Incredibilmente bianchi: la storia dell’Albino United Team

[Riceviamo e pubblichiamo – di Paolo Bottiroli]

Ci sono superstizioni dure a morire. Il gatto nero che attraversa la strada, il passare sotto una scala, i gufi che portano cattiva sorte. In alcune zone dell’Africa (in particolare in Tanzania, Kenya e Uganda), ve ne sono di molto pericolose sulle persone albine: conservare un pezzo del loro colpo aiuterebbe ad allontanare malocchio e disgrazie; la loro carne, usata nelle reti, sarebbe perfetta per avere una pesca abbondante; un loro osso faciliterebbe la ricerca di metalli preziosi; e i genitali, miscelati in particolari pozioni, esalterebbero le prestazioni sessuali. Almeno così credono stregoni e sciamani di alcuni di questi villaggi. Ragioni per cui in queste zone si è scatenata una vera e propria caccia all’albino, tant’è vero che la ong Under the Same Sun ha calcolato che dal 2007 ad oggi per questi motivi almeno sessanta albini sono stati uccisi nella sola Tanzania.


Ma siamo su Fútbologia, e cosa c’entra il calcio con tutto questo? Semplice, nel 2008 è nata, per combattere questi pregiudizi, l’Albino United Team, una squadra di calcio formata da soli giocatori albini, con l’unica eccezione del portiere, visto che tra i pali si muove sempre un giocatore di colore. Il motivo? Gli albini -questa non è superstizione ma realtà- hanno problemi di vista che gli impedirebbero di vedere nitidamente il pallone in arrivo. Del resto, per loro nemmeno leggere è facile come per le persone normali.

La storia dell’Albino United Team, fatta venire alla luce dal mensile francese So Foot e ripresa poi da ET, il settimanale de La Gazzetta dello Sport, mostra tutto il peso che il calcio ha, e può ancora avere, nella società civile. Se è vero che già in passato lo sport ha coperto un ruolo fondamentale in questioni che con la sua stessa essenza sport avevano poco a che fare (si pensi alla legge sul divorzio italiana, in qualche forse influenzata dalla “scandalosa” relazione tra Coppi, il Campionissimo, e la Dama Bianca), così potrebbe essere per la questione albina. Una squadra di ragazzi dai tratti fisionomici caratteristici delle popolazioni africane, dalla linea degli occhi alle narici particolarmente grandi, ma con una pelle più bianca di quanto la possa avere un qualsiasi svedese dopo un intero inverno passato a casa. Uomini neri completamente bianchi.

Così, schierati secondo un 4-3-3 tutta fantasia o con un 4-4-2 di sacchiana memoria, questi ragazzi sono pronti a sfidare altre squadre non tanto per fare un gol in più degli avversari (fidatevi, in un caso del genere lo capirebbe anche Zeman) ma per portare alla luce la loro situazione di “vittime sacrificali”. Portare alle luce, poi, per modo di dire, visto che in realtà alla luce, gli albini, non possono giocare. Troppo forti i raggi africani per la loro pelle, più delicata di quella dei bambini, troppo costosi, per le loro tasche, i tubetti di protezione solare necessari per evitare ustioni. Così allenamenti e partire sono solo di notte, o il tardo pomeriggio, quasi ci fossero tattiche segrete che nessun altro deve scoprire o che, per particolari motivi legati al metabolismo, sotto il bagliore della luna si possa dare il meglio.

Il calcio, per questi ragazzi, perde la misura dello sport per diventare metodo di sopravvivenza (non tanto economica, ma a tutti gli effetti fisica) e per far conoscere la loro situazione. È attraverso il pallone che il loro problema può diventare visibile, attraverso il pallone possono sconfiggere le infondate superstizioni che ne minano l’intera esistenza. E se ora, per fortuna, non ci si stupisce più del fatto che Balotelli e Ogbonna giochino con la maglia italiana, sarebbe bello un giorno veder correre, tra i leoni del Camerun, anche un ragazzo nero, ma incredibilmente bianco.

Alcuni link per inquadrare meglio il fenomeno:
La storia dell’Albino Team è anche un film, “Albino United”, uscito nel 2010.
Il trailer del documentario su Vimeo.
La ripresa di qualche allenamento.
La copertina del numero di So Foot che parla dell’Albino United Team.

[Segui @ilbotti81 su Twitter.]

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