Dal nostro Colloinviato in terra basca

[Dall’inviato ufficiale in terra basca di Fútbologia, Francesco “ve l’avevo detto” Spè.]

¡A la puta calle Xabi! Eres un paquete! Vamos Portugal! urla un buffo e irrequieto ragazzo basco, Voll Damm in mano e porro in bocca, non appena si accorge che il portiere portoghese Rui Patricio ha parato il rigore di Xabier Olano Alonso, nato nella basca Tolosa, cresciuto nella basca Real Sociedad, e da tre anni, dopo un intenso lustro passato a Liverpool, fulcro del centrocampo del castigliano Real Madrid.
Mi trovo a Gernika (si, proprio quella) in una taverna semi-deserta dove campeggiano bandiere dell’Athletic Bilbao in ogni angolo. Il solitamente impeccabile Xabi Alonso, dopo aver steso la Francia con una doppietta, ha appena inaugurato con un errore la serie di tiri dagli 11 metri tra Spagna e Portogallo, dalla quale uscirà la prima finalista dell’Europeo.


Più che l’esito dei rigori, m’interessano le reazioni dei presenti, e così è stato nei precedenti 120 minuti di gioco. Cerco di capire gli stati d’animo, ostentati e latenti, di tifosi baschi dinanzi a una partita decisiva della Spagna. So già che la cosa è complessa, avendo vissuto qualche tempo fa la realtà catalana, per certi versi simile, per altri no. In nove curiosi mesi a Barcellona conobbi autoctoni calciofili che ignoravano la nazionale spagnola, altri che la odiavano, altri ancora che la tifavano con ardore, sebbene non si sentissero “spagnoli” bensì orgogliosamente catalani.
Ma sopratutto in quei mesi mi sono imbattuto in Joaquin, figlio di un tifosissimo dell’Espanyol [l’altra squadra di Barcellona], che lo accompagnava tutte le domeniche allo stadio da bambino e che ora non c’è più. Quando gioca la Spagna Joaquin vive sentimenti contrastanti e cade in laceranti contraddizioni, che a volte ammette, altre no. Ho pensato a lui quando, durante i supplementari, le telecamere hanno inquadrato Fernando Llorente, fortissimo centravantone dell’Athletic Bilbao: boato di tutti i presenti, barista compreso, desiderosi che il loro idolo entrasse per risolvere la partita a favore della squadra… per la quale stavano gufando ininterrottamente dal fischio d’inizio. E ho anche pensato a lui quando l’unica ragazza presente nel bar, mora e bellissima, ha cercato di trattenere il disappunto per un’occasione mancata da Iniesta, lei che sapeva di aver tutti gli occhi addosso e che ostentava dispiacere quando a sbagliare i gol erano quelli vestiti di bianco.
Nonostante l’occasione mancata da Iniesta nei supplementari e l’errore di Xabi dal dischetto, alla fine ha vinto la Spagna, grazie anche a una perla di Sergio Ramos, il più bersagliato di tutti. ¡A la luna, a la luna! l’urlo congiunto da curva prima che il madrileno zittisse tutti con un intrepido cucchiaio alla Panenka.

Il giorno dopo c’era Italia-Germania. Scelsi un’altra taverna basca a pochi metri da quella dell’altra semifinale. Schermo gigante dinanzi a me, che andavo collezionando cañas y pintxos a oltranza. Pubblico più vecchio e distratto rispetto a quello di Spagna e Portogallo, io unico under 30 tra i presenti. Un corpulento signore seduto dietro di me parlava più di tutti e capiva meno di tutti di calcio. Un giocatore in particolare cattura la sua attenzione. Dopo un paio di minuti: ¿Quien es ese negro? El delantero de Italia es negro? Es broma o qué??. Al 20′: Mira, ha marcado el negro. No esta tan mal… Al 35′: ¡Vaya golazo, ha marcado otra vez! Ostia, que fuerte està ese negro!

Anche a lavoro si parla di calcio. Arantxa, compagna di ufficio, mi rivolge la parola sopratutto per due cose: lumi su come funziona el Twitter (No me gusta tuitear, es demasiado complicado, però me gusta mirar los trending topics. Eso mola!) e pareri sulle squadre dell’Europeo. Lei è una di quelle che tifa Spagna, senza se e senza ma. La mattina di Italia – Germania mi dice: Lo siento, ma va a ganar Alemania. Italia no me gusta nì un poco. La sua argomentazione, a cui cerco di ribattere invano, poggia sul solito stereotipo, vero ma logoro, dell’Italia catenacciara.
Il giorno dopo non faccio in tempo ad entrare che Arantxa sovrasta di complimenti la nostra partita, il nostro gioco, il nostro bomber a lei quasi sconosciuto. E dopo avermi schernito per il rifiuto di Benitez alla panchina della mia piccola e adorata Samp (il nome del probabile nuovo allenatore l’ho saputo poche ora fa e mi ha già rovinato la domenica) e con il ricordo della maledetta punizione (che non c’era!) di Koeman in quel lontano Samp – Barça, dice che sarà una super-finale tra due grandi squadre que saben jugar al fútbol. Lo penso anche io e come un Collovati qualsiasi mi crogiolo già in un ve lo avevo detto!.

Ve lo avevo detto che questa nazionale era forte. Che un centrocampo così pieno di qualità non lo avevo mai visto. Che in difesa il blocco Juve (e vabbeh) e la nostra consueta organizzazione avrebbero garantito pochi gol subiti. Che Balotelli e Cassano saranno pure due tamarri, ma il loro talento combinato entusiasmo. Che Prandelli è un grande allenatore, capace di creare uno scarto con il passato scommettendo sul gioco palla a terra e esaltando i giocatori più estrosi, senza scomporre né sbilanciare la squadra. Che solo la Germania e la Spagna mi parevano un filo avanti ma che me lo sentivo potessero finire un filo dietro.
Ve lo avevo detto che sono un Collovati qualunque, in terra basca.

Quando quattro anni fa la Spagna ci sconfisse ai rigori iniziò un ciclo incredibile, che non è ancora finito. Il tiki-taka è un modello bello e vincente, ma senza Messi… Sento che stavolta hanno meno fiducia e non ci temono solo per la scaltrezza ma anche per il gioco. Per la finalissima farò minitrasferta a Bilbao. Mi piace troppo vedere le partite nelle bettole basche, gufare Spagna, tifare Italia.

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One thought on “Dal nostro Colloinviato in terra basca

  1. Tyler

    Una sola annotazione, l’attegiamento dei tifosi baschi mi ha ricordato molto quello della maggior parte dei tifosi napoletani. Come nel ’90 non facemmo altro che tifare Maradona, senza se e senza ma, così oggi non ho fatto altro che sentire cori inneggianti a Christian Maggio e Morgan De Sanctis, con tanto di esultanza ad ogni inquadratura dei “nostri”. Uno dei commenti più significanti post-finale è stato: “Meno male che la Coppa più importante, la Coppa Italia, l’abbiamo vinta!”.
    L’appartenenza nazionale sembra sconosciuta ai più, se sia giusto o sbagliato, questo non lo so.

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