La passione per il Celtic

[Riceviamo e pubblichiamo]

di Alessandro Gori

Molti sono rimasti colpiti dopo aver visto in televisione ciò che è accaduto qualche settimana fa al “Celtic Park” di Glasgow. A sorpresa i biancoverdi hanno sconfitto per 2-1 i piccoletti del Barça, nonostante un assedio blaugrana costante quanto sterile, accompagnato da statistiche scandalose: 23 tiri contro 5, due pali, possesso palla devastante (89% a 11%), 955 passaggi a 166, vari salvataggi del portiere Forster.

Gli spalti del Celtic Park

Mentre i catalani si intestardivano in mezzo, due erroracci della loro difesa hanno consentito al Celtic di vivere quella che il suo tecnico Neil Lennon (già giocatore e Capitano della squadra) ha definito la più bella serata della sua vita calcistica. In tribuna, inquadrato dalle telecamere e rotto dall’emozione, Rod Stewart piangeva come un bambino. Questo il suo posto fisso in tribuna:

Era il coronamento di una serata speciale in cui si festeggiavano i 125 anni del club, iniziata con uno straordinario mosaico a tutto stadio e il “solito” ambiente, soprattutto nel momento in cui i 60mila hanno cantato a piena voce “You’ll never walk alone”, lo stesso inno del Liverpool.

Già due settimane prima in Catalogna erano rimasti impressionati dalla pacifica invasione celtica. Più di qualcuno però non si capacitava come mai i tifosi del Celtic portassero bandiere irlandesi e non scozzesi.

Il club venne fondato il 6 novembre 1887 da un prete marista, brother Walfrid, per raccogliere fondi in favore degli immigrati irlandesi, tra i più disperati e vessati della città. Walfrid, originario della contea di Sligo, volle seguire l’esempio dell’Hibernian, costituito con lo stesso scopo a Edimburgo nel 1875.

Proprio nell’allora poverissimo East End di Glasgow si erano stabiliti molti degli irlandesi giunti a migliaia soprattutto dopo la Grande Carestia (1845-49), una tragedia che causò un milione di vittime e altrettanti emigranti. La Scozia e Glasgow costituivano una delle destinazioni più vicine all’isola verde, all’epoca sotto il dominio della Corona britannica.

Il primo stadio venne costruito dagli stessi tifosi e la prima partita si giocò il 28 maggio 1888 (per questo motivo la data campeggia nello scudo del club) proprio contro gli acerrimi rivali dei Rangers, sconfitti per 5-2.

Risale ad allora l’eterna rivalità tra i due principali club della città e del paese, l’uno orgoglio dell’osteggiata comunità cattolica e l’altro da sempre baluardo della tradizione protestante. Entrambi rappresentano un’ultracentenaria storia di forti passioni, attaccamento alla squadra e alla propria collettività, ma anche di violenze settarie. L’Old Firm, il derby di Glasgow, è uno dei più infuocati al mondo e a lungo ha assunto significati ben al di là della sfera sportiva. Per farsi un’idea, solo nel 1989 il primo calciatore cattolico firmò per i Rangers: fu il celebre caso di Mo Johnston, considerato un traditore dagli ultras biancoverdi, ma anche da quelli blues, che ritenevano il suo acquisto un ripudio ai “valori” del loro club, proprio quando aprì le sue porte anche ai non protestanti.

Dopo 399 edizioni ora la rivalità dell’Old Firm è venuta momentaneamente meno: decine di milioni di sterline di tasse non pagate hanno portato la scorsa estate al fallimento dei Rangers con la conseguente retrocessione diretta in Quarta divisione. Dopo un primo momento di euforia anche i tifosi del Celtic si sono resi conto che il già monotono campionato scozzese sarebbe diventato ancor più noioso. Intanto, quest’estate ad Ibrox si vedevano centinaia di tifosi blues in fila per rinnovare il proprio abbonamento: tutte le partite interne dei Rangers registrano ora 50mila spettatori, in quarta serie appunto.

In fila per l’abbonamento

Anteriormente alla marea inglese, fu il Celtic il primo club britannico a conquistare la Coppa Campioni: guidato in panchina dall’indimenticato Jock Stein (immortalato insieme a Wilfrid all’entrata dello stadio), nel 1967 sconfisse a Lisbona l’Inter di Helenio Herrera per 2-1. Si dice che allora tutti i giocatori provenivano al massimo da 30 miglia da Parkhead, la zona dello stadio. Tre anni dopo raggiunse nuovamente la finale ma fu battuto per 1-2 ai supplementari dall’allora Feijenoord di Rotterdam a San Siro.

Quei tempi sono lontani, ormai anche al Celtic sono approdati giocatori da tutti i paesi come lo svedese Henrik Larsson che nei suoi sette anni al club marcò 242 reti e ne divenne uno dei massimi idoli. Nonostante i tristi risultati sportivi a livello europeo degli ultimi anni, i tifosi biancoverdi sono conosciuti per essere tra i più entusiasti, positivi e corretti (forse con le uniche eccezioni del passato durante i derby di Glasgow).

Un episodio unico nella storia del calcio fu l’esodo per la finale di Coppa UEFA 2003 a Siviglia invasa da 80mila suoi tifosi, la gran parte senza biglietto. Purtroppo poi il Celtic venne sconfitto per 2-3 dal Porto del giovane Mourinho.

Tanto entusiasmo gli è valso simpatizzanti e club di tifosi in ogni angolo del globo, alcuni anche in Italia. Dal 2009 la passione verde ha attecchito anche a Udine grazie a Paul Rinaldi, un simpatico prof di inglese nato a Glasgow con il papà di origine toscana. Un anno fa al “Friuli” per la partita del gironcino di Europa League la nutrita presenza di tifosi scozzesi venne accolta dalla sessantina di soci friulani al motto di «Due club uniti dalla stessa passione».

 

[Tutte le foto sono state scattate dall’autore che ne detiene i diritti]

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Alessandro Gori (Udine, 1970), giornalista freelance e da sempre appassionato di calcio, è malato di Balkani, Caucaso, America Latina, Catalunya ed Euskal Herria, e più in generale dei territori complicati e problematici. Sta preparando un libro di storie su “Un Altro Calcio”.
È laureato in Lingua e Letteratura Portoghese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi (in portoghese) su Musica Popolare e società in Brasile durante la dittatura: Chico Buarque e Caetano Veloso.

 

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