di cui è possibile sentire la mancanza pur senza riuscire a focalizzarne con chiarezza il motivo. Spesso la sensazione, in questi rari casi, è quella di sentirci costretti, nostro malgrado, a ridurre la complessità di un’intera esistenza a poche, ridondanti immagini. Intimamente sappiamo, pur senza saperlo veramente, che tutto non può finire dentro a quell’omologante ricordo collettivo. ‘Dev’esserci molto altro’, ci ripetiamo infastiditi da come l’apparenza delle cose più belle riesca talvolta a offuscarne la profondità che le ha precedute e seguite. Una profondità che intuiamo nella misura di quel vuoto ora percepito.

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Azzurro Tenebra di Giovanni Arpino

Romanzo ambientato nel 1974, Azzurro Tenebra ha visto la luce nel 1977. Arpino ha avuto bisogno di qualche anno per riannodare i fili degli eventi di quella sciagurata estate tedesca. L’Italia si era presentata spavalda in Germania, dopo il secondo posto al Mondiale del 1970, per tornare mestamente a casa dopo appena tre partite.

Arpino non ha scritto un semplice romanzo sulle disavventure della squadra azzurra, ha intrecciato alle tre partite giocate tutte le storie che in quell’estate tedesca ha vissuto e raccontato come inviato. L’unico modo, forse, per regalare ai lettori un grande romanzo sul calcio era lasciare sullo sfondo quello giocato, lasciare che scandisse il tempo e semplicemente contornasse la narrazione.
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La figura dell’arbitro nella storia italiana di John Foot (prima parte)

[John Foot è uno storico italianista e insegna Storia Contemporanea al Dipartimento di Italiano dell’University College di Londra. Siamo molto felici di ospitare un suo contributo originale per Fútbologia, che pubblichiamo in due parti]

di John Foot

Particolare di litografia di Lorenzo D’Andrea

Le regole esistono ma non è facile interpretarle
Paul Ginsborg

Le leggi per i nemici si applicano, per gli amici si interpretano
Giovanni Giolitti

a. Lo Stato italiano e la sua legittimazione

Gli Stati necessitano di livelli significativi di legittimazione, salvo quei casi in cui siano governati mediante l’uso o la minaccia della forza. Come dice J. Habermas, un sistema politico “esige che la fiducia di massa sia il più possibile diffusa”. I cittadini devono nutrire un certo livello di fiducia nelle istituzioni dello Stato per accettarne il diritto a governare, riscuotere le tasse, far rispettare la legge e la legalità, combattere le guerre e garantire la formazione scolastica dei figli. Lo Stato italiano, sin dalla sua nascita, ha avuto una sorta di crisi di legittimazione semi-permanente. Le ‘regole del gioco’ non sono mai state accettate dalla maggioranza degli Italiani, come parte integrante di una gestione ‘razionale’ da parte dello Stato e del sistema politico. Al contrario, tali regole sono state parzialmente sostitute da un altro ‘codice’ non scritto che ha reso possibile istituzionalizzare la raccomandazione, il clientelismo, l’incapacità professionale e modi più informali di scambio e comportamento.

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I proiettili di rame che ferirono l’onore

[Riceviamo e pubblichiamo]

di Antonio Spera

1988. Avevamo da qualche anno coniato la più dileggiante e razzista onomatopea della lingua italiana. La prima in assoluto avente come soggetto l’uomo. Belare, frusciare, sciabordio e ticchettio erano storia arcinota. Serviva una onomatopea nuova, come gli anni che stavano mutando. Buona per descrivere qualcuno più che qualcosa.
Così passammo anche quell’estate dell’88 a berci questa bibita fresca fresca fatta di 1/2 bicchiere di paura dello straniero, poche foglie di antropologia culturale da quiz a risposta multipla e 1/4 di no-cosmopolitan made in italy. Ecco a voi vucumprà?.
Un cocktail di grido che animerà le calde estati italiane per più di un ventennio. Senegalesi, camerunensi, gabonesi, nigeriani, capoverdiani, marocchini e tunisini. Genericamente tutti africani. Gli ultimi poi si sarebbero staccati per emanciparsi in maghrebini.

foto da Zambia-Italia Seul 1988

Ashols Melu e Stefano Tacconi

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Asfalto storico. Brasile-Italia quattrauno

1970 Brasile - Italia 4-1 - Il terzo gol di Jairzinho

di Matteo Gatto

Quattrazzero, quando si fa sul serio, l’Italia non perde mai. Magari se ne va malissimo, senza farti sognare per niente, senza passare i gironi, o si scioglie ai rigori, o s’involve davanti a una Corea a piacere. Ma quattrazzero non s’era mai visto. Bisogna ammetterlo: ha fatto molto male.

Infatti, in queste settimane, incapace di rialzare la testa e guardare avanti a un futuro dominato da iberici e sassoni, mi sono voltato indietro e ho affrontato il lutto in modo insolito: osservando il lutto di una generazione precedente. Un’altra batosta, l’Altra Batosta. Città del Messico, 1970, stadio Atzeca, Brasile-Italia quattrauno. Non so ancora bene perché, ma me la sono vista tutta, dagli inni all’invasione di campo. Ha riaperto un mondo e rivalutato una prestazione: avevamo giocato bene. Così mi è parso.

“Qui è quasi mezzogiorno. È una strana mattina grigia e uggiosa che esce da una nottata di pioggia e temporale”. E già dall’introduzione meteoropatica di Nando Martellini che si intuisce l’imminente pesantezza di questa giornata. Continue reading

Zambrotta, il bel gesto e il terrore del crollo (calcio e identità nazionale)

[Di Fabio Camilletti, assistant professor al dipartimento di Italian Studies all’università di Warwick.]

Quando Mandžukić, il 14 giugno scorso, segnò il gol del pareggio contro l’Italia (e il paragone sembrò farsi più concreto nel momento in cui, quella sera stessa, la Spagna asfaltò l’Irlanda per 4 a 0), il pensiero di molti si rivolse al 18 giugno di otto anni prima, quando un tacco di Ibrahimović – a cinque minuti allo scadere – aveva fissato il risultato sul pari, di fatto eliminando l’Italia dall’Europeo. A Oporto, nel 2004, l’Italia aveva giocato un buon primo tempo, andando in vantaggio per uno a zero. Col secondo tempo la squadra si era chiusa più o meno in trincea, e al 70’, forse per gestire meglio il risultato, Trapattoni aveva fatto uscire Cassano, l’autore della rete. Questa – a detta della maggior parte dei commentatori – era stata la causa principale della débacle (quella sera, con tono da profeta biblico, Aldo Biscardi commentò che il tecnico doveva aver ‘perso il lume del giusto’, spegnendo ‘la luce in campo’). Quel che più inquietava, tuttavia, era l’idea – chiara, e sottilmente perturbante – che quel gol dovesse arrivare, necessità dettata da qualche tara atavica e ineliminabile.

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Inni contro e silenzi: Spagna-Italia nel Casco Viejo di Bilbao

 [di Francesco Spé, il nostro inviato in terra basca.]
Mancano pochi istanti all’atteso fischio d’inizio. All’improvviso le immagini dei giocatori della Spagna disposti in fila in mezzo al campo diventano mute. L’istrionico barista, reo dell’accaduto, si avvicina convinto allo stereo dietro il bancone. Matteo prova a trovare una spiegazione: «ci fa ascoltare la partita col commento della radio, vedrai».

L’ipotesi mi convince: i telecronisti di Tele 5 (Gruppo Mediaset) non sono un granché (basura, secondo Carlos Boyero de El Pais), e pure io facevo lo stesso spegnendo Pizzul per ascoltare il Mondiale del 2002 su Radio Rai 2 con i Gialappi (che all’epoca facevano ancora ridere) e boicottando l’impresentabile Marco Civoli a favore di Riccardo Cucchi (Radio Rai 1) durante il Mondiale 2006.

Ma ci bastano pochi secondi per scoprire che le intenzioni del barista sono ben altre. Niente radio, bensì un traccia su cd: Eusko Abendaren Ereserkia, ovvero “l’inno della patria basca”! Continue reading

Dal nostro Colloinviato in terra basca

[Dall’inviato ufficiale in terra basca di Fútbologia, Francesco “ve l’avevo detto” Spè.]

¡A la puta calle Xabi! Eres un paquete! Vamos Portugal! urla un buffo e irrequieto ragazzo basco, Voll Damm in mano e porro in bocca, non appena si accorge che il portiere portoghese Rui Patricio ha parato il rigore di Xabier Olano Alonso, nato nella basca Tolosa, cresciuto nella basca Real Sociedad, e da tre anni, dopo un intenso lustro passato a Liverpool, fulcro del centrocampo del castigliano Real Madrid.
Mi trovo a Gernika (si, proprio quella) in una taverna semi-deserta dove campeggiano bandiere dell’Athletic Bilbao in ogni angolo. Il solitamente impeccabile Xabi Alonso, dopo aver steso la Francia con una doppietta, ha appena inaugurato con un errore la serie di tiri dagli 11 metri tra Spagna e Portogallo, dalla quale uscirà la prima finalista dell’Europeo.

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Eurovisioni – La sottile linea Roja

Boston. Luglio 1994.
Il sottile rivolo di sangue appare incerto sul cratere lunare di una narice umana, prima di lanciarsi rapido lungo uno strapiombo di cute, e fendere la smorfia in cui si schiude una bocca oscena: “Hijo de puta! Hijo de puta! Hijo de puta!”.
L’immagine si allarga sul volto trasfigurato di un uomo che recita il mantra dell’odio, rivolto a chi l’ha colpito e cerca ora invano di sfuggire allo sguardo ostile della propria coscienza. Il dolore e la rabbia lo riportano con la memoria a pochi minuti prima.

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Eurovisioni – Mystic Rivera

Città del Messico. 1970.
Undici metri. Il dischetto del rigore, ricamato a una spanna dal pallone che danza leggero, ti segnala la distanza dall’invisibile diaframma che ti si para davanti, separandoti dalla gloria eterna. Il portiere è costretto nella gabbia del suo incolmabile ritardo, a inutile guardia dell’immensa porta spalancatasi di fronte ai tuoi occhi. Non puoi sbagliare. Peggio: puoi, ma non devi.
All’improvviso scopri quel monito ad abitarti i pensieri, nevrotico e ripugnante insetto che non avrai modo di far uscire dalla prigione trasparente della tua mente. Fino a quando la palla non prenderà ad allontanarsi da te. Allora tutto sarà già accaduto, anche se nessuno saprà ancora esattamente cosa. Continue reading