L’emozione di Anfield

[Riceviamo e pubblichiamo il racconto di Liverpool – Udinese (e non solo) da Anfield]

di Alessandro Gori

È la mia terza volta a Liverpool ma senza dubbio la più sentita. Nelle occasioni precedenti, un Everton-Chelsea (2005) e un quarto di Champions Liverpool-Arsenal (2008), ero rimasto stregato dalla straordinaria atmosfera degli stadi inglesi. Ma stavolta vengo fin quassù a seguire la mia squadra, l’Udinese, impegnata nella storica partita di Europa League.

Fondata nel 1207, all’inizio del Novecento Liverpool era uno dei porti più importanti d’Europa. Aveva la sua sede qui anche la White Star Line, la società di navigazione che fece costruire il Titanic. Dopo una lunga depressione la città è risorta recuperando alcune zone del centro e del porto e ha aumentato notevolmente le sue proposte culturali (nel 2008 è stata anche Capitale Europea della Cultura). Non è un caso che proprio qui, in Matthew Street, siano nati i Beatles, un avvenimento di cui proprio quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario. The Cavern Club è lo storico locale dove iniziarono a suonare.

Anfield Road

Arrivo nel quartiere dello stadio circa due ore prima dell’incontro. Uno degli aspetti di “Anfield” che colpiscono immediatamente è che, come molti impianti britannici, si trova in una strada in mezzo alle case.

Costruito nel 1884, “Anfield” era originariamente la casa dell’Everton che a seguito di una disputa sull’affitto, nel 1892 edificò il vicino “Goodison Park”: in quel frangente venne fondato il Liverpool FC che ne rilevò l’impianto dove ha sempre giocato da allora fino a oggi. Esisteva un progetto della precedente, nefasta proprietà (due imprenditori statunitensi) di costruire uno stadio nuovo, in stile “Emirates”, che per fortuna sembra sfumato.

Me lo spiega Bryan, che conosco per strada. Sembra che negli ultimi mesi il club abbia acquisito delle case nelle vicinanze delle tribune liberando alcuni spazi che, in futuro, potrebbero essere usati per espandere lo stadio.

Bryan ha sempre vissuto a Londra ma è un tifoso Red fin dall’infanzia, anche perché suo padre è di Liverpool. Ormai da qualche anno sta aspettando di ottenere un abbonamento ma l’attesa è lunghissima. Ogni tanto riesce a trovare un biglietto e, come in questo caso, viene apposta dalla capitale.

“Anfield” trasuda storia, calcistica e non solo. Il “Kop” è indubbiamente una delle curve più famose al mondo e sorse insieme al “Main Stand” nel rinnovamento del 1906 ad opera del famoso architetto scozzese Archie Leitch, autore di una ventina di stadi in Gran Bretagna. Gli venne affibbiato questo nomignolo a ricordo della collina dello Spion Kop in Sudafrica, dove nell’omonima battaglia avvenuta durante la seconda guerra Anglo-Boera (1900) persero la vita 322 soldati, in maggioranza della regione di Liverpool.

Vicino, una statua dell’allenatore Bill Shankly “benedice” i passanti. Semplice ed efficace la spiegazione sotto il suo nome: He made the people happy. La sua effige è onnipresente, fu l’artefice del primo miracolo Liverpool sedendo sulla sua panchina dal 1959 al 1974, anno in cui venne sostituito dal suo assistente Bob Paisley che ne completò l’opera. Altro inarrivabile maestro, Paisley rimase nel club per ben 44 anni: firmò il suo primo contratto da giocatore nel 1939, divenne poi fisioterapista e preparatore, assistente di Shankly ed infine il manager che in 9 stagioni vinse 6 campionati, 3 Coppe dei Campioni (è ancora l’unico ad esserci riuscito) e una Coppa UEFA.

Ma la storia del Liverpool, oltre che di gloria, è lastricata di tragedie. Protagonisti negativi della finale dell’“Heysel” (1985) in cui morirono 39 juventini, anche i Reds hanno avuto i loro caduti.

Hillsborough

Di fronte ad “Anfield” si trova l’associazione dei famigliari delle vittime della tragedia di “Hillsborough”, lo stadio di Sheffield in cui il 15 aprile 1989 96 tifosi del Liverpool persero la vita e 766 rimasero feriti durante una semifinale di Coppa d’Inghilterra contro il Nottingham Forest. Poche settimane fa sono stati rivelati diversi documenti segreti dell’epoca che evidenziano le gravissime colpe della polizia che aprì criminalmente le porte a una moltitudine di tifosi, molti dei quali senza biglietto. Sotto la spinta devastante della folla numerose persone vennero schiacciate contro le inferriate, da allora eliminate in tutti gli impianti britannici.

Entro e trovo Steve Kelly, uno dei rappresentanti che lascia subito le sue occupazioni e mi porta al piano di sopra. «Qui non abbiamo presidenti o sottoposti, siamo tutti allo stesso livello» sottolinea mentre altri collaboratori cenano a fish & chips e commentano le sue risposte.

L’associazione lotta affinché venga fatta giustizia, «non solo per i 96», specifica Steve. «Subito dopo la polizia cercò di insabbiare la verità identificando i tifosi come hooligans, poi a tutte le vittime venne estratto del sangue per effettuare dei controlli alcolici, ma non trovarono niente».

Era l’epoca del governo di Margareth Thatcher. «Alcuni politici eletti dal popolo coprirono quelle informazioni e protessero i poliziotti protagonisti di errori colossali. Alcuni di essi vennero processati, ma non furono giudicati colpevoli. Ora speriamo che i casi vengano riaperti».

Sembra ci fossero 42 ambulanze a poche yarde da quella scena apocalittica, ma nessuno venne in aiuto, neanche i poliziotti. «Mio fratello si sarebbe potuto salvare» si lamenta Steve.

L’impulso più importante è arrivato a seguito delle manifestazioni per il 20° anniversario grazie al Ministro per la Cultura, il laburista Andy Burnham, che il giorno della tragedia si trovava nello stadio in cui si giocava l’altra semifinale tra Norwich City ed Everton, squadra di cui è tifoso. Fu lui a sollevare la questione in Parlamento e, con il sostegno di 140mila firme (raccolte in soli tre giorni), su quei documenti così scottanti è stato tolto il segreto di stato con dieci anni di anticipo rispetto ai trenta previsti.

Noto che Steve ha in mano una tazza con i colori dell’Everton e quando si accorge della mia espressione perplessa anticipa la domanda confermando che la sua famiglia è sempre stata divisa tra i due colori, Red e Blue, ma che la rivalità da queste parti è sempre stata sana. Prima di morire suo fratello era anche riuscito a “scippare” la fede dei due figli di Steve, divenuti suo malgrado tifosi del Liverpool.

Le conseguenze tra i sopravvissuti di Hillsborough sono tuttora tremende, anche a livello psicologico. «Ancor oggi molti sono costretti a rivolgersi ai servizi sociali e dopo gli ultimi scossoni emotivi, pochi giorni fa un ragazzo dei nostri si è tolto la vita».

Prima di andarmene all’associazione mi fanno omaggio di un poster commemorativo. Ne esco emotivamente scosso ma mi accorgo che è ormai scesa la sera e per arrivare al settore ospite devo raggiungere la parte opposta dello stadio.

Non lontano dalla nostra entrata si vede il conosciuto cancello, anch’esso dedicato a Shankly, con l’altrettanto famoso motto (e inno) del club.

Vuole quasi accompagnare il memoriale che si trova a fianco, dedicato ai 96 di Hillsborough.

Il posto, pieno di fiori freschi, raccoglie sempre una folla importante. Molti vi si fermano davanti, guardano in silenzio e poi, prima di continuare verso le tribune, come per un saluto sfiorano con un dito uno dei nomi di quel lungo elenco.

Sugli spalti

Il nostro ingresso, con traduzione (approssimativa) in italiano.

Alla porta una ragazza mi controlla lo zaino, ma quando trova il poster su Hillsborough le si illumina il volto.

Uscire sugli spalti è pura adrenalina. Al mio fianco ho uno steward, si chiama Arthur e mi racconta che è impiegato alla Ford ma che da una quindicina d’anni lavora anche per il club di cui è tifoso (e non per una compagnia esterna che paga infimamente studenti e disoccupati come capita da noi). Si rammarica che la scorsa stagione operava nella zona dei dirigenti, mentre da qualche settimana si trova con i tifosi ospiti. Gli è sicuramente andata peggio pochi giorni prima, in mezzo a quelli del Manchester United.

Il colpo d’occhio è impressionante, lo stadio non è immenso (circa 45mila posti) ma molto raccolto, ovviamente gli spalti sono a ridosso del terreno di gioco e i calciatori si possono quasi toccare, una sensazione alla quale al “Friuli” non siamo proprio abituati. Colpiscono anche le colonne che sostengono il tetto del “Main Stand” e lo rendono molto retrò.

Proprio in quella tribuna quando vengono annunciate le formazioni, al nome di Totò Di Natale gli spettatori si alzano in piedi ad applaudire. Proprio una strana sensazione.

Ecco l’attimo che molti aspettavano. Prima dell’entrata dei giocatori dagli altoparlanti parte il celebre You’ll Never Walk Alone, cantato a squarciagola da tutto lo stadio con le sciarpe in vista, mentre un grande striscione percorre la curva. La canzone, scritta per un musical del 1945, venne rieditata nel 1963 dal gruppo di Liverpool Gerry & The Pacemakers e ripresa subito dopo dai tifosi del “Kop” che ne fecero il proprio inno. Il motivo fu successivamente adottato anche da altre tifoserie.

Ho i brividi e gli occhi mi diventano umidi, ma mi accorgo che al mio vicino capita la stessa cosa. Valeva la pena venire fin qui anche solo per vivere un momento simile. Questa è l’atmosfera durante quel paio di minuti che precedono ogni incontro casalingo dei Reds (qui in una partita di Champions del 2005 contro la Juventus):

http://www.youtube.com/watch?v=T00x5sRbZrc

Le squadre sono in campo. A sorpresa una mamma con il figlioletto si sistema proprio nei posti lasciati liberi tra le due tifoserie, quello in teoria vicino ai “nemici” (noi).

I Mille friulani cantano a squarciagola per tutto l’incontro, mentre il “Kop” rimane stranamente silenzioso (non capita quasi mai), forse anche per la formazione rimaneggiata decisa dal nuovo allenatore Brendan Rodgers. L’ex Swansea sta cercando di trasmettere ai propri giocatori una nuova filosofia basata sul possesso palla e di conseguenza l’inizio è stato stentato. Che lo si creda o no, Rodgers è il 18° manager del Liverpool dalla sua fondazione, 120 anni fa. Nell’esiguo spazio previsto per dare indicazioni, i due allenatori si trovano vicinissimi.

Nel primo tempo i bianconeri sono in balìa del Liverpool infarcito di giovani, con Di Natale isolato in avanti. Al 23’ Brkić nulla può su un colpo di testa di Shelvey. Per fortuna nell’intervallo Lazzari sostituisce l’inutile Armero e nella ripresa si vede un’altra Udinese, grintosa e aggressiva. Già dopo una manciata di secondi il pareggio con una splendida rete di controbalzo di Totò.

Anche Rodgers fa entrare il suo Capitano Steven Gerrard e l’uruguaiano Luis Suárez. Ma in due soli minuti (70’ e 71’) avviene il miracolo: prima il goffo Coates appoggia nella propria porta e poi Di Natale porge a Pasquale il cui diagonale perfetto batte nuovamente Reina. Il Liverpool accorcia con una magistrale punizione di Suárez ma non c’è più tempo: dopo Genoa e Fiorentina, l’Udinese è la terza squadra italiana ad espugnare “Anfield”.

A pochi metri di distanza, i tifosi del Liverpool che stanno uscendo applaudono e scambiano le sciarpe con noi.

È stata una serata emozionante, uno dei momenti più esaltanti mai vissuti allo stadio a sostenere i bianconeri, fin da quella prima partita vista da bambino, un Udinese-Pergocrema di Serie C nel lontano 1977.

 

Tutte le foto sono state scattate dall’autore che ne detiene i diritti.

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Alessandro Gori (Udine, 1970), giornalista freelance e da sempre appassionato di calcio, è malato di Balkani, Caucaso, America Latina, Catalunya ed Euskal Herria, e più in generale dei territori complicati e problematici. Sta preparando un libro di storie su “Un Altro Calcio”.
È laureato in Lingua e Letteratura Portoghese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi (in portoghese) su Musica Popolare e società in Brasile durante la dittatura: Chico Buarque e Caetano Veloso.

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