A l’è bela, Superga

[Riceviamo e pubblichiamo: un fotoracconto di Yamunin che è salito per Fútbologia in cima alla collina di Superga. Ha scritto questo e altro in uno dei suoi Diari di zona]

di Luigi Chiarella aka Yamunin

Superga è ora per me quel luogo che si può raggiungere pedalando per poco più di mezz’ora su una strada sterrata che costeggia il Po e poi, raggiunto il ponte del Bajno sul confine di Torino con San Mauro, camminando in salita per un’ora e mezzo lungo il sentiero 29. Fra alberi immersi nella nebbia , urla di pirati e stridio di freni con ciclisti in caduta libera tra rami e pietre rotolanti. Castagni e faggi, odori e rumori del sottobosco.

A circa metà percorso, guardando fra gli alberi verso est, si può riconoscere – se non c’è troppa foschia – il nuovo sfavillante centro commerciale della periferia torinese chiamato Juventus Stadium.

Superata la linea della tranvia c’è l’ultimo tratto di salita, che è liscia e asfaltata. La si può fare con un’unica tirata e, se si ha ancora fiato, giocando a prendere a calci un sasso sufficientemente rotondo. Portarlo fin su, senza lanciarlo nella scarpata che sta a destra, superando le buche nell’asfalto e depositarlo sulla spianata dove l’architetto Juvarra costruì la basilica.

Poi si può osservare la città dall’alto e tirare un po’ il fiato.

Si può immaginare il via vai di formiche urbane, traffici e scambi, favori e trappole, giochi di poteri e giochi di bambini chiusi nelle palestre mentre i cortili restano vuoti per “divieti tassativi di giuocare al pallone” e mentre la luce di un pomeriggio qualunque diventa crepuscolo.

Seduto su una panchina a riprendere forze, ascoltando altri racconti di camminatori, mi guardo intorno.

Mi chiedo dov’è, se c’è, il monumento ai giocatori del Torino. Dov’è il luogo dell’impatto e perché non l’ho incontrato lungo la salita? Guardo un monumento orribile, le insegne a tombe reali e ristoranti e trovo l’indicazione giusta per il monumento al Grande Torino. Seguo il sentiero che porta alle spalle della basilica fino a superare un confine che è insieme sonoro ed emotivo.

C’è silenzio adesso. Il rumore delle comitive, delle famiglie, dei pullman è scomparso. È dietro le mie spalle adesso, appena oltre il confine. Un gruppo di persone davanti a me guarda compatto in una direzione. Alle loro spalle il bosco, le colline che si susseguono fino a Chieri. Mi muovo nell’aria densa e raggiungo il gruppo. Mi siedo a terra e vedo il retro della basilica. Sembra bombardato. Guardo le orbite vuote di alcune finestre, muri sfondati e arcate tese a toccare il nulla. L’aereo non ha lasciato altra traccia.

Ci sono bandiere, scudetti, sciarpe intorno alla lapide su cui sono scolpiti i nomi dei giocatori, dei tecnici, dei giornalisti, dell’equipaggio.

Mi muovo cercando di non fare rumore, di non turbare l’atmosfera che avvolge tutti.

Scatto un po’ di foto. La foschia è oltre il muro di silenzio.

Torno a sedermi e chiudo gli occhi.

Questa è per me ora Superga, questa densità.

Lentamente mi metto in piedi, non torno indietro e continuo a seguire il sentiero. Incrocio due ragazzi con l’aria di chi ha appena finito di giocare. Uno di loro dice all’altro: facciamo silenzio adesso, per rispetto più che altro. L’amico annuisce, ha un pallone giallo sotto il braccio.

Continuo a camminare.

“A l’è bela, Süperga!” – dicono i torinesi.

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Sempre di Yamunin su questo blog: Il corpo morto del Filadelfia e ciò che resta.

[@Yamunin lo trovi su Twitter e con @Satyrika mantiene un blog: Satyrikon]

 

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