Lo Stilista Beat

[A grande richiesta, nel giorno del 70° anniversario del genetliaco di Luigi “Gigi” Meroni, pubblichiamo una breve mitografia di Luca Wu Ming 3 già pubblicata nel 2011 sul blog Solo di Calcio]

Murales su Meroni a Torino

Cercate le sue foto. Andate a scovare le immagini d’epoca. Guardatelo con la gallina con la quale andava a passeggio, per un breve periodo, e che lo seguiva come un cagnolino, anche al bar per l’aperitivo. Osservate gli occhiali. E i baffi, e il pizzetto. E poi senza. E la barba, e poi senza. Il taglio dei capelli. I tagli. Quella vaga somiglianza con George Harrison. E la Balilla che guidava. Soprattutto, guardate bene i vestiti. Gli accoppiamenti, i colori. Camicie, pantaloni, gilet, completi, giacche, bretelle. Li disegnava lui. Anche le scarpe, a volte. Ne progettava anche i tessuti e li faceva realizzare dal paziente e molto capace sarto torinese. È stato icona di un periodo, tratto distintivo di un’epica. Idolo per moltissimi, additato e osteggiato da tanti altri.

Senza, gli anni ‘60 in Italia forse non sarebbero nemmeno stati tali.

Di mestiere faceva il calciatore, e il suo nome era Gigi Meroni.

Scatti, finte, cambi di marcia e direzione, velocità impressionante. Ala destra, ma con licenza di accentrarsi quando lo riteneva opportuno, di classe pura, impresse una svolta e un senso al ruolo marcandone i tratti e le qualità per oltre due decadi a venire, almeno fino al Bruno Conti interprete decisivo del mondiale spagnolo. Vedeva la porta, segnava spesso, dotato di un ottimo tiro da fuori, sebbene magro e poco prestante, ma capace come pochi di mandare a rete i compagni, su tutti l’ariete di potenza assassina Nestor Combin, l’argentino.

Meroni al tiro

Diventava famoso e consacrato in via definitiva l’anno in cui io nascevo, il 1964. Ma già l’anno prima per i tifosi del Genoa, con cui esordì in serie A, era un padreterno. Il presidente del Torino, Orfeo Pianelli, per averlo staccò un assegno iperbolico, 300 milioni di lire, una montagna di soldi in quell’anno di grazia. Interrogato se quella cifra enorme non lo mettesse in imbarazzo e a disagio, Gigi rispose che la cosa doveva mettere a disagio chi quelle quotazioni le faceva e le maneggiava. Nel ‘66 Agnelli, che impazziva per il suo gioco, offrì 750 milioni e il trasferimento era cosa fatta quando i tifosi del Toro andarono in sommossa. Anche in Fiat decine di operai lasciavano minacciosi cartelli infilati sotto i tergicristalli delle 500. Meroni è roba nostra. E così saltò tutto. Il George Best italiano. Originale, non conformista, ma gentile, addirittura timido, niente affatto rissaiolo e tantomeno alcolizzato. Talento, arte. Che aveva voglia di esprimere in campo, e anche fuori. Dipingeva, tutt’altro che male.

Per giocare in nazionale, simbolo perbenista del paese, gli imposero i capelli corti. In un primo momento accettò, poi puntò i piedi e non ci fu modo di convincerlo. Non gioco con i capelli, affermava. Sempre nel ‘66 venne comunque aggregato alla tragicomica spedizione del mondiale anglo-coreano del CT Edmondo Fabbri, ma venne tenuto in panchina. E per fortuna, che altrimenti le colpe della disfatta le avrebbero attribuite a lui, il capellone degenerato.

Meroni, Rayban e bretelle

Anche la meravigliosa e struggente storia d’amore con una bella ragazza di origine tedesca, Cristiana, che per lui aveva divorziato ed era scappata, segnò il tempo e le cronache, i costumi e i valori di un’epoca che stava cambiando, che non voleva cambiare. Quando riuscì a sposare l’amore della sua vita, al termine di mille controversie, cominciò a giocare in maniera divina, e disse ai compagni che nessuno l’avrebbe più fermato.

Senza questo stilista beat, compositore di fughe sulla fascia, inventore di giocate, giocatore d’invenzioni, artista di vita, gli anni ‘60 in Italia non sarebbero stati tali. Sono certo che abbia indirizzato al ‘68 molti più ragazzi di quanti poterono Marcuse e Cohn Bendit.

Gigi Meroni il ‘68 non ebbe modo di vederlo, e di viverlo.
Morì una piovosa domenica sera, dopo aver seppellito la Sampdoria con quattro goal, nel 1967.
Mentre attraversava la strada, di fronte casa, falciato dall’automobile guidata da un suo grande tifoso.

L.

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