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Ogni quattro anni diventiamo più vecchi

[Del Porco Mondiale, non si butta via niente. Articolo sul Mondiale brasiliano a cura di Wu Ming 3 e Christo Presutti, pubblicato in cartaceo su Il Manifesto del 12 luglio 2014, il giorno della finale]

Poster World Cup Brazil 1950

di Luca Wu Ming 3 e Christiano xho Presutti

Cosa dici di un Mondiale che occulta massacri e conflitti sparsi da un polo all’altro del globo? Cosa dici di un Mondiale che non esce dalle prime news dei circuiti internazionali, nonostante nel frattempo: in Iraq, verso cui partimmo più di 10 anni fa recando doni e democrazia, venga proclamato il Califfato; al confine russo-ucraino e nelle regioni sottostanti avvengano esecuzioni, caccia etnica, pogrom e una guerra sponsorizzata UE; in M.O. un terribile massacro sia in corso a Gaza sotto i bombardamenti dell’aviazione israeliana. Cosa dici di un Mondiale così, che annega i conflitti e le domande del Paese che lo ospita nella pace armata delle milizie coloniali FIFA?

Beh, intanto cominci con l’ammettere che l’hai seguito. Tutto.

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Cultura e calcio, tra Italia e Brasile

[Riceviamo e pubblichiamo. Le distanze culturali tra Italia e Brasile sono analizzate da Paolo Demuru nel libro “Essere in Gioco. Calcio e cultura tra Brasile e Italia”, Bononia University Press. Nell’introduzione al testo è raccontato come, nel corso del tempo, i luoghi comuni associati ai caratteri culturali dei due popoli siano stati individuati anche da intellettuali di riferimento]

Giacinto Facchetti e Jarzinho nella finale del 1970

Giacinto Facchetti e Jarzinho nella finale del 1970

Dall’introduzione a Essere in Gioco. Calcio e cultura tra Brasile e Italia

di Paolo Demuru

1. Brasile vs Italia

È il 21 giugno 1970. Allo stadio Azteca di Città del Messico si è appena conclusa la finale della nona edizione dei campionati del mondo di calcio. Il Brasile di Pelé e Tostão si è imposto sull’Italia di Gigi Riva con il risultato di 4 a 1. Per i giornali di mezzo mondo è l’ennesimo trionfo del futebol arte, del calcio ballato, del calcio-carnevale, allegro e irriverente, tipico del modo d’essere e di fare dei brasiliani. Perché si sa, in fondo loro sono così: la danza, il carnevale, l’allegria ce li hanno nel sangue.

Madrid, 11 luglio 1982. Stadio Santiago Bernabeu. L’Italia di Paolo Rossi conquista il suo terzo titolo mondiale battendo la Germania Ovest per 3 a 1. Ancora una volta, si dice su e giù per la penisola, è l’astuzia italica ad aver avuto la meglio sulla potenza tedesca. E a pensarci bene non poteva che andare così. Del resto, nel calcio come nella vita, se c’è una cosa che gli italiani conoscono bene è l’arte di arrangiarsi, i trucchi per cavarsela in situazioni sfavorevoli o di fronte a nemici in apparenza insormontabili.

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Senza fifa: la memoria di Vladimir Herzog contro Marin e la FIFA

[Qualche settimana fa Dario Falcini ha intervistato Ivo Herzog, figlio di Vladimir Herzog, giornalista assassinato nel 1975 in Brasile dalla polizia segreta della dittatura militare. Da deputato dello stato di San Paolo, José Maria Marin – ora alla guida della Federcalcio brasiliana e coordinatore dell’imminente mondiale – era parte del regime, e difese pubblicamente l’operato della polizia. L’audio dell’intervista è in calce.
C’entra questa storia con il pallone? E beh, intanto leggi…]

Ivo Herzog nella sede del sindacato dei giornalisti

Ivo Herzog nella sede del sindacato dei giornalisti

di Dario Falcini

La fotografia, la pesca, l’astronomia e i cavalli.

Nemmeno dieci anni assieme e Vladimir Herzog era riuscito a trasmettere al piccolo Ivo le grandi passioni di una vita. In una cosa però, da padre, aveva fallito: suo figlio del Palmeiras non voleva saperne. I suoi occhi si accendevano per il bianco e il nero Timao. Poi arrivarono gli anni ’80 e il Dottore con la sua democrazia fecero il resto: lui sarebbe stato per sempre del Corinthians.

Cinquanta anni fa, il 31 marzo del 1964. Vlado vide i carri armati attraversare Rio de Janeiro e rivisse i suoi primi anni, quelli della fuga. Viveva a Osijek nella Croazia jugoslava e il nazismo era ormai troppo vicino a lui e alla sua famiglia ebraica. Vent’anni dopo a San Paolo un nuovo regime entrava nella sua vita. Questa volta erano i generali di Castelo Branco che senza sbraitare troppo archiviavano il governo di Joao Goulart. Il copione sarebbe stato abusato negli anni: il paese fiaccato dalla stagnazione economica, il boicottaggio delle lobby, le manovre della CIA, la perversione per l’uomo forte. In Brasile aveva inizio la dittatura più longeva dell’America Latina. 21 anni e 5 governi militari cambiarono per sempre la storia del paese.

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Essere campione è un dettaglio

Dante Di Domenico ha tradotto e sottotitolato per Fútbologia il documentario “Ser Campeão é Detalhe” (2011, “Essere campione è un dettaglio”). Dura circa 25 minuti e ve lo proponiamo qui con una breve presentazione. Buona visione.

foto di Sócrates di spalle, al posto dello sponsor «Dia 5 vote»

Per descrivere la storia recente del Brasile, della dittatura ultraventennale e dei fenomeni di cultura popolare che hanno portato alla sua caduta, servirebbero uno storico e un trattato storiografico. Ecco, io non sono uno storico, questo non è un trattato. Vi chiedo di perdonare sin da subito il tono del seguente articolo, che potrebbe risultarvi lacunoso e cronachistico. Tenetelo come introduzione agli eventi descritti con più cuore nel documentario che segue. Amen.

Nel 1963, nel Brasile schiacciato da una profonda crisi, il Ministro della Pianificazione Celso Furtado programma l’attuazione di una riforma agraria e la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere. Quelle riforme non avranno mai luogo: il 31 marzo del 1964 il colpo di stato militare del maresciallo Castelo Branco, appoggiato dagli USA, destituisce il presidente João Goulart.

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I sessant’anni di Zico… e un po’ di Udinese (parte 2)

[Riceviamo e pubblichiamo. Ieri 3 marzo 2013 il Galinho ha compiuto 60 anni. In due puntate il ricordo di Alesssandro Gori che qualche anno fa lo ha intervistato. La prima parte di questo articolo è maggiormente centrata sull’Udinese di quegli anni.]

Zico
di Alessandro Gori

Dieci anni fa, nel marzo 2003, mi trovavo in Giappone con una borsa di studio per giornalisti. Il Galinho – così era chiamato fin da ragazzino, quando zampettava sui campi da calcio magrissimo come un galletto – da pochi mesi era diventato selezionatore della nazionale nipponica con l’obiettivo di qualificarsi per il Mondiale tedesco del 2006, come poi accadde. Nei locali della Federcalcio si respirava un’aria nuova, tutti dicevano che Gico-san, come lo chiamavano laggiù, aveva portato un nuovo modo di lavorare.

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I sessant’anni di Zico… e un po’ di Udinese (parte 1)

[Riceviamo e pubblichiamo. Domani 3 marzo 2013 il Galinho ne compie 60. In due puntate, di cui questa prima sul periodo Udinese, il ricordo di Alesssandro Gori che qualche anno fa lo ha intervistato]

foto di Zico

di Alessandro Gori

Il 3 marzo ricorre il compleanno di diversi personaggi del mondo del calcio. Per esempio, Zibì Boniek ne compie 57, 48 per Dragan Piksi Stojković, uno dei miei grandi idoli e capitano della Crvena Zvezda, di cui un giorno sicuramente riparleremo su questo blog. Un amico dalla straordinaria memoria calcistica direbbe che è anche quello di Loris Pradella, lungo centravanti di Sacile, apparso anche nell’Udinese dei primi anni Ottanta, che ne fa 53.

Questa domenica però sarà una data speciale, perché ricorre il sessantesimo compleanno di Arthur Antunes Coimbra detto Zico, nato alle 7 di mattina del 3 marzo 1953 nella casa di rua Lucinda Barbosa numero 7, nel quartiere di Quintino Bocaiuva, a Rio de Janeiro.

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Un anno senza Sócrates (parte 2)

[Seguito del reportage in due parti dedicato al Doutor. La prima parte qui]

Per tutti noi, fútbologi di ogni risma e provenienza, il Dottor Sócrates è una stella fissa. Un punto di riferimento, un’ispirazione.
Pubblicare un omaggio, nei giorni in cui ricorre il primo anniversario della scomparsa, è obbligatorio. Con i dettagli e la passione di Alessandro Gori, o Magrão riceve il tributo che merita.
Le divinità del fútbol ne abbiano tutta la cura necessaria.
La democrazia è un colpo di tacco.

La Redazione

foto di Sócrates, una mano sul cuore

di Alessando Gori

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Un anno senza Sócrates (parte 1)

Per tutti noi, fútbologi di ogni risma e provenienza, il Dottor Sócrates è una stella fissa. Un punto di riferimento, un’ispirazione.
Pubblicare un omaggio, nei giorni in cui ricorre il primo anniversario della scomparsa, è obbligatorio. Con i dettagli e la passione di Alessandro Gori, o Magrão riceve il tributo che merita.
Le divinità del fútbol ne abbiano tutta la cura necessaria.
La democrazia è un colpo di tacco.

La Redazione

foto di Sócrates che fa stretching con (Leovegildo Lins da Gama) Júnior

Sócrates fa stretching con (Leovegildo Lins da Gama) Júnior

[Il reportage è diviso in due parti. La seconda parte sempre su questo blog, a un anno esatto dalla scomparsa del Doutor]

di Alessando Gori

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Olimpiadi Laser

Olimpiadi di Londra 2012: Corea Del Sud – Brasile 0-3

[Riceviamo e pubblichiamo]
Alessandro Villari è volato a Manchester per la semifinale del torneo olimpico di calcio, Corea del Sud – Brasile. Lì ha raccolgo alcune impressioni estemporanee e disordinate sulla città, sulle Olimpiadi e sul match. Ce le ha regalate.

Il risultato della semifinale fotografato da Alessandro VillariPrimo tempo

Il mio viaggio a Manchester comincia con una lieta sorpresa: il leggero ritardo dell’aereo impedisce alla RyanAir di infliggermi l’insopportabile motivetto, munito di applauso registrato, che segue ogni atterraggio puntuale.

Ho prenotato una stanza senza curarmi di come fossero i collegamenti con l’aeroporto, con lo stadio, con il centro della città: mi ha conquistato la fotografia del Crown & Anchor – sì, dormirò sopra un pub. La seconda buona notizia della giornata è che il posto è in posizione perfetta, a pochi minuti a piedi dalla stazione collegata con l’aeroporto, dal tram per Old Trafford e dalla zona più moderna interessante di Manchester, il Millennium Quarter.

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Asfalto storico. Brasile-Italia quattrauno

1970 Brasile - Italia 4-1 - Il terzo gol di Jairzinho

di Matteo Gatto

Quattrazzero, quando si fa sul serio, l’Italia non perde mai. Magari se ne va malissimo, senza farti sognare per niente, senza passare i gironi, o si scioglie ai rigori, o s’involve davanti a una Corea a piacere. Ma quattrazzero non s’era mai visto. Bisogna ammetterlo: ha fatto molto male.

Infatti, in queste settimane, incapace di rialzare la testa e guardare avanti a un futuro dominato da iberici e sassoni, mi sono voltato indietro e ho affrontato il lutto in modo insolito: osservando il lutto di una generazione precedente. Un’altra batosta, l’Altra Batosta. Città del Messico, 1970, stadio Atzeca, Brasile-Italia quattrauno. Non so ancora bene perché, ma me la sono vista tutta, dagli inni all’invasione di campo. Ha riaperto un mondo e rivalutato una prestazione: avevamo giocato bene. Così mi è parso.

“Qui è quasi mezzogiorno. È una strana mattina grigia e uggiosa che esce da una nottata di pioggia e temporale”. E già dall’introduzione meteoropatica di Nando Martellini che si intuisce l’imminente pesantezza di questa giornata. Continue reading

L’ultimo sogno di Obdulio

Siediti come un sultano tra le lune di Saturno e prendi l’uomo solo, molto in astratto: ti sembrerà un prodigio, una grandezza e un dolore.
(Hermann Melville – Moby Dick)

Sarebbe bello che i sogni non si avverassero mai.
Si continuerebbe a sognare all’infinito.
(Obdulio Varela)

Io non sono uno di loro. Non ho mai ucciso nessuno, in fondo.

Ma lo so bene cosa rimane addosso a un assassino, incollandosi alla sua coscienza arroventata di rimorso. Non è il senso di colpa che accompagna l’immane gesto, non l’irreale colore del sangue fatto sgorgare, e neppure la strenua resistenza di chi si è aggrappato alla vita, straordinariamente vigile per quanto il delitto abbia potuto coglierlo di sorpresa. A tormentare il sonno di un assassino non sarà l’osceno pallore che riveste un corpo spogliato di ogni residuo calore, per quanto possano popolarsi i suoi incubi di quella mostruosa visione, per mille e mille notti ancora. Non varranno i tormenti di quei fantasmi un solo grammo di quanto davvero ne trafiggerà incessantemente la memoria, lacerando le invisibili piaghe dell’anima. Chiedetelo, a uno cui sia capitata la disgrazia di ammazzare un suo simile assistendone l’inquieto morire, cosa di tanto tremendo rimane a memoria della più infausta delle umane tragedie. Chiedetegli quale ricordo ancora vivido ne segni irrimediabilmente l’esistenza.

Quel silenzio” – vi sentirete rispondere.

Ma come posso conoscerle tutte queste cose, io che non ho mai ucciso nessuno?
Cosa può saperne un vecchio calciatore uruguayano, di quel silenzio?

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Arthur Friedenreich – Il sogno perduto di El Tigre

Nel mondo non ci sono che due razze, diceva mia nonna:
quella di chi ha e quella di chi non ha.
(Miguel de Cervantes – Don Chisciotte)

Immaginate per un momento di aprire un’ostrica e di trovarci dentro una perla.
Sono quasi certo che ve la figurerete bianca. Potreste anche pensarla color crema, o rosa. Forse grigia; più difficilmente sarà di colore viola. Ma sono abbastanza sicuro che nessuno di voi immaginerà di trovarci una perla nera. Sarebbe un evento decisamente improbabile anche nella realtà: le ostriche in grado di generare perle di quel colore sono talmente delicate da morire in numero di molto superiore alle altre. Per questo il loro valore è inestimabile. Per ogni perla nera che avrà la fortuna di vedere la luce, a migliaia moriranno prima di poterlo fare, sigillate per sempre nel ventre dell’ostrica che sognava di donarle al mondo.
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