Offside di Jafar Panahi

Che palle il cinema iraniano. Dev’essere stato più o meno questo il pensiero che ha condotto la distribuzione italiana di Offside a tenere questo film in un cassetto per cinque anni, fino a quando il regista Jafar Panahi, finendo precipitato in fondo a una galera di Teheran, non è riuscito a suscitare le lacrime di Juliette Binoche (lacrime che, cadendo, dovevano suonare come monete tintinnanti alle orecchie dei distributori italiani). Ed è un gran peccato.

Offside è un film che parla del più grande evento calcistico accaduto in Iran dalla fine del vecchio millennio, ovvero la qualificazione della squadra al Mondiale del 2006. Ma mentre noi conosciamo l’esito della partita (Iran – Bahrain, finita 1-0) così non è per le decine di migliaia di tifosi accorsi allo stadio. E’ il più classico carnevale dei grandi eventi calcistici: vuvuzela, arringhe a favore dei propri favoriti, volti dipinti con i colori della patria (calcistica) e contratti dalla tensione. Le ragazze non sono ammesse, e il motivo è lo stesso che invece conduce gli uomini – compreso un anziano cieco che ha il compito proprio di spiegarlo – a seguire la propria squadra dal vivo e non davanti a un televisore o attaccati a una radio: allo stadio si può urlare qualunque cosa, si può maledire, gioire sfrenatamente, gridare la propria rabbia o la propria felicità senza che nessuno, nemmeno nella Repubblica Islamica, abbia il diritto di misurare le parole altrui. Ed è immorale che le donne partecipino, anche solo come spettatrici, a una simile libertà. Ma questo, ovviamente, non basta a fermare le più appassionate.

La strada per entrare finalmente nell’immensa bocca urlante dell’Azadi di Teheran è un percorso a ostacoli. Prima bisogna comprare il biglietto da un bagarino, con tanto di sovrapprezzo per donne. Poi passare i controlli di sicurezza del personale dello stadio e dei soldati della Repubblica, il tutto travestite da maschio. E’ facile farsi beccare, tanto più se si è molto giovani e al primo tentativo.

Le ragazze che sono state fermate vengono radunate in una specie di recinto su un corridoio esterno dello stadio e sorvegliate a vista dai soldati. Tra di loro ci sono una calciatrice, una ragazza che vuole fare il soldato e una che addirittura si è travestita da soldato, per guardare la partita dalla tribuna degli ufficiali. Chi è riuscita a entrare prima di essere fermata racconta alle altre il clima dello stadio e le azioni salienti del gioco. Insieme è più facile fronteggiare i soldati, sfidarli con la dialettica politico-pallonara, convincerli infine a concedere almeno una cronaca improvvisata del match, che loro – ma non le ragazze – riescono a seguire da un finestrone che guarda il campo. Gli antagonisti della storia, i soldati appunto, non sono molto convinti di quello che fanno. Solo uno di loro, un giovane contadino che non vede l’ora di finire i diciotto mesi di servizio per tornare al suo povero bestiame, prova a difendere la posizione del governo, ma non riesce a fare altro che concludere che le ragazze di Teheran sono tutte fuori di testa. E per quanto riguarda gli altri tifosi, questi sono del tutto solidali e contribuiscono, in nome del pallone e della libertà negata, all’unico tentativo riuscito di fuga.

Il film, che è stato in parte girato veramente durante Iran – Bahrain allo stadio Azadi, ha un finale che mi piace immaginare – ed effettivamente sembra proprio così – determinato dall’esito della partita e dalla conseguente esplosione dei festeggiamenti – promiscui, caotici, indifferenti al potere – nelle strade di Teheran. In questo racconto all’apparenza un po’ ingenuo, il calcio maschile – il calcio senza aggettivi – diventa un calcio di tutti e di tutte, in cui qualcuno è però escluso. La sensibilità del regista, che è anche sceneggiatore insieme a Shadmehr Rastin, riesce a costruire dei personaggi femminili appassionati, vividi, senza che questa passione finisca per ripiegarsi sull’innamoramento per il coach o su un lieto fine in cui gli uomini, inteneriti, concedono loro la libertà. Non c’è niente di tutto questo, non c’è una pax calcistica che giunge a salvare le ragazze e a stabilire la giustizia, ma solo una momentanea pausa di confusione. All’indomani tutto tornerà come prima, e il regime riprenderà a segregare le donne e a strappare giovani contadini dalle loro campagne per spedirli a fare i guardiani morali nell’immensa metropoli. E le ragazze continueranno a infilarsi tra le maglie della sicurezza degli stadi.

Offside, 2006, di Janar Panahi, Orso d’argento al Festival di Berlino 2006 (Wikipedia, Imdb).

Il trailer italiano.

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